Condannato per traffico di droga, confiscati i beni a un anconetano
Il Nucleo di Pef della Guardia di Finanza di Ancona, su disposizione della Procura Generale di Perugia, ha eseguito una confisca di beni per circa 350mila euro, a carico di un anconetano condannato nel 2011 per traffico di ingenti quantitativi di stupefacenti.
Il procedimento ha scaturito da una indagine della Squadra Mobile di Reggio Calabria relativa all’importazione di cocaina dal Sud America, poi ceduta nelle piazze milanesi e marchigiane.
Il caso è approdato prima alla Corte d’Appello di Perugia, dopo il rinvio della Corte di Cassazione a seguito di un ricorso per una seconda condanna per truffa, e successivamente alla Procura Generale di Perugia per l’esecuzione della pena.
In questa sede sono state disposte le indagini economico-patrimoniali per verificare se vi fosse o meno della sproporzione tra i redditi e le capacità economiche dichiarati dal condannato e il valore dei beni in suo possesso.
Al termine la Procura ha disposto il sequestro finalizzato alla confisca di numerosi beni mobili ed immobili del marchigiano, cui era seguito un ricorso di quest’ultimo in Cassazione.
In particolare, la Suprema Corte è stata chiamata a risolvere un contrasto interpretativo concernente il limite temporale per l’applicabilità della confisca obbligatoria, trattandosi di decidere se fossero confiscabili i beni o valori pervenuti nella disponibilità del soggetto sottoposto alla misura fino alla data della sentenza di condanna o fino al passaggio in giudicato della sentenza.
All’esito della disamina delle questioni giuridiche, la Cassazione a sezioni unite ha statuito che il giudice dell’esecuzione può disporre la confisca in ordine ai beni che sono entrati nella disponibilità del condannato fino al momento della pronuncia della sentenza per il cosiddetto “reato spia”, salva comunque la possibilità di confisca di beni acquistati anche in epoca posteriore alla sentenza, ma con risorse finanziarie possedute prima.
La misura, eseguita nei giorni scorsi, calibrata sul nuovo orientamento giurisprudenziale, è l’epilogo di una complessa attività investigativa condotta dal Gico del capoluogo marchigiano in collaborazione con il personale della Guardia di Finanza di Perugia in servizio presso l’Ufficio del Processo del Procuratore Generale, che, sin dalla sua costituzione effettua una minuziosa analisi di tutte le sentenze passate in giudicato emesse dalla Corte d’Appello perugina, allo scopo di verificare se i condannati per determinati reati abbiano acquisito beni patrimoniali di cui non possano giustificare la provenienza o di valore sproporzionato rispetto al proprio reddito.
L’accertamento e la ricostruzione della posizione reddituale dell’uomo e del suo nucleo familiare da parte del Gico di Ancona ha fatto emergere una situazione definita “di completa difformità tra redditi dichiarati, tenore di vita e patrimonio, direttamente ed indirettamente a lui riconducibile, acquisito - secondo gli inquirenti - in virtù dei considerevoli profitti illeciti conseguiti dalla commissione dei reati”.
Gli accertamenti avrebbero quindi evidenziato la disponibilità di numerose proprietà immobiliari, ubicate ad Ancona ed in Bulgaria (con la quale è in corso anche una rogatoria per la confisca di altre cinque unità immobiliari), di beni mobili soggetti a registrazione e di disponibilità finanziarie intestate, oltre che a sé stesso, alla moglie e ad altre persone.
Le confische hanno riguardato un’abitazione ad Ancona, una Jeep Grand Cherokee, un moto Honda Gold Wing, polizze assicurative, conti deposito titoli e conti correnti.
Salvo ulteriore ricorso davanti alla Suprema Corte, possibile peraltro soltanto per le disponibilità finanziarie confiscate, i beni verranno assegnati all’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata per il loro reimpiego in finalità istituzionali e di utilità sociale.