‘Ndrangheta Stragista: accertati intrecci tra mafie, ambienti massonici e politica
La Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria (Bruno Muscolo presidente e Giuliana Campagna a latere) ha depositato la sentenza del processo noto come ‘Ndrangheta Stragista, e con la quale, nel marzo dell’anno scorso, era stato confermato l’ergastolo (QUI) per i presunti mandanti del duplice omicidio - avvenuto il 18 gennaio del 1994 - dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, freddati nei pressi dello svincolo di Scilla dell’allora A3 Salerno Reggio, oggi l’Autostrada A2 del Mediterraneo.
Si tratta di Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, a cui si contesta la responsabilità di quell’agguato che secondo gli inquirenti rientrava nella cosiddetta strategia stragista – le cosiddette “stragi continentali” - che dalla prima metà degli anni ’90 fu messa in atto da Cosa Nostra siciliana e dalla ‘ndrangheta calabrese.
I giudici d’Appello - che hanno dunque confermato le richieste della Dda di Reggio Calabria, guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri e, in particolare, le risultanze dell’inchiesta coordinata dall’aggiunto Giuseppe Lombardo che, insieme al collega Walter Ignazitto ha rappresentato l’accusa anche nel processo di secondo grado - scrivono infatti nella sentenza, di “accertati intrecci” che negli anni si sarebbero dipanati tra le organizzazioni criminali e ambienti massonici e politici, “in una evidente convergenza e commistione di interessi” che avrebbe “al comune intento di destabilizzare lo Stato e sostituire la vecchia classe dirigente che, agli occhi dei predetti, non aveva soddisfatto i loro desiderata”.
L’INTERESSE SU FORZA ITALIA
Quanto proprio alla classe politica, gli stessi magistrati sostengono ancora che “con tutta evidenza” sia la mafia siciliana che quella calabrese, si sarebbero interessati all’allora neonato partito di Forza Italia: un elemento questo riferito da numerosi collaboratori.
Nella sentenza si legge che emergerebbe difatti come “Cosa Nostra avesse deciso di creare un movimento autonomista, al pari di quanto accadeva nel resto del Sud Italia”, progetto che sarebbe stato poi abbandonato portando all’appoggio del nascente partito Azzurro “con alcuni dei cui esponenti i siciliani avevano avviato contatti, tant’è che le stragi cessarono nel corso dell’anno 1994, sussistendo l’aspettativa che il nuovo soggetto politico avrebbe ‘aiutato’ le organizzazioni criminali che l’avevano elettoralmente sostenuto”.
LA STRAGE DEI CARABINIERI
Sempre secondo i giudici d’Appello, non sarebbe poi una casualità “la coincidenza nella scelta degli obiettivi da colpire, individuati sia in Calabria che a Roma negli appartenenti all’Arma dei carabinieri”.
Uomini, quest’ultimi, “evidentemente simbolo della difesa dello Stato” che avrebbero dovuto essere attaccati “in momenti pressoché contestuali in punti geografici distanti tra loro, ma con un’unica finalità, ossia ‘piegare’ lo Stato alle richieste di attenuazione e/o eliminazione del carcere duro per mafiosi e ‘ndranghetisti ed alla revisione della legislazione sui collaboratori di giustizia, che rappresentavano entrambi aspetti di particolare rigore per i criminali interessati, impeditivi della realizzazione dei propri interessi”.
Nelle 1.400 pagine della sentenza, infine, la Corte scrive che “il copioso materiale probatorio non consenta una fondata ricostruzione alternativa rispetto a quella operata dall'organo di accusa” e che pertanto non ci sarebbe alcun dubbio che, su iniziativa di Totò Riina, Cosa Nostra abbia deciso una strategia stragista, da avviare tra il 1991 ed il 1992, che aveva dunque lo scopo di sferrare un attacco contro lo Stato, che sarebbe poi dovuto culminare con la strage dei carabinieri allo stadio Olimpico di Roma, all’inizio del 1994.