Telefonini in carcere e compagne “manager”, scacco ai La Rosa
Mentre si trovavano tra le sbarre, ristretti in alcuni istituti di pena, avrebbero avuto la disponibilità ed utilizzato diversi apparati radiomobili, in particolare telefoni cellulari e numero schede Sim intestate ad extracomunitari, e così avrebbero comunicato con i loro familiari o con altri soggetti a loro contigui.
Una cosa ovviamente non consentita in carcere e, soprattutto, a soggetti che sono ritenuti tra l’altro al vertice di una importante cosca di ‘ndrangheta di Tropea, nel vibonese, quella dei La Rosa (QUI).
Una “comodità” - questa di poter tranquillamente telefonare nonostante si sia detenuti - a cui stamani hanno messo fine gli uomini della Guardia di Finanza che coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, hanno fatto scattare le manette ai polsi di dieci persone, sette delle quali sono state raggiunte da un’ordinanza cautelare in carcere e i restanti ai domiciliari (QUI).
Le indagini, investigatori dei Nuclei di Polizia Economico-Finanziaria e del Gico, si sono avvalse anche dei intercettazioni che oltre a confermare la disponibilità dei cellulari, avrebbero fatto luce inoltre su diverse estorsioni subite da esercizi commerciali che avrebbero offerto un cosiddetto “sostegno materiale” agli appartenenti alla cosca ancora in libertà, e provveduto anche ai bisogni dei detenuti e al pagamento dei loro legali.
Le figure femminili
Come spiegano gli investigatori, in questo contesto assumerebbero una certa importanza alcune figure femminili, una gravemente indiziata di appartenere al clan, e che sono sospettate di aver gestito le finanze e la riscossione delle estorsioni; avrebbero poi assicurato i contatti tra il carcere e l’ambiente esterno, procurando i telefonini, effettuando le ricariche e diffondendo le istruzioni e i messaggi funzionali al mantenimento della struttura criminale.
L'estorsione all'imprenditore
Dal compendio delle intercettazioni, e dalle successive attività di indagine, è stato possibile riscostruire anche un altro episodio estorsivo, subito da un imprenditore locale durante l’emergenza del Covid, oltre che un episodio relativo al trasferimento fraudolento di un bene immobile, successivamente ceduto a terzi così da evitare l’applicazione delle disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale.
Gli arrestati
Gli arresti in carcere sono stati così decisi per Antonio La Rosa, detto “ciondolino” (63 anni) attualmente al carcere duro e considerato il capo omonimo clan; la moglie di quest’ultimo, Tomasina Certo (61); il fratello di Antonio, Francesco La Rosa, detto “U Bimbu” (54); la compagna di questi, Giusy Costa (48); la figlia di Antonio, Cristina La Rosa (33); il suo compagno Davide Surace (40); e Luigi Federici (27).
Ai domiciliari sono invece finiti il figlio del presunto boss, Domenico La Rosa (36 anni); ed i genitori di Luigi Federici, Francesco Federici (61) e Erminia Bisogni (55).
Le contestazioni
Ai dieci destinatari delle misure si contestano dunque i reati di associazione di tipo mafioso, estorsione aggravata, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti e trasferimento fraudolento di valori.
Eseguite a loro carico ed anche di altri soggetti, delle perquisizioni tra le città di Prato, Terni, Secondigliano, Lamezia Terme, Vibo Valentia, Tropea, Spilinga, Ricadi e Zaccanopoli.
L’attività
L’attività è stata condotta dalle fiamme gialle di Vibo Valentia e Catanzaro, con il supporto del personale del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata di Roma. Le misure cautelari sono state emesse dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catanzaro.