“Fai l’amico”: così i De Stefano imponevano il “pizzo” sui lavori nel centro
Avevano imposto il “pizzo” sui lavori di pavimentazione di Corso Garibaldi, definito nel 2% dell’intero importo dei lavori. Ben 80 mila euro, quindi, estorti agli imprenditori, e che venivano versati regolarmente non appena si ricevevano le tranche di pagamento dal Comune di Reggio Calabria.
È questo il quadro emerso nell’operazione Nuovo Corso (QUI) che, questa mattina, ha portato all’arresto di cinque soggetti considerati appartenenti alla cosca dei De Stefano.
Si tratta di Paolo Rosario De Stefano, nato a Melito di Porto Salvo il 21 dicembre 1976, attualmente detenuto, oggi accusato di estorsione e tentata estorsione in concorso, con l’aggravante del metodo e dell’agevolazione mafiosa; Paolo Caponera, nato a Reggio Calabria il 15 dicembre 1979, anch’egli attualmente detenuto e a cui si contesta l’estorsione in concorso, con l’aggravante del metodo e dell’agevolazione mafiosa.
Inoltre, Andrea Giungo, nato a Reggio Calabria il 16 maggio 1972, accusato di estorsione e tentata estorsione in concorso, con l’aggravante mafiosa; Domenico Morabito, nato a Reggio Calabria il 15 giugno 1977, a cui si contesta l’associazione mafiosa e l’estorsione in concorso, anche qui con l’aggravante del metodo mafioso; Domenico Musolino, nato a Reggio Calabria il 14 luglio 1976, a cui si contesta l’estorsione in concorso, con l’aggravante mafiosa.
I fatti che risalgono al 2011, quando l’imprenditore Francesco Siclari ed un suo consociato non avevano ancora avviato la ristrutturazione del corso pedonale, ma erano già stati avvicinati da un soggetto appartenente alla cosca, Andrea Giungo, che avrebbe offerto “protezione” ai costruttori.
L’OFFERTA RIFIUTATA E L’INCENDIO
È lo stesso imprenditore ad aver raccontato nel dettaglio agli inquirenti cosa successe in quegli anni, partendo proprio dal suo rifiuto ad accettare la protezione della cosca.
Nell’autunno del 2013 l’imprenditore ha visto bruciare la sua auto e, nello stesso anno dell’aggiudicazione dei lavori del corso, avrebbe ricevuto nuovamente una visita di Andrea Giungo accompagnato da Vincenzino Zappia, che lo avrebbero sollecitato nuovamente ad accettare la loro protezione chiedendo espressamente il pagamento di una mazzetta.
Mazzetta quantificata da Domenico Morabito, che avrebbe invece proseguito le attività estorsive a seguito dell’arresto di Giungo.
Ottanta mila euro da consegnare in diverse rate, le prime due pagate nel 2015 allo stesso Morabito, una consegnata a Paolo Caponera, che si sarebbe accreditato come membro della famiglia.
LA “PROTEZIONE” PER PIAZZA DUOMO
Nel 2016 all’imprenditore venne avanzata un’ulteriore richiesta estorsiva, in merito ad alcuni lavori che avrebbe dovuto eseguire a Piazza Duomo, sempre nel capoluogo reggino.
Ad avanzarla sarebbe stato, nuovamente, Andrea Giungo, intanto uscito dal carcere. Anche in questo caso l’imprenditore si sarebbe rifiutato lamentando un ingente danno economico, ma la risposta non sarebbe andata a genio ai presunti sodali della cosca.
Mentre Siclari percorreva le vie del centro a bordo di un motorino, fu così affiancato da una moto di grossa cilindrata: secondo gli inquirenti a bordo vi era Giungo con un altro soggetto, che gli avrebbero intimato di seguirlo in una traversa e di salire su di un’auto.
All’intero vi sarebbero stati Paolo Rosario De Stefano, che avrebbe rievocato i danneggiamenti subiti invitando nuovamente l’imprenditore ad accettare la loro protezione ed a “dimostrare amicizia” nei confronti del sodalizio.
CRIMINALI DI LUNGO CORSO
Gli investigatori spiegano che “gli attori dell’azione criminale” siano soggetti ben noti alle forze dell’ordine, e già implicati in diverse altre operazioni.
Paolo Rosario De Stefano fu coinvolto nell’inchiesta Number One, nel 2005, e nell’Operazione Trash, del 2017, per la quale si trova già in carcere, così come Paolo Caponera.
Andra Giungo è stato condannato a seguito dell’operazione Il Padrino, nel 2014, ed ha scontato 6 anni di reclusione. Domenico Morabito, invece, ha scontato una pena di 4 anni a seguito dell’operazione Number One.
Tutti i soggetti, compreso Musolino, sono ora accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione e tentata estorsione in concorso, reati aggravati dal metodo e dall’agevolazione mafiosa.
L’APPORTO DEL “COLLABORATORE”
L’inchiesta si è anche avvalsa delle dichiarazioni del collaboratore Maurizio De Carlo, che ha descritto il contesto mafioso facente capo alla cosca De Stefano, e dal quale sarebbero scaturite le vicende estorsive finite nell’indagine.
I racconti del collaboratore hanno consentito anche di definire i ruoli degli indagati indicati - ad eccezione di Domenico Musolino - come “soggetti fedelissimi e di massima fiducia” di Paolo Rosario De Stefano, come dicevamo ritenuto a sua volta elemento di vertice dell’omonima cosca di ’ndrangheta.
“Quella dei De Stefano – spiegano gli inquirenti - è tra le più eminenti ed efferate cosche di tutta la ‘ndrangheta, improntata a peculiari regole e al costante condizionamento della comunità che risiede sul territorio in cui essa esercita l’influenza criminale con estrema professionalità e con un’organizzazione capillare, risalente nel tempo, capace di controllare il mondo delle imprese, delle attività produttive in genere e degli esercizi commerciali”.