Roma, scatta l’operazione Rilancio: arrestati due prestanome della ‘ndrangheta reggina
Secondo i carabinieri del Ros erano prestanome della'ndrangheta attivi a Roma e utilizzati per «penetrare nel tessuto economico» le due persone arrestate per «intestazione fittizia di beni», con l'aggravante delle finalità mafiose, nell'ambito dell'operazione denominata “Rilancio” nel corso della quale sono state effettuate inoltre 17 perquisizioni a carico di altrettanti indagati a piede libero per gli stessi reati e sequestrate – sempre nella capitale - due attività commerciali del valore di due milioni di euro, che si aggiungono a un precedente sequestro preventivo eseguito nel corso dell'indagine per un valore superiore ai 200 milioni di euro.
Le due ordinanze di custodia cautelare, che sono state disposte dal gip su richiesta della procura distrettuale antimafia di Roma, sono state eseguite nelle prime ore di stamani contestualmente alle perquisizioni. I provvedimenti colpirebbero una costola laziale della cosca di 'ndrangheta degli Alvaro, originaria dei comuni reggini di Sinopoli e Cosoleto e dedita al riciclaggio dei capitali illeciti attraverso l'acquisizione di attività commerciali su Roma.
Nel corso delle indagini del Ros è stato documentato quello che gli investigatori definiscono «l'elevato livello di penetrazione raggiunto dalla cosca nel tessuto economico capitolino» ed è stata ricostruita «l'intera rete dei prestanome utilizzati per aggirare le possibili iniziative giudiziarie sul fronte patrimoniale».
I DETTAGLI | L'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Gip del Tribunale di Roma ed eseguita dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale, riguarda Vincenzo Alvaro, figlio dell'83enne Nicola, detto "Beccauso", capocosca del "Locale" di Cosoleto, e Damiano Villari, soggetto definito dagli inquirenti "di elevato spessore delinquenziale" e in stretto raccordo con la cosca Alvaro, nonostante i suoi tentativi di celare tali rapporti. L'indagine "Rilancio", avviata nel 2007, ha documentato l'elevato livello di penetrazione raggiunto dalla cosca nel tessuto economico capitolino attraverso l'acquisizione di numerose attività commerciali e imprenditoriali con capitali illeciti e individuato la fitta rete di prestanome - ben 27 - utilizzati nel business. Due gli interventi già eseguiti due anni fa.
Il 29 maggio 2009, con la cooperazione della polizia della Repubblica Ceca, venne eseguita un'ordinanza di custodia cautelare in carcere - emessa dal Gip del Tribunale di Roma su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia - nei confronti di 12 indagati per associazione per delinquere finalizzata all'introduzione in Europa di ingenti quantitativi di merce contraffatta proveniente dal Vietnam: nella circostanza fu disposto un decreto di sequestro preventivo degli uffici della srl di import-export "MCS-Mediterranean Container Service Shipping", attiva nel porto di Gioia Tauro (Reggio Calabria) ed utilizzata dal sodalizio per lo sdoganamento della merce contraffatta. Il 22 luglio dello stesso anno, venne eseguito un decreto di sequestro anticipato di beni, emesso dal Tribunale di Reggio Calabria nell'ambito di un "procedimento di prevenzione" riguardante Vincenzo Alvaro: furono sequestrati l'intero patrimonio immobiliare e le numerose attività commerciali riconducibili ad Alvaro, tra cui i famosi ristoranti "Cafe' de Paris" e "George's", tuttora sotto sequestro e gestiti da un amministratore giudiziario, per un valore di circa 200 milioni di euro. Gli affari del clan non sono però cessati con il sequestro dell'estate 2009, "a conferma - sottolineano i carabinieri - della perdurante operatività della cosca sul fronte patrimoniale e della pericolosità sociale di Alvaro, che acquistava nuove attività commerciali intestandole a soggetti di comodo al fine di occultarne la reale titolarità e 'oscurare' la sua presenza nella capitale". Si tratta, in particolare, dei due negozi - il bar "Il Naturista" in via Salaria 121 e il bar "Pedone" in via Ponzio Comino n. 74 - oggetto dell'odierno provvedimento di sequestro e del valore superiore ai due milioni di euro. Per gli intestatari fittizi indagati a piede libero e per i quali il pm aveva richiesto una misura cautelare analoga a quella che ha colpito Villari e Alvaro, il Gip "non ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari, in ragione della cessazione della condotta criminosa a seguito dei provvedimenti ablativi eseguiti nel corso delle investigazioni". L'indagine, in estrema sintesi - sottolinea il Ros - ha confermato "la rilevanza ed il ruolo ricoperto da Vincenzo Alvaro, imparentato con gli esponenti di vertice dell'omonima cosca, nonché punto di riferimento nel panorama capitolino e nel centro Italia per tutti gli esponenti della 'ndrangheta interessati ad attività di reinvestimento e reimpiego dei capitali illeciti"; la "molteplicità delle intestazioni fittizie, in particolare delle attività commerciali più rilevanti, in capo a Damiano Villari, e lo stretto raccordo con la cosca Alvaro"; "l'elevato livello di penetrazione raggiunto dalla cosca nel tessuto economico capitolino, inquinato dal massiccio impiego di capitali di incerta provenienza".
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