Gli affari della ‘ndrangheta in Lombardia tra droga, bonus e Covid: undici arresti
Alle prime luci dell’alba di oggi, gli uomini della Direzione Investigativa Antimafia e i Carabinieri di Monza, con il supporto del Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria, su delega della Dda hanno arrestato undici persone, sette finite in carcere e quattro ai domiciliari, mentre altre tre sono state sottoposte all’obbligo di dimora e quattro a quello di presentazione alla Polizia giudiziaria.
Tutti e diciotto sono indagati, a vario titolo, per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, all’estorsione ed al compimento di numerosi reati economico-finanziari, i cui proventi sarebbero stati destinati ad agevolare le attività della ’ndrangheta, ed in particolare della cosca Morabito-Palamara-Bruzzaniti.
Sono tuttora in corso, nelle provincie di Milano, Monza Brianza, Pavia, Varese, Novara, Alessandria, Messina e Foggia, perquisizioni in abitazioni ed aziende risultate nella disponibilità dei soggetti coinvolti, anche con il supporto di unità cinofile anti-valuta della Guardia di Finanza.
L’indagine, che è iniziata nel 2019, protraendosi anche nel periodo della pandemia, ha visto coinvolti in tutto 68 soggetti, che si ritiene fossero divisi su due sodalizi criminali che, sebbene “operativamente separati per materia”- da un lato il compimento dei reati economico-finanziari e dall’altro, il traffico di droga e le estorsioni - sarebbero stati entrambi diretti da un medico calabrese, Giovanni Morabito, 59 anni, collaboratore di alcune Rsa milanesi, già condannato in via definitiva per traffico di stupefacenti e, soprattutto, figlio dello storico capo della stessa cosca, Giuseppe Morabito, "U Tiradrittu", attualmente detenuto al 41-bis a seguito di una condanna irrevocabile per associazione mafiosa.
IL KNOW HOW TECNICO-GIURIDICO
Il primo dei due gruppi, vedrebbe la partecipazione di professionisti ed imprenditori, titolari nel centro di Milano di diverse società di consulenza e portatori del “Know how” tecnico-giuridico necessario.
Secondo gli inquirenti sarebbero stati loro a creare un sistema di società “cartiere”, di fatto non operative ed unicamente dedite all’emissione di false fatture, volte a fornire una “copertura cartolare” ad acquisti inesistenti di beni e di servizi, all’unico scopo di creare, a favore dei clienti, la disponibilità “in nero” di ingenti somme di denaro contante.
Gli investigatori sostengono difatti che quest’ultimi, a fronte del bonifico effettuato a pagamento della falsa fattura, avrebbero ottenuto, al termine di diversi “passaggi” coinvolgenti conti correnti “on line” radicati su banche europee ed extracomunitarie, ingenti somme di denaro, così sottratte a ogni forma di controllo e monitoraggio da parte delle autorità.
Nel corso delle attività investigative, è stato possibile sequestrare circa 50 mila euro in contanti, provento delle suddette F.O.I., e ricostruire altre consegne di denaro gestite dall’organizzazione.
LE FALSE POLIZZE FIDEJUSSORIE
Lo stesso gruppo, poi, avrebbe creato e venduto false polizze fideiussorie, emesse formalmente da uno dei più grossi gruppi bancari nazionali, a favore di imprese e ditte individuali che mai le avrebbero ottenute legalmente, in quanto senza la necessaria solidità patrimoniale o dei requisiti di onorabilità.
In particolare, queste “false” polizze sarebbero servite “al consapevole acquirente” per garantire, nei confronti di inconsapevoli “terzi”, il rispetto di obblighi derivanti da reciproci rapporti contrattuali.
In un caso, le false fideiussioni sarebbero state create a favore di imprese operanti nel settore dei giochi e delle scommesse (che mai avrebbero potuto ottenerle legalmente, in quanto colpite da interdittiva antimafia emessa al termine di indagini riguardanti anche il reato di associazione mafiosa), allo scopo di garantire l’adempimento degli obblighi economici conseguenti al contratto stipulato con il concessionario dello Stato.
I FALSI CREDITI DI IMPOSTA
L’organizzazione avrebbe quindi commercializzato anche dei falsi crediti d’imposta “Ricerca & Sviluppo” ceduti a terze società che, consapevoli della loro natura fittizia, li hanno utilizzati per compensare il pagamento di imposte e di contributi previdenziali. Crediti che sarebbero stati creati da un’altra organizzazione criminale con sede nella provincia di Napoli e composta da professionisti (tra commercialisti, periti ed ingegneri), alcuni dei quali già condannati per un reato simile.
Infine, il gruppo avrebbe organizzato truffe aggravate ai danni dello Stato, per ottenere i finanziamenti e le erogazioni previste dalle norme Covid 19.
Le indagini hanno, da un lato, accertato l’effettiva percezione di tali somme, dall’altro evitato, tramite la tempestiva attivazione delle Autorità competenti, l’indebita erogazione di somme e di benefici economici (nella forma del finanziamento garantito e del credito d’imposta) per circa 2 milioni di euro, per i quali era già stata depositata la prevista documentazione predisposta artatamente.
In uno di questi casi, proprio per sfruttare una specifica norma diretta a favorire la capitalizzazione delle società nel periodo della pandemia, erano stati creati, attraverso bilanci contraffatti, aumenti fittizi di capitale sociale, impiegando, anche grazie alla compiacenza di periti e pubblici ufficiali, titoli esteri di dubbio ed incerto valore ed aventi caratteristiche tecniche difformi da quelle previste dalla legge.
L’organizzazione avrebbe reinvestito il provento di tutti questi presunti reati, ed in particolare di quelli ai danni dello Stato, nella creazione, insieme ad altri soggetti anch’essi indiziati di appartenere alla ’ndrangheta, di nuove società commerciali che avrebbero operato in settori quali quello edile - sfruttando i benefici dell’Ecobonus -, della raccolta e del riciclaggio dei rifiuti, del commercio di carburante e della grande distribuzione.
IL SECONDO GRUPPO CRIMINALE
Il secondo dei due gruppi criminali è ritenuto responsabile di più delitti di importazione, acquisto, trasporto e cessione sul mercato del Nord Italia (Milano, Torino e altre province) ed in Calabria, di centinaia di chili di sostanze stupefacenti tra cocaina, eroina, marijuana e hashish, oltre che gestire un’attività di recupero crediti con le tipiche modalità utilizzate dalle organizzazioni mafiose anche ricorrendo, quando necessario, all’uso di armi.
Allo scopo, il sodalizio avrebbe contato su basi logistiche e operative dove i sodali potevano incontrarsi e custodire lo stupefacente, come un magazzino in Paderno Dugnano; su telefoni cellulari, intestati a terze persone, cambiati con frequenza e utilizzati per le comunicazioni inerenti l’attività illecita; su autovetture impiegate per il trasporto della droga, spesso noleggiate appositamente a tal fine o messe a disposizione da uno degli indagati.
L’indagine ha consentito di ricostruire anche i canali di approvvigionamento esteri e, in occasione di una delle cessioni intercettate, è stato possibile arrestare in flagranza il corriere e sequestrare 5 kilogrammi di eroina, inizialmente destinata al mercato calabrese.
Sono state documentate innumerevoli compravendite di droga, per un totale di 50 kg di eroina, 150 kg marijuana e circa 50 kg di hashish, provenienti anche dalla Spagna, dall’Austria e dall’Albania ed è stata anche verificata l’apertura di un canale di vendita di cocaina proveniente dal Perù e dal Brasile e destinata ai membri di una nota famiglia di ‘ndrangheta.