L’incertezza delle famiglie: al Cnel i risultati del progetto Coping, ha collaborato anche l’Unical
Cento assistenti sociali coinvolti negli interventi con le famiglie, tre anni di lavoro, un obiettivo: costruire insieme strumenti nuovi per affrontare le difficoltà che nascono nelle famiglie.
Sono i numeri del progetto di ricerca CoPInG (Constructions of parenting on insecure grounds. What role for social work), coordinato dall’Università di Trento (dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive) e condotto insieme alla Libera Università di Bolzano, all’Università di Trieste e all’Università della Calabria, che ha ottenuto un finanziamento ministeriale Prin, come ricerca di rilevante interesse nazionale.
Dopo un intenso lavoro di analisi del contesto, del quadro politico e culturale, di ascolto e riflessione, il gruppo di ricerca è ora pronto per presentare i risultati del progetto.
Le linee guida per costruire metodologie e interventi adatti a prevenire e gestire l’incertezza delle famiglie saranno anticipati il prossimo 28 febbraio a Roma nel corso di un convegno che si terrà al Cnel.
Alla presentazione interverranno anche rappresentanti del Consiglio nazionale dell’Ordine degli assistenti che sostiene il progetto.
Ma quali forme può avere l’incertezza nelle famiglie e da dove nasce il disagio? Punto di partenza della riflessione, secondo l’analisi sono le condizioni generali della nostra società, caratterizzata da una situazione di continua evoluzione. In primo piano la povertà, la precarietà lavorativa, le pressioni sociali, le difficoltà legate a famiglie allargate e sempre più multiculturali.
Ma anche la crescente presenza di posizioni ideologiche estremizzate. Un mix di fattori ad alta complessità che possono innescare situazioni di marcata conflittualità.
Lo sanno bene i servizi sociali, chiamati ad accompagnare le famiglie e i singoli individui attraverso momenti di difficoltà e di scelte importanti per se stessi e per i figli.
La comprensione dei fenomeni in atto e la conoscenza della situazione familiare non sempre sono sufficienti a fornire risposte adeguate ad ogni singolo caso. Per questo occorre offrire agli/alle assistenti sociali strumenti nuovi di lettura della realtà, con percorsi formativi aggiornati che partano però da un principio che da sempre è alla base della professione: dare voce a tutti, prima di tutto ai genitori.
La responsabilità di cura ed educazione dei figli è una faccenda che spetta ai genitori, che possono essere sostenuti nel farlo al meglio. A chiarire meglio questo punto è Silvia Fargion, professoressa ordinaria al Dipartimento di psicologia e scienze cognitive di UniTrento, coordinatrice del progetto: «Abbiamo constatato come la rapida diffusione di una ideologia neoliberista abbia fortemente influenzato le politiche sociali rivolte alle famiglie, nella direzione di una deresponsabilizzazione dello Stato rispetto alla cura ed educazione dei bambini e un’attribuzione di responsabilità totale ai singoli genitori e alle famiglie. In sintonia con l’approccio neoliberista, si è sviluppata una corrente che in area anglosassone è stata definita ‘genitorialità intensiva’, ma di cui si vedono ampie manifestazioni anche in Italia. I tratti fondamentali sono: una tendenza ad individualizzare e ‘privatizzare’ le funzioni di educazione delle nuove generazioni; una visione dei genitori come totalmente e singolarmente responsabili per l’educazione dei figli e figlie, ma anche come incapaci, insicuri e bisognosi di guida da parte degli esperti, in particolare le madri. In questo senso si parla di ‘professionalizzazione della genitorialità’, che viene letta in termini di competenze che devono essere apprese. Un modello estremamente performante che impone ai genitori di mantenersi costantemente virtuosi, pazienti, sempre disponibili al dialogo, positivi. Davvero difficile fare corrispondere questo modello alla realtà».
«Questa sistematica drammatizzazione delle mancanze genitoriali è evidente ogni giorno nella “società della perfezione”, nella comunicazione che arriva ancora più aggressiva attraverso internet e i social network» aggiunge Fargion. «Un’idea astratta che finisce per essere molto giudicante e che crea frustrazione nelle mamme e nei papà. E quando le situazioni sono lontane da un ideale ottimale diventa ancora più evidente. L’‘intensive parenting’ è fortemente radicato nella cultura e nelle risorse delle classi medie e la ricerca ha spesso ignorato la prospettiva dei genitori, in particolare in relazione a situazioni di vulnerabilità e/o di sfida. Con il nostro progetto cerchiamo modi di affiancare i genitori attraverso assistenti sociali preparati/e nel riconoscere e valorizzare soluzioni originali e personali che gli stessi genitori costruiscono per fronteggiare la quotidianità nella cura ed educazione dei figli».
Il metodo proposto dal progetto CoPinG parte proprio da un punto di vista diverso, controcorrente rispetto alla narrazione dei ruoli familiari, ma molto vicino alle radici della professione di servizio sociale. Parte infatti dall’ascolto dei genitori. Confronta la loro visione sulla cura e sull’educazione e la loro reazione alle ideologie dominanti, con il discorso sulla genitorialità che emerge nelle politiche sulla famiglia e quanto espresso da assistenti sociali che intervengono con le famiglie.
La chiave della risposta è nella personalizzazione del modo di stare accanto alle persone, alle famiglie. Un incontro basato sul reciproco riconoscimento, che sappia valorizzare le soluzioni che gli stessi genitori propongono per affrontare la propria specifica situazione.
Il team che ha condotto la ricerca è interdisciplinare e interateneo e si fonda su competenze specifiche e diversificate. L’unità di ricerca dell’Università di Trento, coordinata dalla professoressa Silvia Fargion affronta i temi legati all’alta conflittualità. Di migrazioni forzate si occupa il gruppo di ricerca dell’Università della Calabria coordinato dal professor Alessandro Sicora, di genitorialità LGBTQ il gruppo di ricerca di cui è referente il professor Urban Nothdurfter della Libera Università di Bolzano e di povertà il gruppo di ricerca dell’Università di Trieste con il professor Luigi Gui.