Farmaci “imperfetti” a pazienti oncologici, ex primario e vice si difendono: “il reparto non era un lager”

Reggio Calabria Cronaca
Pierpaolo Correale

Fugare ogni dubbio su un sospetto ed un allarme che potrebbe essersi diffuso tra i pazienti in cura presso il reparto di Oncologia del Gom di Reggio Calabria, ovvero il dottore Pierpaolo Correale lo abbia gestito come una sorta di laboratorio di sperimentazione fuori legge di terapie oncologiche sperimentali.

Con questo scopo intervengono gli avvocati Rosario Infantino e Francesco Albanese, legali di fiducia di Correale e del suo vice Rocco Giannicola, indagati nell’ambito di una inchiesta condotta dai carabinieri del Nas che ipotizzano che l’ex primario del Grande Ospedale Metropolitano (in carica fino allo scorso settembre), possa aver somministrato di farmaci guasti ai pazienti del suo reparto, cosa che per ora è costata ad entrambe la sospensione per un anno dalla professione sanitaria, decisa dal Gip del tribunale locale (QUI).

In primo luogo, i legali evidenziano che in relazione alla contestazione di omicidio colposo di un paziente, l’Ufficio di Procura ipotizza essere stato effetto di una diagnosi terapeutica sbagliata da parte del dottor Correale e, successivamente, di tutti gli altri medici del reparto (per come evidenziato dallo stesso Gip nel corpo dell’ordinanza).

Il Giudice ha infatti escluso la fondatezza della ipotesi di accusapoiché la presunta erronea diagnosi terapeutica non ha in alcun modo inciso sul successivo decesso del paziente, poiché la presenza di gravissime metastasi celebrali e polmonari avrebbe reso comunque del tutto inutile anche l’eventuale terapia ritenuta corretta. Anzi, secondo lo stesso Giudice, proprio la presenza di gravissime metastasi celebrali ha giustificato la somministrazione di quella diversa opzione terapeutica” sottolineano Infantino e Albanese.

Il giudice ha anche ritenuto del tutto insussistente la condotta di sottrazione o di distruzione di una lettera di dimissioni del paziente deceduto, poiché la difesa ha dimostrato documentalmente che in realtà questo documento non sarebbe stato mai sottratto da Correale o da Giannicola come invece sostenuto dai medici dello stesso reparto di oncologia che avevano denunciato.

I FARMACI “GUASTI” E “SCADUTI”

Gli avvocati precisano che il magistrato ha invece ritenuto la sussistenza (“in termini di gravi indizi di colpevolezza, cosa ben diversa dalla certezza della responsabilità penale che giustifica una condanna”) in merito alla imputazione di somministrazione di “farmaci imperfetti” contestata ad entrambi gli indagati.

A tal riguardo - affermano Rosario Infantino e Francesco Albanese - giova fare chiarezza soprattutto per la evidente confusione che potrebbe essere generata per effetto degli articoli di stampa in cui si scrive di somministrazione ai pazienti di ‘farmaci guasti’ ovvero di ‘farmaci scaduti’, nonché per il fatto che la genericità con la quale vengono riportati alcuni passaggi dell’ordinanza emessa dal GIP trasmette ai lettori l’erroneo convincimento che l’uso di tali farmaci avvenisse in maniera indiscriminata nei confronti di tutti i pazienti oncologici in cura al reparto di oncologia del Gom ed in maniera del tutto fuori controllo”.

“Peraltro - proseguono i legali - negli articoli di stampa vengono riportati quasi esclusivamente i contenuti delle denunce ovvero delle dichiarazioni dei medici denuncianti, senza dare alcuno spazio agli elementi contrari offerti dagli indagati i quali hanno risposto ciascuno per ben 8/9 ore al Giudice depositato una notevole mole di documenti difensivi”.

13 CASI SU 900 PAZIENTI

In sostanza gli avvocati degli indagati non ci stanno alle semplificazioni giornalistiche che - affermano - “sembrano volere descrivere alla attenzione del lettore l’esistenza di una sorta di ‘lager’ presso il reparto di oncologia del Gom in cui i pazienti oncologici venivano utilizzati per delle sperimentazioni terapeutiche fraudolente che avrebbero comportato delle conseguenze dannose nei confronti degli stessi”.

Su questo punto, pertanto hanno voluto chiarire entrando più nel merito, ovvero che le cosiddette “fraudolente” terapie sarebbero state somministrate soltanto tra il marzo 2017 e il maggio 2018; che in tale arco temporale di più di un anno, a fronte di un numero di circa 900 pazienti trattati presso l’oncologia del Gom, i casi di presunta somministrazione di “farmaci imperfetti” siano soltanto 13.

Inoltre, il riferimento ai “farmaci imperfetti” non equivarrebbe a quello di farmaco guasto o scaduto; piuttosto, l’ipotesi dell’accusa è che per quei 13 pazienti su 900 il protocollo terapeutico sia stato somministrato per “indicazioni terapeutiche non previste ovvero con posologia diversa dall’Autorizzazione alla immissione in commercio degli stessi”; in assenza dei presupposti normativi per la somministrazione in regime di off label (cioè l’utilizzo di un farmaco per impiego diverso da quello per il quale è stato autorizzato) o per “uso compassionevole” (l’uso terapeutico di farmaci sperimentali al di fuori degli studi clinici); e che il protocollo sia stato somministrato anche in assenza di protocolli clinici sperimentali autorizzati.

“Sicché - ribadiscono Infantino e Albanese - appare evidente che l’ipotesi di accusa non riguardi certo l’utilizzo di farmaci ‘guasti’ o ‘scaduti’, ma ben altro. Ovviamente, nel corso dei corposi interrogatori resi al Giudice dai dottori Correale e Giannicola, entrambi hanno fornito tutti gli elementi documentali per dimostrare la assoluta correttezza del loro operato medico e soprattutto il fatto che l’utilizzo di quel protocollo terapeutico fosse corretto e frutto di numerosi studi scientifici che ne acclaravano la bontà terapeutica, che però il Giudice ha ritenuto di non condividere”. Ù

L’APPELLO AL TRIBUNALE DELLA LIBERTÀ

Naturalmente la difesa dei due professionisti proporrà appello al Tribunale della Libertà per dimostrare la fondatezza della propria tesi che, in sostanza, ritiene di essere in grado di dimostrare documentalmente.

I legali vogliono difatti far emergere che le ragioni dell’utilizzo di quella terapia ritenuta “imperfetta” siano dovute al fatto “che quei 13 pazienti fossero purtroppo malati molto avanzati e ampiamente “pretrattati” secondo linee guida, i quali spontaneamente hanno dato il consenso a sottoporsi - in fase terminale - ad una terapia salvavita che prevedeva l’uso combinato di farmaci, tutti approvati e quindi non sperimentali, né tantomeno di personale elaborazione di Correale o Giannicola, in regime di “off label”, per cui l’alternativa terapeutica per quei poveri pazienti e per i loro familiari rimaneva il “non curare” in mancanza di alternative terapeutiche”.

Anzi, nel corso degli interrogatori, ma anche attraverso una corposa memoria difensiva, Correale e Giannicola avrebbero dimostrato che per effetto della somministrazione di quella terapia quei pazienti abbiano conseguito “un sicuro beneficio clinico in termini di sopravvivenza”.

Per Infantino e Albanese, appare poi rilevante evidenziare il fatto che nonostante l’analisi di tutti i 900 casi, nonché in dettaglio di ben 300 cartelle cliniche, i consulenti tecnici (specialisti in oncologia) del pubblico ministero non abbiano ravvisato alcuna conseguenza dannosa in termini di lesioni colpose nei confronti dei pazienti, né tantomeno segnalato che il decesso di qualcuno degli stessi pazienti fosse stato dovuto alla somministrazione di quella terapia qualificata in termini di “farmaco imperfetto”, tanto è vero che in relazione ai 13 pazienti citati, il Pubblico Ministero non ha mai contestato alcuna ipotesi di lesioni colpose o di omicidio colposo.

IL FALSO MATERIALE ED IDEOLOGICO

Il Giudice ha inoltre ritenuto sussistente la contestazione di falso materiale ed ideologico in quanto gli indagati avrebbero inserito nel registro AIFA (l’Agenzia Italiana del Farmaco) di monitoraggio di somministrazione dei farmaci oncologici i dosaggi prescritti e somministrati, indicando dosaggi superiori a quelli realmente somministrati ai pazienti inseriti in registro, indicando patologie diverse da quelle reali per consentire l’uso di quello specifico farmaco oncologico.

“Ciò - precisano gli avvocati - al fine di somministrare la quota di farmaco in eccedenza ad altri pazienti che non ne avrebbero avuto diritto con rimborso a carico del SSN, in quanto non affetti da quella specifica patologia tumorale (cancro al polmone) per la quale quello specifico farmaco era indicato dall’AIFA come rimborsabile”.

Anche in questo caso, i legali evidenziano che in un arco temporale di quattro anni (cioè dal 2017 al 2021) ai quali si riferisce l’imputazione, i pazienti che avrebbero usufruito di questo trattamento favorevole sarebbero stati 20 su un numero di circa 3mila.

In ogni caso, per come i dottori Correale e Giannicola hanno documentato al magistrato in sede di interrogatorio, si sarebbe trattato di pazienti che avrebbero avuto i requisiti per ricevere la somministrazione di quel farmaco con inserimento in registro AIFA e che comunque la somministrazione dello stesso avrebbe prodotto effetti benefici nei loro confronti.

Viene poi sottolineato come la ritenuta discrasia sia dedotta dal semplice confronto tra i registri AIFA acquisiti presso la farmacia ospedaliera del GOM e i soli frontespizi delle cartelle cliniche dei pazienti, non già dalla analisi delle cartelle cliniche nella loro interezza che nella quasi totalità non sono state acquisite nel corso delle indagini.

Quanto all’affermazione che il presunto sovradosaggio fosse finalizzato a somministrare la quota di farmaco in eccedenza ad altri pazienti che non ne avrebbero avuto diritto con rimborso a carico del SSN, in quanto non affetti da quella specifica patologia tumorale, per la difesa costituirebbe “una mera ipotesi considerato che, da un lato tale prospettazione appare oggettivamente non realizzabile in quanto non si comprende come il farmaco che porta un’etichetta prescrittiva con nome cognome del paziente e del medico prescrittore possa essere somministrato ad altro paziente per la presunta quota di sovradosaggio che non è nemmeno concretamente ottenibile, dall’altro il fatto che non sono stati individuati i pazienti a quali la quota di farmaco in sovradosaggio sarebbe stato poi somministrato e sulla base di quale criterio così strettamente iper-selettivo (20 su circa 3.000)”.

Infine, le suddette schede AIFA sarebbero state compilate e registrate anche da altri medici del reparto di oncologia - tra i quali anche gli stessi denuncianti.

Dopo tutte queste precisazioni, ribadendo di rispettare la decisione allo stato adottata dal Gip, i dottori Correale e Giannicola ribadiscono l’infondatezza dei fatti contestatigli confermando “la loro assoluta fiducia nell’operato della magistratura e confidano nella giustizia”.