Lotta al crimine: confronto tra magistrati, politici e giornalisti a Locri
"La riforma sulla giustizia di cui si sta parlando e che si vuole introdurre non risolve i problemi della giustizia. In tv non raccontano la verità. Il problema non sono due Csm o la separazione delle carriere dei giudici, ma fare leggi efficaci e dare seri strumenti ai magistrati per compiere bene e fino in fondo il proprio lavoro". Lo ha detto il sostituto procuratore di Roma, Francesco Minisci, intervendo ieri sera a palazzo Nieddu, a Locri, alla presentazione del suo libro (La giustizia italiana raccontata a un alieno), scritto insieme al giornalista Arcangelo Badolati. Un confronto serrato - moderato dalla giornalista di Sky, Manuela Iatì - nel luogo simbolo dell’oppressione mafiosa cui hanno partecipato, oltre i due autori, il consigliere comunale di Roma Capitale, on. Domenico Naccari, il sindaco di Locri Francesco Macri e Giuseppe Lombardo, sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria. Per Minisci la Giustizia italiana è “un sistema precario, contraddittorio e inapplicabile”. In sostanza “non funziona" e la riforma in discussione “non la migliora”. “Si vuole cambiare la legge sulle intercettazioni – sottolinea Minisci - per non farci scoprire i reati. Questo strumento è invece per noi fondamentale non solo per la lotta alla ‘ndrangheta bensì per scoprire reati di corruzione in particolare nella pubblica amministrazione”, dove si consuma cioè “la commistione” tra poteri criminali e politica. “Con le leggi attuali – dice con amarezza - abbiamo le ali tarpate". Minisci critica chi definisce la categoria ‘politicizzata’. "Se su novemila magistrati c’è una esigua minoranza di pm politicizzati non significa che tutti siano politicizzati. Dappertutto possono esserci mele marce e ritengo che questo sia fisiologico". Ma, assicura, "la maggioranza di noi opera in silenzio e indaga a 360 gradi senza guardare i colori politici. Non siamo toghe rosse. Di rosso - ha concluso Minisci - nella mia toga vedo il sangue di tanti magistrati uccisi facendo il proprio dovere". Per Domenico Naccari, delegato dal sindaco Alemanno per i rapporti con le comunità regionali, "ciascuno deve compiere proprio dovere per costruire una società improntata sulla legalità e sul rispetto delle regole. Credo - ha aggiunto - che nessuno di noi abbia interessi affinché la giustizia non funzioni”. Naccari osserva che nel sistema giudiziario vi sono “degenerazioni storture e che vanno eliminate, come ad esempio l'eccessiva discrezionalità del giudice. Alcuni magistrati, poi, puntano a promuovere più la propria immagine, mentre servirebbe maggiore riservatezza e sobrietà. Ritengo - ha sottolineato Naccari - che la riforma della giustizia debba essere frutto di un dialogo sereno e condiviso tra potere politico e giudiziario, senza settarismi di parte perché i magistrati hanno un compito delicato. La riforma è possibile realizzarla insieme senza contrapposizioni”. Tornando alla lotta alla ‘ndrangheta il consigliere di Roma Capitale ha affermato che “il problema in Calabria è soprattutto di carattere culturale e il mondo dell’istruzione ha un ruolo fondamentale nella prevenzione e diffusione della cultura della legalità. Tutti insieme dobbiamo avviare un processo culturale che possa garantire crescita e sviluppo. La criminalità organizzata in Calabria è una minoranza, ma esiste una maggioranza che vivendo nel rispetto delle regole non riesce a organizzarsi e fare massa critica contro un fenomeno che determina sottosviluppo".
"A un crimine organizzato - ha detto dal canto suo il sostituto della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo - si oppone un contrasto disorganizzato. Oggi le forme di contrasto non sono organizzate e gli strumenti insufficienti. La 'ndrangheta è opprimente e agisce nell'illegalità", dice Lombardo replicando a chi "diffonde opinioni distorte che confondono le idee ai cittadini". Parlando del ruolo che devono avere i magistrati Lombardo ha detto che l'obiettivo prioritario è restituire spazi di libertà e legalità in favore della collettività. Se non si riesce in questo compito il nostro lavoro è vano. Più arretrano le persone per bene più avanzano le forze criminali", ha concluso.
Duro l'intervento di Arcangelo Badolati. "La nostra terra ha subito negli anni uno stupro culturale. Lo stesso strupro culturale che subiamo oggi dalla mafia. Questa è la terra dell'ingiustizia, dove per farti largo devi per forza appartenere a qualcuno o a qualche lobby. Il Diritto è stato calpestato. La Mafia in Calabria è lo Stato, una Mafia che funziona e offre servizi. I mafiosi di oggi sono purtroppo un pezzo importante della società: sono avvocati, professionisti, consiglieri comunali assessori. Noi abbiamo l’obbligo di contrastarla con tutti i mezzi e senza paura. Dobbiamo sconfiggerla per riappropriarci degli spazi e della libertà, - ha concluso il giornalista - anche ricorrendo a metodi duri come li esercitava il Prefetto Cesare Mori, unico esempio nella nostra storia a far scappare i mafiosi in africa".