L’Italia torna alle urne per i referendum. A Lamezia ballottaggio Lo Moro-Murone
A distanza di appena due settimane l’Italia si ritrova di nuovo nelle urne. Dopo le Amministrative dello scorso 24 e 25 maggio, difatti, nel nostro Paese - ed evidentemente anche in Calabria - gli elettori sono chiamati a decidere i nuovi sindaci in alcuni dei comuni impegnati nei turni ballottaggi, e per il resto sui cinque quesiti referendari che riguardano, in sintesi, il Job Act, i licenziamenti, i contratti a termine, gli appalti e la cittadinanza.
Quando, come e cosa si vota
Ma andiamo per ordine. Oggi, domenica 8 giugno, dunque, seggi aperti dalle 7 alle 23; domani, lunedì 9, dalle 7 alle 15: basterà presentarsi entro l’orario di chiusura muniti di un documento di identità valido e della tessera elettorale. In caso di file coloro arrivati in tempo avranno comunque la possibilità di votare.
Dopo le 15 di lunedì, poi, inizierà subito lo spoglio delle schede e potranno essere diffusi gli exit poll. Per quanto attiene ai referendum, fondamentale sarà il dato di affluenza per comprendere se sia stato o meno raggiunto il quorum necessario, che è del 50% degli aventi diritto più 1 per ogni quesito, la validità del voto sarà valutata quesito per quesito e non complessivamente.
Sempre per i referendum è possibile infati ritirare anche solo alcune delle cinque schede previste, anche una sola. Così facendo l’elettore parteciperà però e soltanto al quorum dei quesiti corrispondenti. Si vota apponendo una croce sul quadrato che racchiude il Sì o il No.
Lamezia, una poltrona per due
Nella nostra regione, intanto, un solo comune è interessato dal ballottaggio, ed è quello di Lamezia Terme, dove a contendersi la poltrona di primo cittadino sono Mauro Murone e Doris Lo Moro
Murone, sostenuto dal centrodestra, al primo turno ha raccolto 14.796 voti, pari al 44,11% delle preferenze. Lo Moro, candidata del centrosinistra, di voti ne ha presi invece 10.734, pari al 32%. 78 i seggi aperti nella città della Piana.
I cinque quesiti
Questi, invece, i cinque quesiti che saranno sottoposti a tutti gli elettori italiani, che potranno pertanto pronunciarsi anche su uno solo o più di essi (nelle foto i facsimili di ognuna delle schede).
1. Scheda verde
Il primo. Con il Sì o il No sulla scheda verde si chiede se si voglia o meno abrogare il contratto a tutele crescenti introdotto dal Jobs Act, che prevede un’indennità economica in caso di licenziamento illegittimo (calcolato da 6 a 36 mensilità), limitando la reintegrazione sul posto di lavoro solo a casi specifici.
Se vince il Sì si torna quindi alla disciplina precedente prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, come modificato dalla legge Fornero, che prevede maggiori possibilità di reintegrazione.
Pro. Per i favorevoli si tratta di assicurare una maggiore tutela ai lavoratori, prevedendo la reintegrazione come un deterrente più efficace contro i licenziamenti arbitrari.
Contro. Per i contrari sarebbe invece giusto mantenere una flessibilità per le imprese, prevedere i costi di un eventuale licenziamento; si teme poi un aumento del contenzioso e un disincentivo alle assunzioni.
2. Scheda arancione
Il secondo quesito chiede l'eliminazione del limite massimo di 6 mensilità per l'indennità dovuta in caso di licenziamento illegittimo nelle piccole imprese (fino a 15 dipendenti), che al momento è calcolata in base all'anzianità di servizio. In caso di vittoria dei Sì sarà un giudice a determinare l'importo del risarcimento, basandosi su diversi criteri.
Pro. Secondo i favorevoli si tratta di eliminare una disparità di trattamento rispetto ai lavoratori di aziende più grandi, e garantire un risarcimento più equo e adeguato al danno subito.
Contro. Per i contrari, in caso di vittoria del Sì verrebbe invece messa in difficoltà la sostenibilità economica delle piccole imprese, col rischi di richieste di risarcimento sproporzionate, con un aumento dell'incertezza e del contenzioso.
3. Scheda grigia
Il terzo quesito chiede la reintroduzione dell'obbligo generalizzato di indicare da subito una “causale” specifica quando si stipula un contratto a tempo determinato, cosa che al momento non è richiesta per i primi dodici mesi. In caso di vittoria dei Sì, dunque, il contratto a termine torna ad essere una eccezione e deve essere motivato puntualmente.
Pro. Chi sostiene l’abrogazione ritiene che questa modifica possa contrastare la precarietà, limitare l'abuso dei contratti a termine, e che incentivi assunzioni più stabili.
Contro. I favorevoli al No sostengono che le imprese necessitino della flessibilità di questo tipo di contratti per rispondere a esigenze temporanee; si teme poi un rallentamento dell'occupazione e un aumento della burocrazia.
4. Scheda rossa
Il quarto quesito entra nel merito della sicurezza sul lavoro, in particolare nei casi di appalti. I proponenti chiedono infatti l’abrogazione della norma che esclude la responsabilità solidale del committente in caso di infortuni o malattie professionali derivanti dai cosiddetti “rischi specifici propri” dell'attività dell'impresa appaltatrice. Qualora vincesse il Sì il committente tornerebbe ad essere pienamente responsabile in solido con l'appaltatore.
Pro. Chi sostiene il Sì sostiene che si garantirà una maggiore sicurezza sul lavoro, e che i committenti saranno incentivati a scegliere appaltatori più scrupolosi e a vigilare sulla sicurezza, oltre ad assicurare un allineamento con la responsabilità per le retribuzioni e i contributi.
Contro. Secondo i No, si paralizzerebbero i committenti e le filiere produttive, imponendo un onere sproporzionato per rischi non direttamente controllabili dallo stesso committente.
5. Scheda gialla
Il quinto ed ultimo quesito è quello che chiede l’abrogazione del requisito di dieci anni di residenza legale nel nostro paese per ottenerne la cittadinanza. Se vincesse il Sì, i cittadini extracomunitari maggiorenni e gli stranieri maggiorenni adottati da cittadini italiani vedranno ridurre questo termine a cinque anni.
Pro. Per i favorevoli si favorirebbe così una migliore integrazione, si faciliterebbe l’inclusione di residenti di lungo periodo, avvicinandosi agli standard di altri grandi Paesi dell’Unione europea, come la Germania e la Francia.
Contro. I contrari sostengono che cinque anni siano troppo brevi per chiedere la cittadinanza e che vi potrebbero essere verifiche meno approfondite sui richiedenti. Infine il timore è una “diluizione” dell'identità culturale italiana.