Eyphemos. La guerra fredda in Aspromonte e il controllo del Comune. Ordine d’arresto anche per un Senatore
Detenzione di armi e di droga, ma anche estorsione, favoreggiamento, violenza privata, voto di scambio, aggravati dal metodo mafioso e dalla finalità di aver agevolato la ‘ndrangheta.
Queste la accuse mosse a vario titolo alle 65 persone finite nell’inchiesta che ha fatto scattare stamani l’operazione Eyphemos (QUI) coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri.
Dalle prime luci dell’alba gli agenti della mobile e del commissariato di polizia di Palmi, con il coordinamento del Servizio Centrale Operativo e con il concorso degli equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine e delle Squadre Mobili di Milano, Bergamo, Genova, Vicenza, Novara, Lodi, Pavia, Ancona, Pesaro Urbino, Perugia e Bari, hanno eseguito 53 ordinanze di custodia cautelare in carcere e 12 ai domiciliari (QUI).
GLI ARRESTATI
In carcere sono finiti: Angelo Alati, alias “il Marocchino”, 42enne, presidente del Consiglio Comunale di Sant’Eufemia d’Aspromonte; Cosimo Alvaro, alias “Pelliccia”, 55enne, già detenuto per altra causa; Cosimo Alvaro, 57enne; Domenico Alvaro, detto “Micu”, 42enne; Salvatore Alvaro, detto “Turi” alias “Paieco”, 54enne; Giuseppe Bagnato, inteso “Pinuccio”, 57enne;
Antonino Borgia, 26enne; Domenico Carbone, alias “u Ciacio”, 54enne; Sarino Antonio Carbone, 41enne; Vincenzo Carbone, alias “Ceo”, 35enne; Carmelo Castagnella, 52enne; Vincenzo Condina, alias “u Russu”, 38enne; Antonio Crea, alias “spatola”, 52enne; Emanuele Crea, 25enne; Giovanni Crea, 50enne, già sottoposto agli arresti domiciliari per altra causa; Crea Giuseppe,60enne; Antonino Creazzo, inteso “Nino”, 37enne, consulente del Lavoro; Pasquale Cutrì, 47enne; Nicola Delfino, 36enne;
Rocco Graziano Delfino, 33enne, latitante; Luca Docente, 46enne torinese agente immobiliare; Attilio Firenzuoli, detto “Nino” alias “Testuni”, 48enne; Diego Forgione, alias “u peones”, 74enne; Domenico Forgione, inteso “Dominique”, nato a Carlton nel 1973 e consigliere comunale di minoranza di Sant’Eufemia d’Aspromonte; Antonino Gagliostro, inteso “Tony” alias “u mutu”, 46enne, titolare di due attività commerciali - bar ristorante - a Milano;
Cosimo Idà, 42enne, vice Sindaco di Sant’Eufemia d’Aspromonte, Assessore con delega al Bilancio, Programmazione, Tributi; Giasone Italiano, 50enne; Antonino Laurendi, alias “ninareddhu u pistolu”,23enne; Cosimo Laurendi, 56enne; Domenico Laurendi, 50enne imprenditore nel settore edile; Rocco Laurendi, 23enne; Natale Lupoi, alias “Beccaccia”, 44enne;
Domenico Luppino, 44enne, ingegnere, responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte; Girolamo Macrì, 32enne, detenuto per altra causa; Bruno Modaffari, alias “u filiciuni”, 40enne, gestore di un ristorante a Solano di Scilla; Domenico Modaffari, 25enne dimorante ad Hannover in Germania; Francesco Modaffari, 27enne dimorante ad Hannover in Germania;
Pasquale Modaffari, alias “u filiciuni”, 24enne; Vincenzo Modaffari, alias “u ruggiatu”, 55enne; Carmine Napoli, alias “Carminazzu”, 58enne; Giuseppe Carmine Napoli, alias “‘mpizza”,54enne; Giuseppe Novello, 38enne detenuto per altra causa; Diego Orfeo, 22enne; Giuseppe Orfeo, 52enne; Carmine Quartuccio, inteso “Carmelo”, 51enne imprenditore nel settore degli impianti elettrici;
Domenico Restuccia, 27enne; Giuseppe Rizzotto, 40enne; Francesco Romeo, 38enne; Michele Romeo, 44enne, impiegato comunale a Mornago -VA; Giuseppe Scicchitano, 30enne; Giorgio Spaliviero, 49enne; Giuseppe Speranza, alias “u longu”, 39enne; Francesco Vitalone, 38enne.
Misura cautelare ai domiciliari invece per: Cosimo Cannizzaro, alias “spagnoletta”, 75enne; Francesco Cannizzaro, alias “Cannedda”, 89enne; Emanuele Crea, alias “Ciccellino”, 86enne; Francesco Crea, 70enne assicuratore; Domenico Creazzo, 42enne sindaco di Sant’Eufemia d’Aspromonte eneo eletto Consigliere Regionale della Calabria; Mauro Fedele, 24enne; Giuseppe Antonio Galletta, 57enne medico; Rocco Iannì, 52enne, ristoratore con attività commerciali a Bagnara Calabra e Milano; Rocco Laurendi, alias “Rocchellino”, 75enne; Antonio Luppino, inteso “‘Ntony” alias “Malomu”, 51enne; Carmelo Napoli, 26enne; Marco Siclari, 42enne, senatore della Repubblica eletto nel marzo 2018.
L’esecuzione della misura cautelare nei confronti del Senatore, secondo quanto disposto dal gip in conformità con il dettato normativo, rimarrà sospesa in attesa della delibera della Camera di appartenenza, alla quale è stata richiesta l’autorizzazione a procedere.
IL LOCALE E LA GUERRA TRA FAZIONI
Le indagini, svolte dagli investigatori della Squadra Mobile di Reggio Calabria e del Commissariato di Palmi, sotto le direttive del Procuratore Aggiunto Calogero Gaetano Paci e del Sostituto Giulia Pantano della Dda, hanno documentato l’esistenza di un clan di ‘ndrangheta a Sant’Eufemia d’Aspromonte, che opera alle dipendenze della locale di Sinopoli e territori limitrofi e facente capo alla potente cosca Alvaro.
In seno al locale eufemiese, in cui coesistono almeno tre diverse fazioni - quella dei Cannizzaro, quella riferibile a “u diavulu”, ovvero Cosimo Idà, e quella riconducibile a Domenico Laurendi - alla fine del 2017 e nel 2018 c’è stata una spaccatura interna. Due articolazioni mafiose, l'una che si ritiene facente capo a Domenico Laurendi e l’altra a Idà, sarebbero entrate “in guerra fredda” tra loro, nel tentativo di prendere l’una il sopravvento sull’altra. Nel corso del “conflitto” le due fazioni avrebbero fatto numerose affiliazioni, che miravano a implementare l’organico, con la finalità ultima di imporre ciascuna la propria linea strategica criminale ed acquisire, pertanto, maggiore peso criminale nell’ambito dello stesso locale.
Secondo gli inquirenti, la corsa sfrenata ad affiliare nuovi ‘ndranghetisti, oltre a consentire l'ingresso nel locale di persone non sempre idonee sotto il profilo criminale o, comunque, non dotate di affidabilità, avrebbe creato dei disordini interni e l’insorgere di malumore, soprattutto nello schieramento capeggiato da Laurendi.
La tesi è che quest’ultimo avrebbe mal tollerato non solo l’irregolarità delle affiliazioni, ma anche il fatto che queste fossero state convalidate dal presunto boss Andrea Luppino e da Francesco Cannizzaro, alias “Canneddha”, anch’egli considerato un boss di vecchia data che avrebbe preso parte al famoso summit di Montalto nel 1969.
Il gruppo laurendiano avrebbe poi esercitato delle pressioni affinché i vertici del locale, custodi delle regole inviolabili dell’onorata società (tra cui ci sarebbero Cosimo Cannizzaro detto “spagnoletta”, Francesco Cannizzaro detto “Canneddha” e il defunto Andrea Luppino) prendessero una posizione ferma e rifiutassero di ratificare gli irregolari riti di affiliazione operati dalla frangia opposta.
IL COMPROMESSO SULLE AFFILIAZIONI
Ma all'interno del locale sarebbe stata fatta una scelta di compromesso per cui, da una parte, si sarebbe accettata la regolarizzazione dei riti già eseguiti, e dall’altra sarebbe scattato il divieto di effettuarne altre, con un periodo di sospensione.
La decisione adottata avrebbe quindi determinato la reazione furibonda di Laurendi che, sostenuto dai suoi più vicini sodali, come Antonino Gagliostro, Antonio Crea, Vincenzo Carbone, Saverio Napoli, avrebbe officiato alcuni “battezzi” e ne avrebbe programmati degli altri, pretendendo l’assenso anche successivo da parte degli altri primari del locale.
Questo solo per restituire equilibrio tra le due frange mafiose, fino alla decisione di creare un banco nuovo e il rimescolamento delle cariche con una equa ripartizione tra le due anime interne della cosca. L’idea sarebbe stata anche quella di creare un nuovo locale di 'ndrangheta indipendente dagli Alvaro, imperanti a Sinopoli, che potesse ottenere il riconoscimento del Crimine di Polsi.
Secondo gli investigatori a Sant’Eufemia d’Aspromonte sarebbe stata attiva un’organizzazione mafiosa pericolosissima ed efferata, con la disponibilità di un grosso quantitativo di armi anche da guerra. L’organizzazione responsabile di diversi omicidi, dedita al danneggiamento, al traffico di droga (sia cocaina che marijuana), avrebbe avuto un controllo capillare del territorio, anche grazie al pizzo chiesto agli imprenditori.
Avrebbe avuto inoltre una ramificazione in Lombardia, nel Pavese, dove da tempo si è insediato Domenico Laurendi, coadiuvato da Giuseppe Speranza e dal cugino Giuseppe Rizzotto, ma anche in Australia dove è presente un locale di ‘ndrangheta, dipendente direttamente dalla casa-madre calabrese.
LA RAMIFICAZIONE IN AUSTRALIA
Le intercettazioni hanno consentito di captare alcuni dialoghi da cui emergerebbe che Attilio Firenzuoli, in passato, sarebbe andato in Australia per risolvere il problema della spoliazione di un suo zio (che aveva commesso una trascuranza) all'interno del locale, ma il progetto sarebbe fallito perché il parente sarebbe stato comunque sanzionato, sebbene non fosse stato espulso dai ranghi della ‘ndrangheta.
Dalle indagini emergerebbe poi che i vertici del locale di Sant’Eufemia d’Aspromonte avrebbero preso parte alle decisioni più importanti da adottare nel locale in Australia, tra questi Cosimo Cannizzaro, definito un “anziano ‘ndranghetista” e diretto interlocutore dei vertici australiani.
IL CONTROLLO DEL COMUNE
Il locale eufemiese – che dipende dalla vicina cosca degli Alvaro, alla quale tributa onori e riconoscimento oltreché sottomissione gerarchica - avrebbe poi instaurato forme di interazione con consorterie di diversa matrice mafiosa riuscendo ad infiltrare il settore pubblico, ovvero il Comune di Sant'Eufemia d’Aspromonte, sul quale avrebbe esercitato influenza e governato le attività economiche imprenditoriali.
Le investigazioni hanno avuto come perno centrale la figura di Domenico Laurendi, processato per associazione mafiosa e assolto in secondo grado nel procedimento “Xenopolis” (nell’ambito del quale emerse come uomo di fiducia di Cosimo Alvaro, classe 1964).
Il clan sarebbe riuscito a inserire i propri rappresentanti tra i vertici dell’amministrazione comunale. E con il sospetti di avere avuto il ruolo di capo, promotore ed organizzatore dell’associazione è stato colpito dalla misura cautelare in carcere il Vice Sindaco, Cosimo Idà, alias “u diavulu”, a cui si contesta di essere l’artefice di diverse affiliazioni.
L’AIUTO AL CONSIGLIERE CREAZZO
Nello stesso ambito Domenico Creazzo, sindaco del Comune che secondo gli inquirenti, per vincere le ultime elezioni regionali, si sarebbe rivolto a Laurendi, prima attraverso il fratello Antonino Creazzo in quanto capace di procacciare voti grazie alle sue aderenze con figure apicali della cosca Alvaro e poi direttamente a Laurendi, per sbaragliare gli avversari politici. Lo stesso Laurendi si sarebbe subito reso disponibile a sposarne l’iniziativa politica che avrebbe portato il candidato ad essere eletto Consigliere Regionale.
Dalle parole captate di Antonino Creazzo emergerebbe uno spaccato professionale del fratello Domenico ritenuto “poco limpido”, anche in merito alla figura di Presidente del Parco dell'Aspromonte nel cui svolgimento avrebbe assecondato varie richieste a fini puramente clientelari.
Dalle indagini emergerebbe che, per motivi di strategia e di opportunità, Domenico avrebbe dovuto evitare frequentazioni con persone vicine alla criminalità organizzata, al fine di portare avanti una campagna elettorale sobria. L’idea non sarebbe stata quella di chiudere le porte alla ‘ndrangheta, il cui bacino di voti avrebbe potuto fare la differenza con gli altri candidati, quanto di delegarne la richiesta ad intermediari che, in quanto meno esposti pubblicamente, avrebbero potuto relazionarsi, dando meno nell'occhio, con gli ambienti mafiosi.
IL CASO DEL SENATORE SICLARI
Prima delle ultime elezioni regionali, emergerebbe una operatività della cosca eufemiese, con Laurendi in testa. In particolare durante le politiche del 2018, quando fu eletto Senatore della Repubblica Marco Siclari. Gli investigatori sostengono che nel corso della campagna elettorale, tra Siclari e gli Alvaro sia stato siglato un accordo.
E in tal senso scendono nel dettaglio: Il 28 febbraio 2018 vi sarebbe stato difatti un incontro, pure tenuto riservato, tra Laurendi e l’allora candidato Siclari, mediato da un medico, Giuseppe Galletta. L’incontro, durato circa mezz’ora, si sarebbe svolto a Reggio Calabria, nella sede della segreteria politica di Siclari.
Nel corso delle intercettazioni, Laurendi avrebbe chiesto a Natale Lupoi di appoggiare politicamente Siclari; sarebbe emerso che il giorno delle elezioni lo stesso Laurendi si sarebbe impegnato a dare indicazioni ad alcuni elettori affinché esprimessero la loro preferenza per Siclari al Senato, definendolo “amico nostro”.
Le analisi del dopo voto evidenziano che Siclari è stato eletto Senatore nel collegio uninominale 4 della Calabria con una percentuale del 39,59%, riuscendo ad ottenere a Sant'Eufemia d’Aspromonte 782 voti, pari al 46,10%, mentre nel limitrofo Comune di Sinopoli 435 voti, pari al 63,41%.
In pratica, nei comuni di Sinopoli e Sant'Eufemia d’Aspromonte, Siclari ha conseguito una percentuale ben più alta della media provinciale.
Dopo il successo elettorale, tra maggio e giugno 2018, Laurendi avrebbe però presentato “il primo conto”, sollecitando un intervento del Senatore affinché una persona di suo interesse, parente di Natale Lupoi, ottenesse il trasferimento presso la sede di Messina di Poste Italiane.
Il trasferimento è stato effettivamente ottenuto (con decorrenza dal 17 febbraio di quest’anno) attraverso un articolato stratagemma che emergerebbe nel prosieguo delle indagini.
Nel 2019 il posto di lavoro a Messina per la dipendente di Poste Italiane che interessava a Laurendi sarebbe stato creato ad hoc, per gli inquirenti evidentemente come contropartita all’appoggio elettorale, non essendoci alcun bisogno di personale (come emerso dalle indagini) per la qualifica ricoperta da quel soggetto prima che lo stesso presentasse domanda di mobilità.
LE CERIMONIE DI AFFILIAZIONE
Le indagini hanno poi permesso di verificare come ancora oggi i cerimoniali continuano ad esistere, così come i riti arcaici e la fascinazione del linguaggio dei sodali. Tutto questo continua ad essere a Sant’Eufemia d’Aspromonte punto di forza della organizzazione ‘ndranghetistica, moderna ed antica ad un tempo, dotata di un fortissimo senso di identità, di impermeabilità dall'esterno e di appartenenza, caratterizzata da una rigida gerarchia quasi di tipo militare.
Gli esiti delle intercettazioni descrivono l’organizzazione mafiosa proprio come ammantata di sacralità e di rituali. Molteplici le riunioni e gli incontri monitorati dagli investigatori della Polizia in cui si è discusso di cariche, di gradi, di cerimonie, della formazione di un banco nuovo, della creazione di un nuovo locale autonomo dalla cosca Alvaro che necessitava, per la sua costituzione e legittimazione, della benedizione del Crimine di Polsi.
I vari protagonisti discutevano dei gradi della ‘ndrangheta, usando termini quali “santa”, “camorrista”, “vangelista”, “sgarrista”, “capo locale”, “contabile”.
Gli Alvaro, tuttavia, al di là della spinta autonomista palesata dai laurenziani nel corso delle attività di indagine, continuano a controllare anche Sant'Eufemia d’Aspromonte e fanno sentire forte la loro voce.
Una testimonianza arriverebbe dagli incontri tra Laurendi e Cosimo Alvaro, leader indiscusso degli Alvaro, che avrebbero continuato ad essere fortemente coesi tra loro e uniti in un’unica grande cosca, nel rispetto del comune vincolo di appartenenza, nonostante i diversi sottogruppi familiari (detti “Carni i cani”, “Pajechi”, “Merri”, “Pallunari”, Testazza” o “Cudalunga”) godessero di una certa autonomia programmatica e di azione. Da costui Laurendi si sarebbe recato spesso, seguendone le direttive, sostenendolo economicamente e gestendone gli affari economico-imprenditoriali criminali.
LE ACCUSE CONTESTATE
Ad Angelo Alati, Cosimo Alvaro, Domenico Alvaro Cl. ‘77, Salvatore Alvaro, Giuseppe Bagnato, Antonino Borgia, Cosimo Cannizzaro, Francesco Cannizzaro, Domenico Carbone, Vincenzo Carbone, Vincenzo Condina, Antonio Crea, Emanuele Crea, Giuseppe Crea, Emanuele Crea Detto “Ciccellino”, Giovanni Crea, Pasquale Cutrì, Nicola Delfino, Rocco Graziano Delfino, Attilio Firenzuoli, Diego Forgione, Domenico Forgione, Antonino Gagliostro, Cosimo Idà, Giasone Italiano, Antonino Laurendi, Domenico Laurendi, Rocco Laurendi Classe ‘44, Natale Lupoi, Domenico Luppino, Pasquale Modaffari, Bruno Modaffari, Domenico Modaffari, Francesco Modaffari, Vincenzo Modaffari, Carmine Napoli, Giuseppe Carmine Napoli, Giuseppe Novello, Carmine Quartuccio, Giuseppe Rizzotto e Giuseppe Speranza, è stato contestato il reato di associazione mafiosa, per aver fatto parte della cosca Alvaro (suddivisa in vari rami familiari) operante Sinopoli, San Procopio, Cosoleto, Santa Eufemia di Aspromonte, Delianuova e in zone limitrofe, a sua volta inserita nel territorio compreso nella fascia tirrenica della provincia reggina, con le seguenti condotte.
I PRESUNTI RUOLI NELL’ASSOCIAZIONE
Cosimo Alvaro, detto “pelliccia”, avrebbe avuto il ruolo di capo ed organizzatore della cosca, sovrintendendo la gestione del sodalizio e assumendo compiti decisionali, regolando in tutto o in parte l’attività collettiva, con posizione di superiorità; a lui sarebbero state rapportate tutte le attività illecite e para lecite svolte dalla cosca e sarebbe stato il presunto boss a dare disposizioni e ordini, anche con il sistema delle ‘mbasciate, decidendo in ordine ai singoli delitti, agli investimenti e al riciclaggio dei proventi delittuosi.
A Salvatore Alvaro, “Turi u pajecu”, di addebito il ruolo di capo ed organizzatore, in contatto con le figure apicali tra cui Laurendi e Pasquale Cutrì, operativo nel settore dei traffici di droga.
A Giuseppe Bagnato “Pinuccio”, considerato appartenente alla frangia dei Cannizzaro, il ruolo di capo ed organizzatore, ed in quanto tale con il potere di attribuire doti e disporre nuove affiliazioni, nonché di attivare le procedure per l’apertura e il riconoscimento di Polsi;
Natale Lupoi “beccaccia”, avrebbe avuto anch’egli un ruolo di capo ed organizzatore, con compiti operativi nel settore delle estorsioni, del traffico di stupefacenti e dell’usura; a Francesco Cannizzaro “canneddha”, definito “storico ‘ndranghetista” che partecipò al summit di Montalto del 1969, si affida un ruolo di capo, promotore ed organizzatore; a Cosimo Cannizzaro “spagnoletta”, un ruolo di capo, promotore ed organizzatore, con il potere in ordine ai soggetti da affiliare; mantenere i rapporti con i referenti mafiosi degli Alvaro insediatisi a Milano, dove esiste una propaggine; partecipare alle riunioni dei vertici del locale australiano per decidere della “spoliazione” di un affiliato che aveva commesso una grave trascuranza;
Attilio Firenzuoli “Nino u testuni”, è considerato capo ed organizzatore, deputato a risolvere i conflitti tra le due fazioni di Cosimo Idà e Domenico Laurendi; potendo interloquire con i vertici degli Alvaro insediatisi in Australia; a Diego Forgione “u peones”, un ruolo di capo ed organizzatore, in contatto con Laurendi. Quest’ultimo sarebbe stato capo, promotore ed organizzatore di una fazione mafiosa del locale di Sant’Eufemia d’Aspromonte, con compiti di decisione, pianificazione ed individuazione delle azioni delittuose da compiere; deputato a presiedere i riti di affiliazione; potere di attivare le procedure per l’apertura ed il riconoscimento a Polsi di un nuovo locale; statuire in ordine agli imprenditori da sottoporre a richieste estorsive; a lui i componenti della sua frangia mafiosa avrebbero dovuto rendere conto per le attività illecite.
Inoltre avrebbe coordinato le attività di spaccio degli affiliati ed effettuato investimenti nel settore del traffico di stupefacenti; avrebbe poi avuto il potere di decretare e vietare omicidi; provvedere a mantenere i rapporti con i massoni che svolgevano nell’interesse della cosca attività di riciclaggio dei proventi delittuosi; si sarebbe occupato, ancora, di mantenere i rapporti con il mondo politico; infine, avrebbe avuto compiti operativi nel settore delle armi.
Quanto Cosimo Idà “u diavulu”, gli si attribuisce un ruolo di capo promotore ed organizzatore di una fazione mafiosa all’interno del locale di Sant’Eufemia d’Aspromonte; a Domenico Alvaro, di essere in contatto con le figure apicali della ‘Ndrangheta, in vista della competizione elettorale regionale, e deputato a stringere accordi elettorali con il candidato Domenico Creazzo;a Carmelo Napoli “Carminazzu”, un ruolo di capo promotore ed organizzatore.
Infine, sono tutti ritenuti partecipi dell’associazione mafiosa e con vari compiti: Antonino Gagliostro “u mutu”, Vincenzo Carbone “Ceo”, Carbone Domenico “ciacio”, Antonio Crea “spatola”, Emanuele Crea “ciccellino”, Giovanni Crea, Giuseppe Speranza, Emanuele Crea, Pasquale Cutrì, Antonino Borgia, Giuseppe Rizzotto, Giuseppe Novello, Vincenzo Modaffari “u ruggiatu”, Nicola Delfino “Cola”, Angelo Alati “u marucchino”, Bruno Modaffari “u filiciuni”, Rocco Graziano Delfino, Giuseppe Crea, Antonino Laurendi “Ninareddhu u pistolu”, Domenico Modaffari, Francesco Modaffari, Pasquale Modaffari, Giuseppe Carmine Napoli “mpizza”, Vincenzo Condina “u russu”, Carmine “Carmelo” Quartuccio, Domenico Luppino, Giasone Italiano, Rocco Laurendi classe ’44, Domenico Forgione “Dominique u peones”
LA DETENZIONE DI ARMI
L’associazione mafiosa è ritenuta armata perché avrebbe avuto la disponibilità di numerose armi (pistole e fucili), anche ad elevato potenziale offensivo, in parte sequestrate nel corso delle indagini.
Invero, l’ala militare del gruppo di Laurendi avrebbe avuto anche un bazooka, al quale gli indagati avrebbero fatto riferimento durante le intercettazioni. Con l’accusa, a vario titolo, di detenzione e porto in luogo pubblico nonché di cessioni ed attività di compravendita di armi comuni da sparo, da guerra e munizioni, sono colpiti dalla misura cautelare Domenico Laurendi, Giovanni Crea, Antonio Crea, Emanuele Crea cl. 1994, Giuseppe Speranza, Cosimo Laurendi, Michele Romeo, Giorgio Spaliviero, Antonino Gagliostro, Rocco Iannì, Domenico Carbone, Emanuele Crea cl. 1933, Antonino Borgia, Rocco Laurendi, Antonio Luppino, Diego Orfeo, Giuseppe Rizzotto.
LE ESTORSIONI
L’attività di indagine avrebbero consentito di scoprire diversi episodi estorsivi di cui si sarebbero resi responsabili, a vario titolo, i componenti della cosca, anche al fine di infiltrarsi negli appalti pubblici e nell’economia locale.
I delitti di estorsione sono stati contestati a: Domenico Laurendi, per aver costretto con minacce il titolare di un’impresa edile, in relazione ai lavori aggiudicati dal Comune di SanProcopio per il ripristino ed adeguamento di un edificio scolastico, a versare una somma di denaro imprecisata, sicuramente non inferiore a 1.000 euro.
A Domenico Laurendi e Carbone Vincenzo “Ceo”, per aver costretto con violenza e minacce il titolare di una società ad assumere maestranze indicate dalla consorteria criminale nonché a pagare un’imprecisata somma di denaro, in relazione a lavori di ristrutturazione di un edificio a Sant’Eufemia d’Aspromonte, aggiudicati con appalto pubblico.
Domenico Laurendi, invece per partecipare agli utili derivanti dall'esecuzione dell'appalto di risanamento dissesto idrogeologico di un'area all'interno del centro abitato di Sant’Eufemia d’Aspromonte di circa 700 mila euro, avrebbe costretto con minacce (ambientali) il titolare di un'azienda di un’altra regione, ad inserire nell'Associazione Temporanea di Imprese una ditta, la “Costruzioni Flores”, riconducibile a Saverio Napoli, e a concedere in subappalto opere per l'ammontare di 100mila euro alle ditte di Domenico Laurendi.
Domenico Laurendi e Carmine “Carmelo”, Quartuccio avrebbero invece costretto con violenza e minacce un imprenditore reggino ad affidare parte dei lavori di adeguamento, di riqualificazione tecnologica e di miglioramento dell’efficienza finalizzati al risparmio energetico degli impianti di pubblica illuminazione - che con la ditta di cui era titolare si era aggiudicato per l'importo di euro 81.802,90 - ad assumere maestranze ed impiegare i mezzi della ditta di Carmine Quartuccio, acquisendo la disponibilità di euro 20 mila euro (ritenuto il prezzo della tangente).
Domenico Laurendi, Natale Lupoi “beccaccia” e Carmelo Napoli, avrebbero poi costretto il titolare di un’impresa esecutrice di lavori di completamento di una strada pubblica, aggiudicati per un importo complessivo di euro 330 mila euro, a versare una somma di denaro a titolo di “tassa ambientale”, progettando atti minatori o di danneggiamento per indurre la vittima, che stava indugiando a prendere contatti con i referenti mafiosi sul territorio, a rivolgersi all'organizzazione per comprare “la tranquillità”.
A Francesco Crea si contesta la tentata estorsione, perché, dopo aver concesso a un soggetto un prestito di 57 mila euro ed avere ottenuto la restituzione di 65 mila, avrebbe compiuto, con metodo mafioso, atti diretti a procurarsi un ingiusto profitto consistente nella disponibilità di una ulteriore somma di denaro pari a 3 mila euro, con un “correlativo danno per la persona offesa”.
Il metodo mafioso si concretizzava nella simulazione di appartenenza alla nota famiglia mafiosa Crea di Rizziconi, di cui avrebbe speso comunque il nome, accompagnata alla richiesta di corresponsione di denaro, nonché nell'effettuazione di continue telefonate dal contenuto minatorio alla vittima e nel portarsi fin sotto l'abitazione della vittima.
Il tutto non andò però a buon fine per cause indipendenti dalla sua volontà, ovvero perché la parte offesa, pur non denunciando, avrebbe deciso di rivolgersi a Antonino Creazzo, di cui conosceva delle “amicizie mafiose” affinché intervenisse in suo favore per fare cessare le pretese estorsive ai suoi danni.
LA VIOLENZA PRIVATA
A Domenico Alvaro, cl. 1977, è stato contestato il delitto di violenza privata perché, con minacce e con metodo mafioso, spendendo il nome della cosca di appartenenza e prospettando un male ingiusto per sé e per i suoi familiari, avrebbe costretto Francesco Crea a non chiedere somme di denaro alla vittima di una tentata estorsione.
In particolare avrebbe mandato, tramite terzi, “un'ambasciata” mafiosa a Crea contenente un ordine di cessare ogni forma di prevaricazione e vessazione nei confronti della vittima e di non chiedere la corresponsione di altre somme di denaro, lasciando intendere che, diversamente, avrebbe avuto contro sia la ‘ndrina degli Alvaro che dei Crea.
LA FABBRICAZIONE E DETENZIONE DI ESPLOSIVO
Il delitto di fabbricazione e detenzione di materiale esplodente è stato contestato a Giuseppe Speranza, Domenico Restuccia, Francesco Romeo, Carmelo Castagnella. Secondo gli inquirenti avrebbero fabbricato e detenuto un ordigno esplosivo, che sarebbe dovuto essere utilizzato per provocare l'esplosione dell'abitazione storica, confiscata ai componenti della cosca Gallico, in via Concordato di Palmi, e destinata ad ospitare i nuovi uffici del Commissariato di Polizia, come atto ritorsivo all'ordinanza di sgombero adottata nei confronti dei componenti del clan Gallico.
In particolare, Domenico Restuccia e Francesco Romeo, ritenuti esponenti del clan Gallico, avrebbero commissionato la fabbricazione dell'ordigno ai referenti del locale di ‘ndrangheta di Sant’Eufemia d’Aspromonte con cui sarebbe intercorse delle interessenze economiche ed alleanze.
Giuseppe Speranza, ricevuta la commessa, avrebbe dato incarico per la fabbricazione a Carmelo Castagnella, che avrebbe a suo volta provveduto a realizzarlo per corrispettivo di 2mila euro e a conservarlo in un luogo sicuro.
IL TRAFFICO DI DROGA
Pregnanti elementi indiziari sono stati acquisiti anche in ordine al coinvolgimento di alcuni indagati in fattispecie criminose legate agli stupefacenti. Con l’accusa, a vario titolo, di cessione, acquisto, coltivazione, tentata importazione, offerta in vendita di sostanze stupefacenti (prevalentemente cocaina e marijuana) sono attinti dal provvedimento cautelare Giuseppe Speranza, Giuseppe Rizzotto, Girolamo Macrì, Giuseppe Scicchitano, Domenico Laurendi, Luca Docente, Domenico Carbone “Ciacio”, Natale Lupoi “Beccaccia”, Emanuele Crea, Antonino Borgia, Sarino Antonio Carbone, Domenico Restuccia, Francesco Romeo, Mauro Fedele, Giuseppe Orfeo.
Giuseppe Antonio Galletta, Domenico Laurendi e il senatore Siclari Marco, sono invece indagati per scambio elettorale politico mafioso, perché Siclari avrebbe accettato, a mezzo di Galletta, la promessa di procurare voti da parte di Laurendi, in cambio della promessa di erogazione di utilità o comunque della disponibilità a soddisfare gli interessi e le esigenze dell'associazione mafiosa; tra i primi vantaggi che si ritiene siano stati ottenuti, su richiesta del clan, quello in cui una parente di Lupoi Natale fu trasferita da una sede di Poste Italiane a quella di Messina.
IL VOTO DI SCAMBIO
Domenico Laurendi, Antonino Creazzo, Domenico Creazzo, in concorso tra loro avrebbero invece stipulato un accordo relativo ad uno scambio elettorale politico-mafioso; Creazzo, attuale Sindaco di Sant’Eufemia d’Aspromonte, intenzionato a candidarsi alle competizioni elettorali per il rinnovo del Consiglio della Regione Calabria, avrebbe accetto a mezzo dell'intermediario Creazzo, la promessa di procurare voti da parte di Laurendi, in cambio di utilità o comunque della disponibilità a soddisfare gli interessi e le esigenze dell'associazione.
Antonino Creazzo, Domenico Creazzo, Domenico Alvaro, Francesco Vitalone (non destinatario di misura per tale capo di imputazione), Cosimo Alvaro, in concorso tra loro avrebbero anche loro stipulato un accordo relativo ad uno scambio elettorale politico-mafioso: Creazzo, ottenuta la candidatura nel partito “Fratelli d’Italia” per le elezioni del Consiglio Regionale avrebbe accettato, tramite Antonino Creazzo, la promessa di procurare voti da parte di Domenico e Cosimo Alvaro e Francesco Vitalone in cambio della promessa di utilità o della disponibilità a soddisfare interessi e esigenze dell'associazione.
Tra quest’ultime sarebbe stato contemplato il reperimento di attività di lavoro presso ditte del Nord Italia, la messa a disposizione di immobili per incontri illeciti a favore di Domenico Alvaro e il reperimento di una occupazione lavorativa al Parco di Gambarie per Cosimo Alvaro.
Vitalone e Creazzo, in concorso tra loro, e con metodologia mafiosa, minacce o comunque con mezzi illeciti atti a diminuire la libertà degli elettori avrebbero esercitato, direttamente ed indirettamente - servendosi di soggetti incaricati - pressioni per costringerli a votare in favore di Domenico Creazzo.
Le misure cautelari emesse dal gip su richiesta della Dda di Reggio Calabria sono state eseguite dalla Polizia di Stato nell’ambito di questa provincia, ad eccezione di alcune alle quali è stata data esecuzione nelle province di Milano, Bergamo, Pavia, Lodi, Novara, Pesaro, Ancona, Perugia, Genova e Vicenza a carico dei destinatari dimoranti o detenuti (due) per altre cause.
Due soggetti colpiti dalla misura in carcere, i fratelli Domenico Modaffari classe 1994 e Francesco Modaffari classe 1992, localizzati ad Hannover in Germania, sono stati arrestati, in esecuzione di un M.A.E. emesso dal Gip su richiesta della D.D.A. di Reggio Calabria, dal collaterale Organo di Polizia Tedesco.