Coniugi ammazzati a Vicenza, cold case riaperto dopo 33 anni: arrestato un calabrese
Dopo oltre trent’anni si riapre a Vicenza un cold case che risale al lontano 25 febbraio del 1991, quello dell’omicidio, nello stesso capoluogo veneto, dei coniugi Pierangelo Fioretto e Mafalda Begnozzi.
La Squadra Mobile ha arrestato stamani un 58enne di Cetraro, nel cosentino, Umberto Pietrolungo, considerato l’assassino dell’avvocato vicentino e della moglie, che è stato raggiunto dal provvedimento del Gip nel carcere nel capoluogo bruzio, dove è recluso per altri reati.
È stato lo sviluppo delle tecnologie sul Dna e sull’interpretazione delle impronte digitale a consentire oggi alla Procura locale di poter avere gli elementi necessari per ritenere di poter chiudere l’indagine, oramai archiviata non essendoci la prescrizione per il reato di omicidio, e sebbene la stessa fosse continuata ad esser seguita con esami periodici su quanto periziato dalla Scientifica.
E proprio le impronte digitali rilevate sul silenziatore di una pistola e le tracce di Dna rilevate su un guanto usato dall’assassino, hanno condotto gli investigatori al 58enne calabrese.
La visione, poi, delle sue foto segnaletiche, da parte di alcuni testimoni, ha dato esito positivo col riconoscimento dello stesso Pietrolungo, sebbene siano passati ben 33 anni dal fatto di sangue.
IL DELITTO
Fatto che all’epoca sconvolse la comunità cittadina per la notorietà di Fioretto, legale esperto di diritto societario e fallimentare e consulente di importanti aziende del territorio.
La coppia fu ammazzata alle 20:15 nel cortile interno del palazzo in cui viveva, in contrà Torretti di Vicenza. La mobile, che intervenne allora, ritrovò i cadaveri riversi a terra in direzione opposta, in una pozza di sangue, e attinti i diverse parti del corpo da più colpi d’arma da fuoco.
L’avvocato presentava un colpo alla nuca, la moglie anch’essa attinta alla testa. Per il medico legale si trattava di “colpi di grazia” esplosi quando ormai erano tutti e due a terra. Al suolo si repertarono 17 bossoli di una calibro 7,65, due inesplosi, e vari pezzi di piombo e camicie di proiettile.
Le prime indagini portarono a ritrovare in contrà Santa Lucia, poco distante dal luogo dell’omicidio, sei frammenti di guanti in plastica verdi, del tipo usati in chirurgia, e dento al cortile di un condominio, una pistola semiautomatica con ancora il silenziatore inserito.
All’uscita della stessa contrà un guanto sinistro in pelle di colore scuro.
Quattro giorni dopo, lungo l’argine del fiume Bacchiglione, nei pressi dello stadio, si rinvenne un’altra pistola simile a quella acquisita nei giorni precedenti a Santa Lucia. Entramabe armi giocattolo modificate però per sparare colpi 7,65.
Tutte e due vennero sottoposte agli accertamenti per risalire alle impronte digitali, che all’epoca, date le tecnologie, non furono utili alle indagini.
In assenza di elementi che consentissero di identificare gli autori del delitto, nel 1996 la Procura formulò al Gip la richiesta di archiviazione, accolta agli inizi di dicembre di quell’anno.