Giustizia. Finita l’odissea di un imprenditore lametino: assolto perché “il fatto non sussiste”
Si è conclusa positivamente l’odissea giudiziaria di un noto imprenditore del Lametino e della fabbrica da lui amministrata.
La Corte d’Appello di Lecce ha definitivamente assolto con la formula “perché il fatto non sussiste”, Domenico Azzarito, 53ennne di San Pietro a Maida e la Gatim Srl, che ha sede e stabilimento nella Zona Industriale Benedetto XVI di Lamezia Terme.
Una assoluzione che arriva dopo dieci anni di angosce e tribolazioni, dopo l’arresto, il sequestro e la successiva confisca dei beni aziendali, dopo quattro processi (compresa la Cassazione).
Azzarito – difeso dagli avvocati Francesco Bevilacqua e Mario Murone - era stato tratto in arresto all’alba del 6 dicembre 2011 dagli agenti della Guardia di Finanza nell’ambito di un’operazione della Procura della Repubblica di Lecce.
L’obiettivo era di reprimere quella che era parsa agli inquirenti una vasta associazione per delinquere in cui erano coinvolti imprenditori, aziende (sulla base della L. 231/2001 sulla responsabilità penale degli enti), spedizionieri e doganieri di tutt’Italia, volta, secondo l’accusa, all’esportazione illecita di rifiuti verso stati esteri non autorizzati a riceverli, fra cui il Vietnam, da vari porti italiani.
In particolare ad Azzarito erano contestate una serie di spedizioni via nave di triturato di gomma, la materia che la Gatim ricava - fra le poche aziende ecologiche della filiera del riciclo nel Sud Italia - dalla lavorazione dei pneumatici fuori uso e che viene utilizzata sia come combustibile nei cementifici che come componente di pavimentazioni stradali e molto altro ancora.
L’accusa era risultata altamente infamante per Azzarito e la Gatim proprio per la loro qualità di soggetti economici impegnati in uno dei settori chiavi dello sviluppo sostenibile che oggi abbiamo imparato a definire “transizione ecologica”, per via dell’apposito super-ministero che il presidente del consiglio incaricato pare si appresti ad istituire.
Il 24 dicembre dello stesso anno, l’imprenditore, incensurato, fu scarcerato per ordine del Tribunale del Riesame del capoluogo pugliese che riconobbe insussistenti i gravi indizi di colpevolezza rivolti all’uomo ed alla Gatim.
Nonostante ciò, il Gip, in sede di giudizio abbreviato, prima e la Corte d’Appello poi, ribaltando nuovamente l’interpretazione dei fatti fornita dal Tribunale del Riesame, condannarono Azzarito e la Gatim procedendo alla confisca dei beni aziendali (che però ha potuto continuare ad operare).
Sino a che la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza, rinviando alla Corte d’Appello per una nuova valutazione dei fatti, ma tracciando con chiarezza la via che ha infine portato alla completa assoluzione degli imputati.
Dell’originario impianto accusatorio della Procura nell’intera operazione è rimasto in piedi ben poco e quel poco riguarda solo gli spedizionieri e le autorità doganali che “dirottavano”, all’insaputa e contro la volontà di gran parte degli imprenditori coinvolti, i rifiuti dalle destinazioni lecite a quelle illecite.
Nel caso specifico dell’imprenditore e della Gatim, fin dalla sentenza della Cassazione è apparso chiaro che l’azienda era in possesso di tutte le autorizzazioni del caso, che Azzarito aveva puntualmente chiesto ed ottenuto i permessi per le esportazioni e rispettato le stringenti norme del settore e finanche che l’imprenditore, in diverse intercettazioni telefoniche – mai valorizzate né dalla Procura, benché da essa stesse raccolte, né dai giudici delle prime due sentenze di condanna – si era dichiarato assolutamente indisponibile ad inviare il triturato di gomma prodotto dalla Gatim verso destinazioni illecite.