Le mire sul turismo ed il controllo con le estorsioni: l’egemonia del clan sulla Costa degli Dei

Vibo Valentia Cronaca

Associazione a delinquere di stampo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, porto e detenzione illegale di armi, sequestro di persona, trasferimento fraudolento di valori, illecita concorrenza con violenza e minaccia e traffico di influenze illecite, aggravati dal metodo e dall’agevolazione mafiosa, nonché di corruzione, rivelazione di segreto d’ufficio e associazione per delinquere finalizzata alla ricettazione ed al riciclaggio di macchine agricole, aggravate dalla transnazionalità e dall’agevolazione mafiosa.

Queste le accuse mosse a vario titolo ai 56 soggetti arrestati questa mattina (LEGGI) nel corso di un blitz svolto in tutta Italia, e chiamato in codice Operazione Olimpo.

Nel corso delle indagini - che oltre agli arresti hanno portato al sequestro preventivo di beni mobili ed immobili del valore di oltre 250 milioni di euro - sarebbe stato possibile appurare non il controllo, bensì l’egemonia della ‘ndrangheta lungo tutta la Costa degli Dei: le varie articolazioni criminali avrebbero fatto così riferimento alla potente cosca dei Mancuso, vera e propria organizzazione di stampo “federale” che riusciva così a mantenere un controllo capillare dei vari territori grazie all’aiuto di differenti famiglie.

In particolare, le investigazioni si sono focalizzate sulla ‘ndrina dei La Rosa, operativa ed attiva prevalentemente nell’area di Tropea. Il clan avrebbe garantito un pervasivo controllo dell’intero territorio tramite estorsioni ad imprenditori turistici e strutture ricettive oltre che a cantieri sia pubblici che privati.

Atteggiamento che avrebbe permesso alla cosca di consolidare la propria posizione nell’organigramma criminale della provincia, e documentato dalla consegna di pizzini e di somme di denaro destinate al “crimine” vibonese.

IL LAVORO “DI FINO”

Secondo gli inquirenti, i La Rosa avrebbero messo in piedi una accurata attività di investimento, concordata e condivisa sia con i Mancuso che con alcuni esponenti di spicco della famiglia degli Accorinti di Zungri, volta all’acquisizione di beni, servizi ed attività legate proprio al turismo.

Le consorterie criminali infatti si sarebbero avvicinate ad un tour operator estero, subentrando così nella gestione di un noto villaggio turistico di Pizzo Calabro.

Un lavoro “di fino”, possibile grazie alla predisposizione di una clausola contrattuale ideata ed inserita appositamente per garantire il subentro delle famiglie nella gestione e nella fornitura di beni e servizi. Un modo pratico ed efficace per dissimulare il versamento di tangenti.

Per raggiungere tale obiettivo la cosca avrebbe fatto riferimento ad una serie di intermediari - che, come appurato dalle indagini, si sarebbero spesi per garantire l’accreditamento dell’investimento e per incentivare l’attuazione del progetto – ritenuti vicini al management del Dipartimento Turismo della Regione Calabria.

Il tutto con l’obiettivo di favorire l’erogazione e l’aggiudicazione di fondi pubblici.

I MEZZI TRASFERITI ALL’ESTERO

In ultimo, un’altra attività fiorente per la cosca si sarebbe basata sul furto e sul trasferimento all’estero di mezzi da lavoro, in particolare verso la Romania e Malta.

Un business che sarebbe stato possibile grazie ad un sodalizio dedito proprio al traffico internazionale, che oltre a gestire le esportazioni era anche in grado di farsi restituire i veicoli appartenenti ad imprenditori “protetti”.

Nell’operazione, coordinata dalla Procura Distrettuale di Catanzaro, sono stati impiegati circa 300 uomini del Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine, delle Sezioni Investigative di Catanzaro, Roma, Napoli, Salerno, Potenza, Bari, Catania, Messina, Lecce e Bologna e delle Squadre Mobili di Reggio Calabria, Cosenza, Crotone, Parma, Avellino, Benevento, Cuneo e Latina, oltre ad equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine, unità cinofile, aliquote specializzate della Polizia Scientifica e del Reparto Volo di Reggio Calabria.