A Polistena il viaggio tra gli invisibili e le inchieste morali di Domenico Iannacone
Si apre con un appuntamento da non perdere il nuovo anno per “Teatro chiama Terra”, la nuova stagione di Dracma, Centro Sperimentale d’Arti Sceniche all’Auditorium Comunale di Polistena, nel reggino.
In programma il 6 gennaio “Che ci faccio qui - in scena”, di e con il giornalista Domenico Iannacone che porterà sul palcoscenico di le sue storie, il suo viaggio tra gli invisibili, le sue inchieste morali.
Le storie più straordinarie sono quelle che ci passano a fianco senza che ce ne accorgiamo. Spesso sono così piccole che bisogna andare a cercarle tra le tante cose che non valgono nulla.
Il racconto televisivo neorealistico di Iannacone si cala nel teatro di narrazione e trasforma le sue inchieste giornalistiche in uno spazio intimo di riflessione e denuncia.
Il palcoscenico diventa luogo fisico ideale per portare alla luce quello che la televisione non può comunicare. Le storie così riprendono forma, si animano di presenza viva e voce e tornano a rivendicare il diritto di essere narrate.
Iannacone rompe le distanze, prende per mano lo spettatore e lo accompagna nei luoghi che ha attraversato, lo spinge a condividere le emozioni, i ricordi, la bellezza degli incontri e la rabbia per quello che viene negato.
Il teatro di narrazione diventa in questo modo anche teatro civile in grado di ricucire la mappa dei bisogni collettivi, dei diritti disattesi, delle ingiustizie e delle verità nascoste.
Mentre le immagini aprono squarci visivi, facendoci scorgere volti, case, periferie urbane ed esistenziali, le parole dilatano la nostra percezione emotiva e ci permettono di entrare, come una voce sotterranea, nelle viscere del Paese.
Dalla televisione al teatro, la produzione firmata Teatro del Loto - Teatri Molisani, che ha fatto registrare nelle scorse settimane il sold out in tutta Italia, porterà il giornalista molisano a cimentarsi in questo apprezzato format teatrale, trasformando il racconto giornalistico in un percorso intimo, interiore, creando al contempo una dimensione comune di confronto e riflessione con il pubblico.
La scena racchiude così un più puro distillato dell’esperienza televisiva, portando l’immagine a farsi voce, mentre la suggestione diviene coscienza civile e collettiva.