Coop “saccheggiate” con la presunta complicità dei liquidatori, tre indagati per peculato e falso
Un commercialista calabrese, Gianluigi Caruso, 56 anni, originario di Catanzaro ma residente a Roma è tra le tre persone arrestate stamani dalla Guardia di Finanza di Bari.
Il professionista è finito ai domiciliari mentre gli altri due, Filippo Barattolo, 76enne ex assessore comunale a Bari e coordinatore regionale dell’UdC in Puglia, e Sergio Adamo, 42enne barese residente a Sannicandro, sono stati entrambe sospesi per un anno dai pubblici uffici di commissario liquidatore e curatore fallimentare.
Gli inquirenti gli contestano a vario titolo e in concorso tra loro, il peculato, la falsità ideologica e materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e la falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sull’identità e su qualità personali proprie o di altri quanto alla gestione di cooperative in liquidazione coatta amministrativa con sedi a Padova, Roma, Savona, Taranto e Torino.
Inoltre, è in corso un sequestro dei beni nella loro disponibilità per un valore di circa un milione di euro.
L’esecuzione dell’ordinanza costituisce l’epilogo di una complessa attività investigativa, coordinata dalla Procura della Repubblica barese, delegata al Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza dello stesso capoluogo pugliese.
In particolare, le indagini partono dagli accertamenti antiriciclaggio avviati nei confronti di un professionista barese, all’epoca dei fatti, nominato dal Ministero dello Sviluppo Economico come commissario liquidatore di diverse cooperative sottoposte alla procedura di Liquidazione Coatta Amministrativa.
GLI ASSEGNI A “ME MEDESIMO”
I primi approfondimenti delle Fiamme Gialle avrebbero evidenziarono delle movimentazioni bancarie ritenute anomale disposte dal commissario, consistite nell’emissione di diversi assegni circolari intestati a “me medesimo” in favore di due cooperative gestite dallo stessi.
Titoli, sostengono gli inquirenti, che sarebbero stati quindi messi all’incasso dallo stesso commissario con poi dei contestuali prelevamenti in contanti di denaro che erano nella sua disponibilità per ragioni d’ufficio, e che costituivano il patrimonio delle cooperative.
Intercettazioni telefoniche, ambientali audio-video e telematiche, indagini finanziarie, acquisizioni documentali presso gli Enti pubblici coinvolti e perquisizioni negli uffici e nelle abitazioni degli indagati, oltre all’assunzione di informazioni dalle persone informate sui fatti, analisi forense dei dati digitali estrapolati dagli apparecchi informatici sottoposti a sequestro, sempre secondo gli investigatori avrebbero confermato i sospetti di un possibile peculato, che si ritiene sia stato reiterato anche in relazione ad altre tre cooperative.
I 380 MILA EURO INCASSATI DALLE COOP
L’ipotesi è che dai conti correnti bancari di cinque delle coop gestite dal commissario liquidatore barese - quelle che, di fatto, sarebbero state capienti - quest’ultimo avrebbe richiesto l’emissione di numerosi assegni circolari a beneficio delle stesse società, per poi porli personalmente all’incasso e convertirli in denaro contante, oltre ad aver effettuato prelevamenti per fini personali.
Inoltre, avrebbe disposto bonifici o emesso assegni bancari in favore di sé stesso o delle cooperative. In questo modo lo stesso professionista si sarebbe impossessato arbitrariamente di oltre 380 mila sottraendoli indebitamente alle casse societarie.
Secondo gli inquirenti, però, il reale dominus della gestione delle cooperative sarebbe stato il commercialista di origine calabrese, condannato in via definitiva, nel 2014, per corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio nell’ambito di altra vicenda processuale.
IL COMMISSARIO “DI FATTO”
Le investigazioni farebbero emergere che più il commissario liquidatore barese non abbia mai svolto alcuna mansione, né fornito alcun contributo direttivo in relazione agli incarichi affidatigli dal Mise; “nel contempo - sostengono gli inquirenti - le stesse avrebbero, viceversa, palesato il ruolo di protagonista del commercialista calabrese, che avrebbe assunto e consolidato nel tempo l’incarico di commissario liquidatore ‘di fatto’ delle suddette cooperative”.
Come contropartita per l’attività gestionale prestata, il commercialista avrebbe percepito somme di denaro giustificate con incarichi professionali e per un ammontare complessivo di oltre 270 mila euro.
Tra le presunte distrazioni di denaro contestate al liquidatore barese, per più di 651 mila euro, oltre a quelle appena descritte a beneficio del commercialista calabrese, vi sarebbero anche dei bonifici disposti nei confronti di altri professionisti, senza che questi incarichi fossero mai stati autorizzati dal Mise e per i quali, eventualmente, il relativo compenso avrebbe dovuto essere decurtato da quello del commissario liquidatore.
Dalle attività investigative sarebbe emerso anche che questo presunto modo di operare sarebbe stato replicato, con le stesse modalità, dal commercialista calabrese con un’altra cooperativa di Padova, per la quale era stato nominato commissario liquidatore un avvocato barese.
Gli investigatori ritengono infatti che anche in questo il commercialista calabrese si sia rivelato il reale dominus della gestione della coop, beneficiando di pagamenti per circa 120 mila.
Peraltro, l’avvocato barese – come commissario liquidatore - avrebbe disposto bonifici a beneficio di altri professionisti (pure in questo caso) senza che gli incarichi fossero stati autorizzati dal ministero, per gli inquirenti distraendo così danno della cooperativa amministrata per circa 150 mila euro.
Le condotte contestate ai due commissari liquidatori sarebbero state rese possibili dall’assenza di una rendicontazione periodica o da relazioni ritenute “ideologicamente false” corredate di atti artefatti inviati all’Autorità di Vigilanza.
Pertanto, secondo l’ipotesi, accolta dal Gip, le indagini avrebbero svelato quello che viene considerato come “un collaudato e consolidato sistema illecito finalizzato al sostanziale depauperamento delle casse delle cooperative in Liquidazione Coatta Amministrativa” e al conseguente arricchimento indebito “da parte di soggetti che avrebbero dovuto, invero, amministrare le medesime cooperative quali commissari liquidatori nell’interesse dei creditori”.