Dalle periferie disabitate del sud a Milano, i “Graffi” di Roberta Scardamaglia al Photofestival
Nel tempo dilatato di un coprifuoco apocalittico, una macchina fotografica a zonzo per i quartieri periferici di una città di provincia del Sud ne mostra la fugacità anziché il suo ristagnare, con rapidità violenta da graffiare gli occhi.
Ed è stata questa capacità di invertire il meccanismo fotografico che ha portato Roberta Scardamaglia fin sull’importante palcoscenico del Photofestival di Milano.
Già in occasione dell’inaugurazione della sua mostra “Graffi” – esposta negli spazi espositivi della Biblioteca Gallaratese di via Quarenghi 21 dal 24 settembre al 6 ottobre - il successo riscosso dalla esordiente fotografa calabrese è stato notevole.
Un esordio non casuale: per la sua prima personale, la fotografa ha infatti scelto la manifestazione milanese giunta alla diciottesima edizione che nella sua filosofia ha da sempre il progetto di accostare alle mostre di importanti autori già affermati quelle di emergenti di valore. L’autrice non si è fatta sfuggire l’occasione di dimostrarsi all’altezza delle aspettative.
“C’è una realtà là fuori che Roberta Scardamaglia conosce molto bene anche se ora, vista attraverso un finestrino, le appare come se la vedesse per la prima volta” ha detto Roberto Mutti, direttore artistico di Photofestival.
“La sensazione è quella di trovarsi di fronte allo schermo di un video – ha aggiunto Mutti, che è anche curatore della mostra - ed è per questo che la fotografa, per scattare, decide di ricorrere a uno stile fortemente emotivo usando un bianconero dove a dominare sono le sfumature dei grigi e tutto è immerso in una dimensione onirica nella quale il tempo si dilata e la realtà scorre rapida, più del pensiero”.
La curiosità di un pubblico attento, come è inevitabilmente quello che frequenta la biblioteca dove la mostra è esposta, si sposa con l’interesse dimostrato dagli appassionati di fotografia che hanno apprezzato la qualità e l’originalità della ricerca della fotografa.
“Erano i giorni del lockdown – ha raccontato Roberta Scardamaglia – e ogni giorno uscivo con l’idea di raccontare con la fotografia il paradosso che il tempo di quella pandemia aveva creato; e nelle foto riuscivo a catturare ciò che sentivo: contemporaneamente la dilatata immobilità e la fluida fugacità delle cose intorno: le case, gli alberi, le strade, le fabbriche. Su di esse il tempo scorreva senza rallentare affatto. La mia macchina fotografica svelava a me stessa che il ‘tempo’ è solo la somma algebrica del tempo singolare (dell’individuo) e dei tempi plurali (degli altri e delle cose)”.
La presenza nel catalogo della manifestazione diffuso gratuitamente in tutte le sedi espositive è un ulteriore elemento che consentirà a Roberta Scardamaglia di farsi conoscere e apprezzare per la sua capacità di grattare la superficie delle cose per mostrare ciò che vi è sotto.