La “stidda” siciliana e la droga calabrese, un rapporto sugellato da un bacio in carcere
Una fiorente associazione che gestiva il traffico di droga a Mazzarino e Gela, in provincia di Caltanissetta, ma il cui principale canale di approvvigionamento dello stupefacente erano, ancor una volta, le cosche della Calabria.
È quanto scoperto dai carabinieri siciliani nell’ambito dell’operazione “Chimera” con la quale hanno inferto un durissimo colpo al clan mafioso di Mazzarino, la “famiglia Sanfilippo” riconducibile alla “Stidda” gelese.
Come prova emblematica del rapporto di trai siciliani e le cosche della ‘ndrangheta gli inquirenti riportano un episodio avvenuto nel carcere di Sulmona: si tratta di un bacio tra il capoclan di Mazzarino e il fornitore calabrese, della provincia di Vibo Valentia.
Un particolare che, sempre secondo gli investigatori, dimostrerebbe come questi fosse pienamente a conoscenza dell'apporto di ciascun componente del gruppo mazzarinese nonché delle dinamiche e delle gerarchie interne allo stesso.
All’alba di oggi, così in provincia di Caltanissetta ma anche in altre aree del Paese, i Carabinieri, su ordine della Dda del capoluogo siculo, hanno arrestato 55 persone accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, omicidio, estorsioni (consumate e tentate), reati in materia di armi e di stupefacenti, aggravati dal metodo mafioso.
L’attività investigativa ha quindi portato a ricostruire l’articolato quadro dei settori economici interessati dalle attività criminali della famiglia mafiosa dei Sanfilippo.
È stato possibile, infatti, ricostruire tanto le attività criminali tipiche della tradizionale “mafia agricola”, quanto quelle più articolate finalizzate al traffico di stupefacenti o alla percezione di contributi pubblici per l’agricoltura, ottenuti attraverso false dichiarazioni.
In questo contesto è emersa anche l’attività di pressione estorsiva esercitata dal clan su numerosi imprenditori e operatori commerciali della zona, costretti a corrispondere denaro per sostenere dei sodali detenuti, a fornire gratuitamente beni e servizi ai membri del clan e ad effettuare assunzioni fittizie di affiliati.
In ultimo, è stato possibile far luce anche su due casi di “lupara bianca” e su un traffico droga, in particolar di cocaina