‘Ndrangheta ad Isola, operazione “Garbino”: gli arrestati salgono a tredici
Questa mattina la Polizia, su disposizione della Procura della Repubblica di Catanzaro, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Giudice per le indagini preliminari del capoluogo di regione, nei confronti di tredici persone sulle quali sono stati raccolti degli elementi che integrano il reato di associazione mafiosa e quelli satellite di scambio elettorale politico mafioso, usura, estorsione, porto e detenzione illegale di armi e stupefacenti.
Il provvedimento è stato emesso a seguito della convalida da parte del Gip di Crotone del decreto di fermo nei confronti di undici soggetti (QUI) ed emesso nell’ambito dell’operazione Garbino (QUI), articolata indagine svolta dalle Squadre Mobili di Catanzaro e Crotone e che il 3 ottobre scorso è andata a colpire la ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto, nel crotonese (QUI).
Il gip distrettuale ha quindi deciso che restino in carcere Domenico Cristodaro (41enne di Crotone); Domenico Godano (38 anni); Fiorello Maesano (54); Ferdinando Marchio (40); Tommaso Mercurio (58); Fabrizio Pullano (59); Francesco Pullano (43); Maurizio Pullano (29); e Pietro Fiore Pullano (34 anni). Vanno invece ai domiciliari Pasquale Pullano (73) e Pasquale Morelli (76).
A questi undici, con l’ordinanza di oggi, si aggiungono altre due persone, di Cotronei, che sono finite in carcere, e a cui si contesta l’estorsione tentata e commessa con metodica mafiosa ai danni di un imprenditore isolitano: si tratta di Tommaso Rizzuti, detto Masino, di 41 anni, e Antonio Rizzuti, di 42 anni.
Acquisizioni probatorie, frutto di complesse attività tecniche, ed arricchite dai contributi offerti dai collaboratori di giustizia, hanno fatto ritenere agli inquirenti che esista appunto una struttura associativa con al vertice un soggetto a cui rivolgersi per la risoluzione di varie problematiche, come quella di proteggere proprio l’imprenditore di Isola dalle richieste estorsive rivoltegli da esponenti criminali egemoni in altre zone.
Sono stati poi raccolti indizi che evidenzierebbero come lo stesso esponente apicale gestisse anche la cosiddetta “bacinella”, una sorta di “cassa” alimentata con gli incassi delle attività illecite della nota cosca Arena e con i quali venivano sostenuti i carcerati e le loro famiglie.
La prosecuzione delle indagini avrebbe quindi messo in risalto l’ingerenza di varie famiglie presenti nel territorio dimostrandosi, a livello indiziario, la perpetrazione di una serie di reati-fine realizzati in nome e per conto del clan di appartenenza, come il traffico di armi, l’usura e le estorsioni.