‘Ndrangheta. Schiaffo alla Locale che “strozzava” il Bresciano: 32 indagati, c’è pure una suora
Le indagini, coordinate dalla Dda bresciana, sono scattate ben quattro anni fa, in particolare nel settembre del 2020. Le attenzioni degli inquirenti si erano da subito concentrare sulla possibilità che nell’area del ricco capoluogo lombardo fosse operativa una consorteria della ‘ndrangheta calabrese, originaria del reggino, di Sant’Eufemia d’Aspromonte, ma che da anni fosse ormai residente e radicata sul territorio sebbene legata da “rapporti federativi” con quella che potremmo definire la “casa madre”, cioè la cosca degli Alvaro, famiglia che come noto controlla la zona aspromontana compresa tra i comuni di Sinopoli e, appunto, di Sant’Eufemia d’Aspromonte.
Da qui si è partiti per arrivare oggi a far ritenere agli investigatori di aver ricostruito l’organigramma del gruppo bresciano che, facendo leva sulla forza di intimidazione dovuta dell'appartenenza alla ‘ndrangheta, avrebbe riprodotto in quell’area della Lombardia una cosiddetta “locale” con tutte le peculiari caratteristiche delle associazioni mafiose.
In pratica replicando nella zona business rilevanti per la criminalità organizzata come quelli delle estorsioni, del traffico di armi e di droga, ma anche della ricettazione così come dell’usura, non disdegnando nemmeno lo scambio elettorale politico-mafioso, sempre utile, quest’ultimo, ad assicurarsi un “controllo” anche sulle attività pubbliche.
Stamani, così, per ventiquattro persone, residenti nelle province di Brescia, Milano, Reggio Calabria, Como, Lecco, Varese, Viterbo e anche all’estero, in Spagna, ritenute far parte della stessa associazione, è scattata una misura cautelare (tra carcere e domiciliari) emessa dal Gip del tribunale locale, che ha anche disposto a loro carico un sequestro di disponibilità finanziarie e beni per oltre 1,8 milioni di euro (QUI).
Ad eseguire i provvedimenti è stata la Polizia di Stato insieme alla Guardia di Finanza bresciana, mentre contestualmente i carabinieri del comando provinciale, sempre nell'ambito della stessa inchiesta, ne hanno eseguita un’altra di misura, per otto indagati.
LA MUTUA ASSISTENZA
Entrando nel merito, le indagini avrebbero fatto emergere dei legami e delle cointeressenze gli indagati e altri gruppi criminali sempre di matrice ‘ndranghetista presenti nell’hinterland bresciano, tra i quali si sarebbe instaurato un rapporto di mutua assistenza utile a realizzare “una moltitudine di condotte illecite”.
Sono stati poi documentati dei presunti legami anche tra l’organizzazione mafiosa e un soggetto con una esposizione pubblica, attivo nella comunità bresciana: in pratica il clan si sarebbe impegnato a sostenerlo elettoralmente con la futura promessa di reciproci vantaggi economici.
LA RELIGIOSA TRA LE SBARRE
Gli inquirenti sostengono che “la pervasività della caratura delinquenziale della consorteria” sia dimostrata anche dalla sua capacità di penetrare le strutture carcerarie e veicolare messaggi ai detenuti, avvalendosi del sostegno di persone fidate e insospettabili, come quello fornito da una religiosa, che, più volte, avrebbe svolto il ruolo di intermediaria tra gli associati e soggetti reclusi, approfittando dell’incarico spirituale che le consentiva di avere libero accesso alle strutture penitenziarie.
Parallelamente, il gruppo avrebbe dimostrato di essere in grado di far evolvere le sue dinamiche economiche, assumendo tutte le caratteristiche delle moderne organizzazioni criminali che operano nel Nord Italia, abbinando ai reati di tipo tradizionale anche quelli economico-finanziari.
IL GIRO DI FATTURE FALSE
L’ipotesi è infatti che gli associati abbiano promosso, costituito ed etero-diretto diverse imprese “cartiere” e “filtro”, attive nel settore del commercio di rottami che, nel periodo delle indagini, avrebbero emesso nei confronti di imprenditori compiacenti fatture per operazioni inesistenti per un imponibile complessivo che si stima intorno ai dodici 12 milioni di euro, consentendogli così, al netto della provvigione spettante all’associazione, di beneficiare dell’abbattimento del reddito e di riciclare il denaro “sporco”.
GLI ARRESTATI
In carcere sono così finiti: Andrea Costante, Reggio Calabria (classe 2000); Pietro Di Bella, Adrano (cl. 19619); Vincenzo Iaria, Taurianova, (cl. 1976); Domenico Larocca, Laureana di Borrello (cl. 1964); Loris Maraffini, Milano (cl. 1970); Michele Oppedisano, Rosarno (cl. 1970); Claudio Ruggeri, Winterthur, Svizzera (cl. 1972); Antonio Domenico Scarcella, Melicucco (cl. 1967); Francesco Tripodi, Reggio Calabria (cl. 1982); Stefano Terzo Tripodi, Sant’Eufemia d’Aspromonte (cl. 1960); Michelangelo Zangari, Vibo Valentia (cl. 1962); Michele Zangari, Melicucco (cl. 1962); Hanwei Zhao, Zhejiang, Cina (cl. 1981); Sergio Chiarini, Brescia (cl. 1961)
Ai domiciliari, invece: Giovanni Acri, Rossano (cl. 1957); Alessandro Castelnuovo, Erba (cl. 1997); Daniele Castelnuovo, Erba (cl. 1985); Roberto Di Leo, Catanzaro (cl. 1955); Anna Donelli, Cremona (cl. 1966); Spartak Hasanpapaj, Lezhe (Albania) (cl. 1979); Claudio Marconi, Brescia (cl. 1964); Oreste Iannone, Avellino (cl. 1958); Eugenio Serafini, Brescia (cl. 1948); Nabil Atiq, Macerata (cl. 1991); Salah Atiq, Marocco (cl. 1975); Angelo Galeazzi, Azzano Mella (cl. 1964)
L’OPERAZIONE
Sono attualmente in corso diverse perquisizioni a cura di ben trecento uomini delle tre forze dell’ordine, estese anche nelle province di Bergamo, Verona e Treviso e condotte, con il supporto di moderni mezzi tecnici, dal Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, dallo Scico della Guardia di Finanza e dall’Arma dei Carabinieri oltre che dalle unità cinofile per la ricerca di armi e droga e dai “cash dog” specializzati nella ricerca, invece, di contanti.
La cornice di sicurezza del blitz è assicurata dall’impiego del personale delle Uopi della Polizia di Stato e di militari specializzati A.T.- P.I. delle fiamme gialle e dell’Aliquota di Primo Intervento dei Carabinieri.