Operazione Ultima Spiaggia: 52 arresti nel reggino, scacco alla cosca dei Paviglianiti
Dalle prime luci dell’alba di oggi i Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 52 persone ritenute appartenenti e contigue alla ‘ndrangheta, in particolare alla cosca “Paviglianiti”, operante nei comuni di San Lorenzo e Bagaladi.
I soggetti destinatari del provvedimento sono accusati, a vario titolo di associazione di tipo mafioso; concorso in associazione mafiosa; concorso in illecita concorrenza con minaccia o violenza, aggravata dall’aver favorito un sodalizio mafioso; concorso in falsità ideologica commessa da Pubblico Ufficiale in atti pubblici; corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio; concorso in intestazione fittizia di beni; concorso in estorsione aggravata; truffa aggravata ai danni dello Stato; concorso in detenzione e porto illegale in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi comuni da sparo; concorso in furto aggravato ed indebito utilizzo di carte di pagamento; associazione finalizzata alla produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti; concorso in spaccio di ingenti quantitativi di stupefacente (marijuana e cocaina).
Nel corso dell’attività investigativa, denominata operazione “Ultima Spiaggia”, sarebbe stato accertato come il comprensorio dei comuni di San Lorenzo e Bagaladi fosse interamente sotto il controllo della cosca Paviglianiti, consolidata e importante organizzazione criminale della fascia ionica della provincia reggina, della quale sarebbe stato ricostruito l’intero organigramma con l’individuazione anche dei ruoli dei singoli affiliati.
I NUOVI ASSETTI DELLA ‘NDRANGHETA REGGINA
12:59 | Le indagini, avviate nel novembre del 2009, si sono sviluppate in prosecuzione dalle attività investigative svolte dai Carabinieri di Reggio Calabria con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia nell’ambito dell’operazione A.D.A., che avrebbe focalizzato l’attenzione nel comprensorio del comune di Melito di Porto Salvo, dove sarebbe egemone la cosca Iamonte (a sua volta coinvolta anche nell’operazione Crimine e facente parte dell’organizzazione unitaria). Il principio unitario che avrebbe ispirato i nuovi assetti della 'ndrangheta reggina avrebbe determinato l’interazione tra le cosche, facendo così che nel corso dell’operazione A.D.A. venissero chiamati in causa presunti boss e gregari di un altro sodalizio mafioso, capeggiato dalla famiglia Paviglianiti. Famiglia che eserciterebbe il suo predominio nella zona ionica reggina e più specificatamente nel comprensorio dei comuni di San Lorenzo e Bagaladi, dove eserciterebbe la propria influenza condizionando ogni espressione della vita economica e sociale e perfino l’agire delle amministrazioni comunali.
L’attività investigativa svolta, inoltre, ha trovato pieno riscontro nelle successive dichiarazioni rese da Giuseppe Ambrogio, presunto affiliato alla cosca Iamonte che, a circa un mese dal suo arresto maturato nel corso dell’operazione A.D.A., ha deciso di collaborare con la giustizia. L’attendibilità delle rivelazioni fatte in ordine a boss e gregari della cosca Paviglianiti sarebbe data dal legame di parentela che egli ha con personaggi di primo piano della cosca: Lorenzo Marino in primis, di cui Ambrogio ha sposato la nipote, e Consolato Malaspina, cugino della madre, che è anche cognato di Vincenzo Paviglianiti.
I LEGAMI CON GLI ALTRI CLAN
Secondo gli inquirenti le redini della cosca sarebbero sempre state rette da Domenico Paviglianiti, il quale rappresenterebbe il vertice indiscusso dell’omonima cosca, adesso recluso presso la casa circondariale di Ascoli Piceno. In considerazione del regime carcerario cui si trova Paviglianiti, gli interessi della cosca sarebbero curati principalmente dai fratelli Angelo e Settimo Paviglianiti, cui gli inquirenti riconoscerebbero poteri direttivi e di gestione dei traffici illeciti. I vertici della cosca avrebbero sempre intrattenuto rapporti con i rappresentanti di maggior livello delle altre famiglie mafiose, in primis la cosca Iamonte, i cui interessi economici sono inevitabilmente destinati ad intrecciarsi.
Il concetto unitario di 'ndrangheta sarebbe avvalorato, oltre che dall’attività investigativa effettuata, anche da alcuni riscontri oggettivi da cui si evincerebbe il forte legame stretto dai Paviglianiti con presunti affiliati di primo piano della cosca Tegano-De Stefano, egemone nel quartiere Archi del capoluogo reggino.
GLI INTERESSI DELLA COSCA
Gli interessi della cosca andrebbero dall’esercizio della pratica estorsiva, mediante la quale si assicurerebbero il controllo del territorio; al controllo degli appalti pubblici, che sarebbero affidati a ditte compiacenti riconducibili alla cosca; e anche il traffico di stupefacenti che i sodali attuerebbero servendosi di una nutrita schiera di giovani affiliati. Gli introiti derivanti dal traffico di sostanze stupefacenti verrebbero reinvestiti in attività commerciali, della cui gestione si sarebbero incaricati direttamente gli esponenti dei Paviglianiti o prestanome ai quali sarebbe stata intestata l’attività. L’azzeramento della concorrenza, secondo gli inquirenti, sarebbe uno degli obiettivi che il sodalizio si prefigge di perseguire in maniera tale da avere piena libertà d’azione e per il raggiungimento del quale si assisterebbe ad un frequente ricorso ad azioni intimidatorie e danneggiamenti, la cui esecuzione mette il suggello al predominio della cosca sul territorio.
CONCORRENZA ANNIENTATA CON L’INTIMIDAZIONE
Nell’estate del 2010 nasce il Lido “La Cubana” di proprietà di Luca Bruno Cannizzaro, ma che sarebbe riconducibile al cognato, Settimo Paviglianiti. “La cubana” è uno stabilimento balneare, i cui titolari, sin dalla prima stagione estiva, sarebbero riusciti a sbaragliare la concorrenza ricorrendo - secondo gli inquirenti - ad azioni intimidatorie continue (ripetuti gli atti intimidatori e danneggiamenti di cui nel corso degli anni è stato vittima Carmelo Serranò, un operatore turistico della zona del comune di San Lorenzo).
Inoltre gli inquirenti avrebbero scoperto un frequente passaggio del testimone tra prestanome della cosca che si sarebbero avvicendati nella proprietà del Bar “Punto Centosei” (questa l’attuale sua denominazione) che si trova in contrada Arcina del comune di San Lorenzo frazione Marina: da Vincenzo Marino a Giuseppe Muscianisi, fino all’attuale intestatario, Vincenzo Abenavoli, tutti riconoscerebbero in Settimo Paviglianiti il reale proprietario al quale, come sarebbe emerso nel corso di una conversazione ambientale intercettata, devono essere corrisposti i proventi.
IL CONTROLLO DEGLI ENTI PUBBLICI
La pervasività del fenomeno mafioso è tale che nemmeno le istituzioni locali riuscirebbero a liberarsi dal giogo della cosca e la sottile linea di demarcazione tra affiliati ed amministratori pubblici considerati conniventi sarebbe, secondo gli investigatori, sempre più flebile. L’attività d’indagine avrebbe infatti dimostrato come la cosca abbia collocato nei punti nevralgici delle amministrazioni locali uomini di fiducia, attraverso i quali sarebbe stato possibile condizionare il regolare svolgimento della vita politico e amministrativa, nonché stravolgere le regolari procedure di assegnazione dei lavori pubblici diventati quindi appannaggio di una ristretta cerchia di imprenditori presunti affiliati e contigui alla cosca.
Il sostegno fornito da amministratori e funzionari del Comune di San Lorenzo, al servizio della cosca, si sarebbero rilevati determinanti per le indagini, dal momento che in seno al comune, Marco Antonio Sergi e Rocco Giovanni Maesano, rispettivamente responsabile dell’area tecnica e dell’area amministrativa-finanziaria, avrebbero permesso a Cannizzaro di ottenere le autorizzazioni necessarie all’edificazione della struttura, pur in assenza di nulla osta paesaggistico.
Secondo gli investigatori, Sergi e Maesano avrebbero “pilotato” la gestione dei lavori pubblici e avrebbero fatto dei favori ad aziende locali: nel settore edile e del movimento terra a farla da padrone sarebbero l’impresa individuale Antonio Russo, il cui titolare è genero di Angelo Paviglianiti, e l’impresa di Carmelo Iacopino.
IL TRAFFICO DEGLI STUPEFACENTI
La cosca Paviglianiti, inoltre, si sarebbe rivelata molto attiva nel settore del traffico di stupefacenti allacciando rapporti con personaggi attivi nella Locride dai quali sarebbero stati soliti rifornirsi di marijuana e che farebbero capo a esponenti della cosca Morabito-Palamara-Scriva, operante nel comprensorio di Africo Nuovo e dei comuni limitrofi. L’attenzione investigativa focalizzatasi su questo sodalizio, avrebbe evidenziato come questa organizzazione avrebbe gestito un fiorente traffico di sostanze stupefacenti del tipo cocaina anche con le provincie siciliane.
SEQUESTRATE IMPRESE PER 10 MILIONI DI EURO
Contestualmente all’esecuzione del provvedimento restrittivo, è stato eseguito un decreto di sequestro preventivo di 5 imprese (tra cui uno stabilimento balneare ed un frantoio oleario) riconducibili alle cosca Paviglianiti, per un valore complessivo di 10 milioni di euro circa.
Nel corso dell’operazione sono stati impiegati oltre 250 Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, supportati dai militari dello Squadrone Eliportato Cacciatori e dell’8° Nucleo Elicotteri.
h 16: 14 | Ci sono due tecnici comunali dei comuni di San Lorenzo e Bagaladi, tra gli arrestati dell'operazione "Ultima Spiaggia", condotta stamane dai Carabinieri contro la cosca Pavigliniti, e che ha portato all'esecuzione di 52 misure cautelari. I due tecnici sono accusati di concorso esterno in associazione mafiosa. Un militare della Guardia Costiera, invece, è accusato di corruzione, per lui il gip ha disposto gli arresti domiciliari.
Il controllo delle cosche era "asfissiante", ha detto nel corso di una conferenza stampa il procuratore della Dda Federico Cafiero De Raho: "Su due Comuni, San Lorenzo e Bagaladi, che conta poco più di tremila persone, c'è un controllo asfissiante su tutto: le imprese, gli stabilimenti balneari, anche le attività tecniche del comune. I tecnici comunali che in questo caso sono stati arrestati per concorso esterno in associazione, cooperavano perchè la cosca potesse aprire in modo indisturbato qualunque attività economica volesse. Questa - ha affffermato Cafiero De Raho - è la forza delle cosche di 'ndrangheta, quella di riuscire ad avere legami a tutti i livelli, anche all'interno delle istituzioni, all'interno del comune, in questo caso anche all'interno della Guardia Costiera, peraltro agli arresti domiciliari è finito un maresciallo della Guardia Costiera che appunto risponde di corruzione".
Non basta commissariale i comuni se poi dirigenti e dipendenti restano gli stessi, compresi quelli collusi con la 'ndrangheta. È la riflessione del procuratore capo della DDA di Reggio Calabria, che stamani in conferenza stampa ha illustrato i risultati dell'operazione UItima Spiaggia, e che ha visto tra gli arrestati anche due tecnici comunali. "L'insufficienza legislativa - ha duchiarato De Raho - è stata rilevata in diverse occasioni. Effettivamente lo scioglimento manda a casa i consiglieri comunali, il sindaco e la giunta, e poi lascia intatta la struttura burocratica, quella amministrativa, dei dipendenti e dirigenti comunali, che continuano a svolgere indisturbatamente la loro attività, laddove il più delle volte ad agevolare i risultati delle cosche sono proprio quelle strutture burocratiche che adempiono a determinati compiti che sono quelli fondamentali che consentono poi di aprire nuove attività economiche o di realizzare costruzioni e altro".