Condannati a morte! Firmato Brigate Rosse: la minaccia correva sui social, beccato
“L’esercito rivoluzionario ha promulgato sentenza definitiva di morte”. Iniziava così un commento minatorio, poi eliminato, indirizzato nei confronti dei cosiddetti “diarchi fascisti”, due politici, uno dei quali già deputato.
Messaggi decisamente preoccupanti, apparsi negli ultimi mesi dell’anno scorso in alcuni video sui Youtube, che avevano indotto i destinatari, preoccupati per la propria incolumità, a rivolgersi ai Carabinieri.
A condurre le indagini sono stati così i militari della Stazione di Gioia Tauro, nel reggino, che da subito si sono messi alla ricerca dei possibili responsabili, che si nascondevano dietro nickname ambigui visibili dal social e che riportavano nel nome anche la sigla del Kgb, la sigla dei famigerati servizi segreti dell’ex Unione Sovietica.
“Sappiamo dove abiti, cosa mangi, a che ora hai preso il treno”, “sarà eseguita la sentenza di morte da parte del plotone di esecuzione proletario”: questo il tenore di alcuni dei commenti che, dopo poco, erano stati subito rimossi dagli autori, evidentemente più lenti dei Carabinieri che, da subito, li avevano individuati.
In alcune frasi, alle minacce veniva aggiunta la firma “BR-PCC”, chiaramente riconducibile alle “Brigate Rosse, Partito Comunista Combattente” o quella delle “NBR”, ovvero le Nuove Brigate Rosse, particolarmente evocatrici di anni che hanno visto cadere, anche in tempi più recenti, alcuni servitori dello Stato.
Le due vittime sono entrambe politicamente attive: una, oltre all’impegno istituzionale cura, tra l’altro, un canale Youtube particolarmente seguito.
Il fatto, poi, che venissero citati luoghi specifici dove effettivamente i destinatari vivevano o erano temporaneamente passati, aveva indotto gli investigatori a non sottovalutare assolutamente il contenuto dei messaggi, attivando da subito ogni pista investigativa.
Le indagini hanno fatto ritenere opportuno il coinvolgimento del Ros, il Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri, che ha condotto tutti gli approfondimenti necessari, grazie all’altissima specializzazione del suo personale.
Con l’aiuto di questi specialisti si è potuto individuare - per gli investigatori “in maniera univoca” - la persona che si sarebbe celata dietro ai commenti minatori.
Fortunatamente, dagli accertamenti effettuati, si è potuto di escludere, con ragionevole certezza, ogni collegamento con ambienti dell’eversione, considerando il gesto come l’iniziativa di un singolo, un italiano che vive in Trentino-Alto Adige.
“L’evento – spiegano gli stessi investigatori - oltre a sottolineare la nuova importanza che sempre più hanno i reati informatici, soprattutto tramite l’esplosione dei social media, non deve far sottovalutare le conseguenze che possono avere alcune esternazioni nel mondo virtuale”.
“Difatti - aggiungono - molteplici sono i reati commessi tramite questi strumenti negli ultimi anni, motivo per cui le forze dell’ordine si adeguano costantemente per restare al passo con l’innovazione”.