Estorsioni, cinque fermi: così la cosca gestiva il “pizzo”
È scattata all’alba di stamani l’operazione “Nexum” nel corso della quale i carabinieri di Melito Porto Salvo hanno eseguito nelle province di Reggio Calabria, Roma e Como cinque fermi di indiziato di delitto, emessi dalla Procura Distrettuale Antimafia, e numerose perquisizioni. Ai destinatari del provvedimento vengono contestati l’associazione per delinquere di tipo mafioso, l’estorsione e la tentata estorsione, aggravati dal metodo mafioso.
Le cinque persone raggiunte dal decreto sono considerate appartenenti alla cosca di ‘ndrangheta Paviglianiti, clan attivo tra San Lorenzo, Bagaladi e Condofuri e con ramificazioni anche nel comasco.
I provvedimenti, emessi dalla Direzione Distrettuale Antimafia, sono stati eseguiti a Guidonia (Roma), Lomazzo (Como), Melito di Porto Salvo e Bagaladi e hanno raggiunto Natale e Natale David Paviglianiti, rispettivamente di 42 e 26 anni, entrami di San Lorenzo ma il primo domiciliato a Lomazzo; Francesco Leone, detto “nano”, 29enne di Melito Porto Salvo; Salvatore Polimeni, 46enne di Melito di Porto Salvo residente a Guidonia e Angelo Fortunato Chinnì, 36enne di Melito di Porto Salvo.
LE INDAGINI hanno consentito di far luce su diversi episodi di estorsione e tentativi di estorsione che la cosca avrebbe attuato, tra il 2015 ed il 2016, e che, eseguiti con le tipiche modalità mafiose, hanno riguardato un’azienda della grande distribuzione: si sarebbe accertato come i titolari della società siano stati avvicinati da soggetti considerati “vicini ed organici” alla cosca Paviglianiti.
Importante punto di partenza sono state le riprese video all’interno di un supermercato riconducibile alla vittima che avrebbero certificato come uno degli indagati, senza acquistare, si fosse recato a “far visita” al titolare, chiedendogli un “contributo” volontario “per aiutare la famiglia” a sostenere le spese legali per i propri detenuti.
Il titolare del negozio, nella morsa delle estorsioni della cosca già da diversi anni, venne poi convocato dai militari per essere interrogato: letteralmente terrorizzato, avrebbe cercato fino alla fine di negare di essere mai stato avvicinato, ma gli inquirenti gli fecero capire di sapere già tutto.
L’uomo, visibilmente provato, avrebbe quindi raccontato le numerose vessazioni che, insieme ai propri familiari, sarebbe stato costretto a subire da diverso tempo riferendo poi di un episodio relativo all’acquisto di un immobile oggetto di una vendita giudiziaria, operazione che avrebbe cercato di tenere riservata ma che sarebbe giunta lo stesso alle orecchie di Natale Paviglianiti, ritenuto elemento di spicco dell’omonima cosca, già arrestato nell’ambito dell’operazione “Ultima spiaggia” e scarcerato pochi mesi fa.
Gli inquirenti sostengono che essendo interessato all’immobile, Paviglianiti avrebbe avvicinato l’imprenditore ed i suoi fratelli, chiedendo conto e ragione di quell’acquisto effettuato senza chiedere il “loro permesso” e invitandoli a incontrarsi per “decidere il da farsi”, dato che la sua “famiglia” sarebbe stata dietro a quel terreno già dal 1996.
L’imprenditore, dopo aver visto i fotogrammi estratti dalla video sorveglianza del supermercato che lo ritraevano discutere animatamente con un altro uomo che sarebbe vicino alla cosca, Angelo Fortunato Chinnì, non ha potuto fare a meno di ammettere le richieste di denaro subite negli ultimi anni, ad alcune delle quali ha dovuto cedere.
Gli investigatori hanno appurato poi un altro caso simile di cui fu vittima il proprietario di un noto lido di San Lorenzo (nel reggino), al quale venne chiesto di recuperare “un pensiero” a conclusione della stagione balneare: l’imprenditore, però, decise di non cedere all’estorsione e per questo nel maggio successivo subì il danneggiamento di un mezzo d’opera.
(ultimo aggiornamento 11:45)