Colpo alla ‘ndrangheta in Emilia: sequestrati beni ad imprenditore del crotonese
Nuovo colpo contro la ‘ndrangheta in Emilia. All’alba di oggi la Polizia e la Guardia di Finanza hanno eseguito un’altra operazione, denominata “Libra”, eseguendo la notifica di un sequestro di beni - proposta dal Questore di Reggio Emilia e avallata dal Tribunale di Bologna - nei confronti di un noto imprenditore edile di 43 anni, crotonese di origine ma residente da tempo a Reggio Emilia.
Le indagini patrimoniali eseguite a carico dell’uomo tendono a dimostrare come lo stesso abbia intestato fittiziamente a se stesso a ad altre persone ritenute consenzienti, dei beni riconducibili al clan, portando avanti, nell’interesse del sodalizio, anche attività imprenditoriali.
IL PROVVEDIMENTO
Il provvedimento di oggi va così a colpire un patrimonio che supera il valore di un milione di euro. In particolare, poliziotti e finanzieri hanno apposto i sigilli su otto immobili in provincia di Reggio Emilia; terreni annessi; ditte operanti nel settore dell’edilizia, conti correnti e autovetture. In un solo conto è stata reperita la ragguardevole somma di 120 mila euro.
L’operazione “Libra” arriva a circa sei anni dalla più nota operazione “Aemilia” (QUI). Le inchieste giudiziarie avevano ben dimostrato la capacità della cosiddetta ‘ndrangheta emiliana, oltre che di infiltrare l’economia nazionale ed estera, di operare un sistematico ricorso allo strumento dell’intestazione fittizia dei beni, provento dei reati, per eludere i provvedimenti in materia di sequestri.
LE INDAGINI
Sono bastati sette mesi di indagini per ricostruire 22 anni di vita del 43enne crotonese destinatario della misura di prevenzione patrimoniale, col sequestro volto alla confisca dei beni, emesso dal Tribunale di Bologna ed eseguita oggi da Polizia e Finanza nel corso dell’operazione .
Dalle prime ore del giorno, circa 30 operatori della Questura e del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Reggio Emilia, sono entrati in azione in cinque diverse località della provincia reggiana per eseguire la misura apponendo i sigilli.
Come dicevamo, un’attività investigativa non lunghissima ma certamente esaustiva quella svolta dalla Divisione Anticrimine della Questura emiliana con il prezioso supporto del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza locale, e che ha fatto luce sulle vicende giudiziarie e sull’intero patrimonio riconducibile all’uomo ed ai suoi familiari.
TROPPO LUSSO
Gli investigatori sarebbero riusciti a dimostrare che il tenore di vita tenuto dal 43enne e dai congiunti, nonché tutte le proprietà acquisite nel corso di 22 anni di vita vissuta nel reggiano, non fossero in linea con i redditi percepiti.
In particolare, sono state analizzate anche le numerose transazioni bancarie, al fine di discernere, da quelle rientranti nella normale dinamica imprenditoriale, quelle che, invece, potessero aver avuto come scopo reale lo storno di cifre e l’acquisto di proprietà per conto di taluni esponenti del sodalizio ‘ndranghetistico emiliano.
L’OPERAZIONE “AEMILIA”
Le investigazioni hanno preso il via dallo spunto offerto dall’indagine “Aemilia”, nella quale il 43enne era stato condannato proprio per il reato di intestazione fittizia di beni, poiché – secondo gli inquirenti - avrebbe fornito a due sodali della consorteria emiliana, imprenditori attivi nel reggiano, poi tratti in arresto e condannati anche di recente dalla Corte di appello di Bologna, uno “schermo” protettivo per evitare che alcuni suoi beni fossero allo stesso riconducibili e quindi potenzialmente aggredibili dai provvedimenti giudiziari.
Le indagini patrimoniali avrebbero però permesso di documentare che il contributo consapevole dell'uomo in seno alla ‘ndrangheta fosse continuato anche in anni più recenti e riguardasse altri beni, oltre quelli individuati in “Aemilia”.
Secondo quanto appurato dagli investigatori, l’uomo avrebbe cercato di portare avanti anche alcune attività imprenditoriali del menzionato vertice della cosca, di cui è peraltro stretto congiunto, occupandosi di curare in prima persona specifici interessi dello stesso.
Tra i compiti si sarebbe stato anche quello di pagare le parcelle dei difensori.
Inoltre, e sempre al fine di creare quante più barriere possibili nella riconducibilità delle proprietà, avrebbe anche alienato, a compiacenti prestanome, un appartamento, attraverso un atto di compravendita, la cui causa giuridica è stata ritenuta dagli inquirenti solo “surrettizia”.
(Notizia aggiornata alle 13.06)