Droga, estorsioni (e politica): il “mandamento” reggino sotto scacco dei clan “associati”
Le più potenti cosche del reggino, quelle storicamente più radicate sul territorio, come gli Alvaro e i Barbaro Castani, avrebbero stretto un’alleanza per controllare praticamente in monopolio, il traffico della droga, soprattutto di cocaina, in tutta Italia.
È quanto mira a dimostrare la Dda di Reggio Calabria con l’inchiesta Millennium (QUI), stamani abbattutasi come un tornado sull’area dello Stretto ed in altre quattordici province del Paese (qui in Calabria a Catanzaro, Cosenza e Vibo), facendo scattare le manette ai polsi di 97 persone, ben 81 finite in carcere e altre 16 ai domiciliari. In totale, però, sono ben duecento gli indagati.
Sequestrate inoltre, due società: un bar pasticceria della Locride i cui prodotti sarebbero stati imposti agli altri commercianti; ed una azienda edile a ritenuta asservita agli interessi del clan, riconducibili ad un soggetto già destinatario di una interdittiva antimafia.
Tra “provincia” e “locali”
Le investigazioni avrebbero permesso in pratica di appurare la permanente caratteristica di unitarietà della ‘ndrangheta, di cui oggi, questa inchiesta, ridisegna e riaggiorna la struttura e i vertici, oltre a confermare l’attualità dell’esistenza della cosiddetta “provincia”.
Si tratta di un organo collegiale che svolge una funzione di raccordo tra i “locali” reggini e quelli dislocati in altre regioni d’Italia e all’estero, e che regola ogni nuova costituzione di strutture di ‘ndrangheta, ingerendosi anche nelle assegnazioni delle nuove cariche, garantendo il rispetto delle regole dell’associazione e dirimendo controversie tra gli associati.
Le indagini hanno permesso di registrare l’operatività dei “locali” di Sinopoli, Platì, Locri, Melicucco e Natile di Careri, oltre a quelli di Volpiano (nel Torinese) e di Buccinasco (nel Milanese).
“Un unico corpo”
Ma per gli investigatori, l’assoluta novità investigativa si può rintracciare nell’ambito del traffico di stupefacenti, la cui gestione è affidata dalle cosche, in regime di monopolio, ad una struttura stabile ed organizzata frutto di un’alleanza (detto “un unico corpo”) tra i locali dei tre “mandamenti” della provincia, sovraordinata alle singole articolazioni e a queste complementare.
La struttura si sarebbe occupata, tra l’altro, di importare dall’estero - specialmente da Colombia, Brasile e Panama - ingenti quantitativi di cocaina nascosta nei container imbarcati su navi, preoccupandosi poi della successiva esfiltrazione attraverso il porto di Gioia Tauro, grazie alla compiacenza di squadre di operatori portuali, per poi distribuirla in tutta Italia, attraverso una ben rodata struttura organizzata e diretta sempre dalle cosche.
In questo ambito l’attività in passato aveva già condotto al sequestro di ingenti quantità di stupefacente.
Il dinamismo dei clan
Dalle investigazioni, poi, emergerebbe il dinamismo degli Alvaro: secondo la ricostruzione degli inquirenti, la cosca avrebbe creato una cassa comune attraverso la quale far fronte alle spese legali degli associati e al sostentamento delle famiglie dei detenuti e della cosca Barbaro Castani (di cui è stato ricostruito l’intero organigramma) che è attiva nella zona di Platì, Ardore e territori limitrofi, nonché nei “locali” di Volpiano e Buccinasco.
Il vertice di quest’ultima, scrupoloso garante delle “regole”, dei “patti” e delle “prescrizioni” sancite in occasioni di importanti summit, rappresenterebbe una figura centrale della ‘ndrangheta unitaria oltreché del “locale” di Platì.
La “messa a posto”
Sono state riscontrate poi le attività estorsive delle cosche nei confronti di commercianti e imprenditori. In particolare la cosca Alvaro avrebbe imposto la cosiddetta “messa a posto” a cui sarebbero state obbligare le ditte aggiudicatarie di lavori pubblici e i commercianti intenzionati ad aprire punti vendita nel territorio di competenza del “locale” di Sinopoli.
I Barbaro Castani, invece, avrebbero imposto pressanti richieste estorsive a tutti gli imprenditori locali che operavano nel territorio da loro controllato, costringendo in pratica a pagare il 3% del valore dell’appalto.
Le infiltrazioni nella Pa
Ma la pervasività dei clan non avrebbe risparmiato neppure le amministrazioni pubbliche, in cui sarebbero riuscite ad infiltrarsi ottenendo informazioni propedeutiche allo svolgimento delle attività criminali, come quelle sulle procedure degli appalti sulle ditte aggiudicatrici e sullo stato dei pagamenti utili per insinuarsi, grazie anche alla compiacenza di imprenditori collusi, in attività economiche collegate, come la vendita di mascherine e guanti all’Asp di Reggio Calabria.
Lo scambio politico-elettorale
Da questo “sistema” non sarebbe rimasta immune nemmeno la politica: l’indagine avrebbe difatti fatto emergere l’esistenza di una presunta associazione a delinquere (i cui presunti appartenenti sono finiti ai domiciliari) che sarebbe stata promossa da uno degli arrestati per favorire l'associazione mafiosa procacciando voti in diverse consultazioni elettorali, in particolare per una candidata (poi non eletta) al Consiglio Regionale della Calabria.
Le frizioni tra le cosche
Ma indagini hanno poi portato anche ad accertare anche momenti conflittualità tra le cosche. Come quella culminata con un sequestro di persona, organizzato dai vertici del locale di Platì, di un appartenente agli Alvaro, a causa di un debito di 45 mila euro per un carico di stupefacente. L’uomo era stato rilasciato solo dopo il pagamento di una prima tranche.
Un altro fato si riferisce ad un episodio estorsivo da parte di uno degli arrestati ai danni di un altro uomo, anch’egli arrestato, per di rientrare in possesso di 125 mila euro consegnatigli, anni addietro, affinché questi potesse corrompere un magistrato non meglio identificato, attraverso dei contatti che il soggetto vantava presso la Corte di Cassazione. Lo scopo sarebbe stato di favorire l’esito del processo in cui era coinvolto il fratello, arrestato nell’operazione “Il Crimine”. Intento che però non andò a buon fine: l’uomo fu fu condannato a 8 anni.
Altri dettagli, infine, emergerebbero dal ruolo avuto da un indagato nel sequestro di persona di Mariangela Passatiore, avvenuto a Brancaleone il 27 agosto del 1977. La vittima fu assassinata poche ore dopo il rapimento e i resti non furono mai ritrovati.
I cinque procedimenti
I provvedimenti di oggi costituiscono l’epilogo di una vasta attività d’indagine svolta dai Nuclei Investigativi del Comando Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria e del Gruppo di Locri, oltre che dalla Sezione Operativa della Compagnia di Locri, sotto il coordinamento della Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, sin dal 2018, e raggruppano cinque procedimenti penali che riguardano le maggiori consorterie di ‘ndrangheta dei mandamenti centro, jonico e tirrenico.