‘Ndrangheta. Nella cava la base “nevralgica” a supporto dei latitanti, 14 arresti

Reggio Calabria Cronaca

Una cava proprio nel centro del territorio di influenza delle cosche della Piana: sarebbe stata questa la base “nevralgica”, operativa e logistica, della criminalità per tutte le sue più importanti attività.

Un luogo ed un gruppo che avrebbe avuto il suo principale scopo nell’agevolare la latitanza di pericolosi boss della ’ndrangheta che, nel corso del tempo, si erano sottratti alla cattura.

È quanto hanno scoperto i carabinieri che stamani hanno fatto scattare l’operazione Gear, arrestando 14 persone in tutto, per 12 delle quali si è spalancato il carcere e due sono finite ai domiciliari. Altre sette sono invece indagate in stato di libertà.

Le accuse contestate sono - a vario titolo ed in concorso - di favoreggiamento personale di latitanti della ‘ndrangheta e detenzione e porto abusivo di armi da sparo comuni e da guerra.

Ma anche di stupefacenti: secondo gli inquirenti si sarebbero occupati del traffico di consistenti quantitativi di cocaina, marijuana, eroina e hashish.

Dorga e armi che avrebbero consentito di rafforzare l’efficacia ed il potenziale degli altri gruppi criminali del Mandamento Tirrenico della provincia reggina.

GLI ARRESTATI

In carcere son dunque finiti: Alessandro Bruzzese, di 39 anni; Antonino Bruzzese, di 45; Girolamo Bruzzese, 50; Girolamo Bruzzese, 37; Michele Cilona, 38; Giuseppe Conteduca, 29; Rocco Elia, 40; Pierluigi Etzi, 42; Michele Giardino, 29; Giuseppe Maiolo, 58; Salvatore Pisano, 28; e Vincenzo Prochilo, 39.

Ai domiciliari, invece, Mariateresa Fazari, di 35 anni e Francesco Perrello, di 27.

LA GENESI DELLE INDAGINI

L’operazione arriva al termine di una indagine condotta dalla Sezione Operativa della Compagnia Carabinieri di Gioia Tauro, sotto il coordinamento della Dda, tra il mese di luglio del 2017 ed il dicembre del 2018.

La genesi deve essere riportata agli esiti delle investigazioni che avevano permesso ai militari di arrivare a catturare i latitanti Antonino Pesce (38 anni), Salvatore Etzi (47) e Salvatore Palumbo (40) cl. ‘80. Il primo arrestato a Gioia Tauro il 29 gennaio del 2017 (QUI), gli altri due nel marzo successivo a Palmi (QUI).

In particolare, il monitoraggio delle mogli, fidanzate, parenti e presunti favoreggiatori dei ricercati avrebbe fatto emergere la centralità del sito di estrazione di Contrada Pontevecchio, che poi si sarebbe rivelato un vero e proprio snodo delle attività gravitanti principalmente attorno alle figure dei cugini Girolamo (37), Alessandro e Antonino Bruzzese.

Il controllo della cava ha anche permesso di catturare, il 14 aprile del 2018, Vincenzo Di Marte (QUI), inserito nellelenco dei latitanti pericolosi e ritenuto elemento di spicco della cosca Pesce di Rosarno (QUI).

Di Marte era irreperibile dal giugno del 2015, quando si era sottratto al carcere nell’ambito dell’operazione Santa Fè(QUI), accusato di associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti con l’aggravante della transnazionalità e dell’aver agevolato la cosca di riferimento e quella degli Alvaro di Sinopoli (QUI); reati per i quali era stato già condannato in primo grado a 14 anni di reclusione.

Insomma, partendo dalla cava, e attraverso investigazioni tradizionali combinate con i più moderni sistemi di acquisizione probatoria, i militari ritengono dunque di aver scoperto la rete degli indagati che, a vario titolo e con diversi ruoli, avrebbero messo a disposizione dei latitanti Salvatore Etzi, Antonino Pesce e Vincenzo Di Marte, immobili da adibire a rifugio o covo.

Ma avrebbero anche fornito loro i generi alimentari e di prima necessità e strumenti meccanici ed elettronici; procurato gli appuntamenti con terzi; garantito e mantenuto i contatti con i familiari; organizzato gli spostamenti quando le situazioni ambientali lo richiedessero.

IL TRAFFICO DI STUPEFACENTI

Al gruppo, poi, si contesta di aver commerciato grosse partite di cocaina, eroina, marijuana e hashish, anche importate dall’estero, da paesi come l’Albania, la Grecia, il Marocco, la Spagna e la Turchia, per poi rivenderle in Italia, organizzandone l’occultamento, il trasporto e la cessione.

Talvolta lo stupefacente veniva nascosto in appositi borsoni collocati in container trasportati tramite vettori navali; infine, avrebbero detenuto, anche per altri, numerose armi.

Il traffico di droga, tra l’altro, avrebbe rappresentato un’importante fonte di guadagno per gli stessi indagati. Nel corso dell’indagine sono stati documentati infatti acquisti e rivendite di carichi che potevano arrivare fino a 270 kg di hashish e marijuana per volta, anche importati dall’estero, e che venivano nascosti “sistematicamente” nella cava numerosi “pacchi” da mezzo chilo l’uno.

Le vendite all’ingrosso sarebbero state organizzate e svolte materialmente dagli arrestati.

I VERTICI DEL GRUPPO

A capo dell’organizzazione si ritiene vi fossero Girolamo Bruzzese (37), Pierluigi Etzi, e Alessandro, Antonino e Girolamo (50) Bruzzese, che - secondo gli investigatori - si incontravano nella stessa cava stabilendo le linee programmatiche dell’associazione di narcotrafficanti e decidevano le fonti di approvvigionamento, le condizioni economiche, le modalità di trasporto; individuavano i soggetti incaricati della successiva rivendita, assicurando nel contempo il finanziamento dell’associazione e il reinvestimento dei proventi illeciti.

Numerose sono risultate anche le armi nella disponibilità degli indagati, il che dimostrerebbe per gli inquirenti “un’endemica pericolosità sociale” dei presunti componenti dell’organizzazione: pistole semiautomatiche cal. 7,65, cal. 9x21, cal. 38 special, nascoste in borsoni fino a 30 pezzi in contemporanea, ma anche armi da guerra, come un famigerato mitragliatore Kalashnikov.

L’operazione colpisce duramente soggetti considerati al servizio” delle diverse ramificazioni della ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, proprio nelle attività illecite essenziali alla conservazione ed al mantenimento del potere mafioso.

“La volontà di svolgere periodi di latitanza nel territorio di origine e di influenza, indica ancora una volta la necessità di mantenere in ogni condizione un contatto diretto con il territorio, al fine di non mettere in discussione la forza intimidatrice della consorteria di appartenenza”, spiegano gli inquirenti.

Di contro, il capillare controllo del territorio, le capacità informative e gli efficienti approfondimenti investigativi dei Carabinieri, sotto il coordinamento e l’indirizzo dell’Autorità Giudiziaria, attraverso una strategia investigativa oculata, avrebbe garantito l’individuazione dei latitanti e consentito di colpire duramente tutte le attività tipiche della ‘ndrangheta e tutti i soggetti, anche non affiliati, che in qualunque forma l’avrebbero favorita.

L'OPERAZIONE è scattata nelle prime ore di questa mattina nelle province di Reggio Calabria, Teramo e Benevento. Ad eseguirla sono stati i Carabinieri del Comando Provinciale della città dello Stretto e dei Reparti competenti territorialmente, con il supporto dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria, dell’8° Nucleo Elicotteri di Vibo Valentia e del Nucleo Carabinieri Cinofili.

Le indagini sono state coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo, diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri. L’Ordinanza di applicazione di misure cautelari è stata emessa dal Gip Stefania Rachele su richiesta dell’Aggiunto Calogero Gaetano Paci e del Sostituto Francesco Ponzetta.