La mano delle cosche sulla sanità: tra presunti corrotti e corruttori in 16 finiscono in manette

Reggio Calabria Cronaca

I servizi di pulizia e sanificazione delle strutture amministrative e sanitarie che ricadevano nella competenza territoriale dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria affidati a società “individuate”, i cui membri sarebbero risultati legati a varie cosche criminali della zona: i Serraino di Reggio, gli Iamonte di Melito Porto Salvo ed i Floccari di Locri.

Il tutto avvenuto con quello che gli inquirenti definiscono come un “distorto utilizzo del sistema della proroga del rapporto contrattuale”, senza alcuna procedura di evidenza pubblica: elemento che avrebbe consentito di proseguire artificiosamente, per anni, il rapporto con l’ente appaltante.

Dopo innumerevoli di queste proroghe concesse illegittimamente, sarebbe stata poi indetta una gara per l’affidamento dello stesso servizio ma aggiudicata - anche qui si ritiene “grazie ad un collaudato sistema di corruttela” - sempre alle stesse società, nel frattempo riunitesi in Ati.

E poi denaro che, nonostante l’aggiudicazione dell’incanto, sarebbe stato elargito continuativamente e sistematicamente con lo scopo di mantenere saldi, nel tempo, gli “accordi” e i "rapporti".

C’è questo è non solo nell’inchiesta che oggi ha portato all’operazione “Inter Nos” (QUI) con cui la Dda ha fatto scattare le manette ai polsi di 16 persone, nove delle quali finite in carcere e sette ai domiciliari, mentre un’altra è stata sospesa dall’esercizio di pubblico ufficio e altre sette, ancora, sono invece indagate a piede libero (QUI I NOMI).

I REATI CONTESTATI

A vario titolo vengono contestati, dunque, i reati di associazione di stampo mafioso e associazione per delinquere - aggravata dall’agevolazione mafiosa - finalizzata alla turbata libertà degli incanti; turbata libertà del procedimento di scelta del contraente; corruzione; frode nelle pubbliche forniture; estorsione; intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro; dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

Per come emerso dalle indagini, condotte dalle fiamme gialle, i coinvolti, per poter fornire una giustificazione lecita agli ammanchi di denaro dalle casse sociali e che si ritiene connessi alle elargizioni indebite, sarebbero stati soliti far ricorso a delle fatturazioni false emesse da imprese considerate “compiacenti” e con le quali sarebbero stati in essere anche rapporti commerciali leciti.

LA “CORSIA PREFERENZIALE”

Grazie alle investigazioni, poi, gli investigatori si dicono certi di poter dimostrare specifici episodi di corruttela che avrebbero coinvolto anche il Direttore della Struttura Complessa Gestione Risorse Economico Finanziarie dell’Asp di Reggio Calabria, in capo al quale si sarebbero accertate delle dazioni indebite di denaro e di altre utilità - come un costoso Smartphone - da parte di alcuni degli imprenditori coinvolti.

Il tutto, affermano gli inquirenti, “in rapporti di reciproci vantaggi, concretizzatisi per questi ultimi in una ‘corsia preferenziale’ per il pagamento delle prestazioni rese”.

L’ipotesi è che il rapporto del dirigente Asp con gli indagati sarebbe diventato così stretto che gli stessi si sarebbero attivati per consentirgli finanche di ottenere una proroga nell’incarico di prossima scadenza, il tutto tramite l’intermediazione del consigliere regionale Nicola Paris, oggi finito ai domiciliari, la cui campagna elettorale sarebbe stata, tra l’altro, sostenuta da alcuni degli stessi indagati.

LE SANIFICAZIONI ED I VACCINI “ILLEGITTIMI”

L’inchiesta, ancora, avrebbe rilevato che le aziende componenti l’Ati abbiano svolto con modalità difformi da quelle previste i servizi straordinari di sanificazione e disinfestazione, affidati dall’Azienda Sanitaria appena diffusasi l’epidemia di Covid, e da effettuarsi in diversi presidi ospedalieri della provincia di Reggio.

Inoltre, si sarebbe accertato che gli indagati, in piena crisi pandemica, si sarebbero appropriati indebitamente dei dispositivi di protezione individuale anti-covid, sottraendoli addirittura al personale sanitario impegnato in occasione dell’emergenza, e che si sarebbero anche sottoposti indebitamente alla relativa vaccinazione, prevista, all’epoca dei fatti, solo per determinate categorie di persone.

Infine, si sarebbero scoperte delle estorsioni da parte di alcuni degli indagati, che avrebbero preteso da determinati dipendenti la restituzione di una quota parte mensile dello stipendio percepito, pari a circa 250 euro ogni mese.