La nigeriana Kate ha scelto di vivere in Calabria
Il leader del movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, promotore della campagna umanitaria per salvare Kate Omoregbe, ha reso noto di aver di nuovo parlato, questa mattina e pochi minuti fa, con la ragazza nigeriana che dopo essere stata scarcerata lunedì scorso (era detenuta a Castrovillari da due anni e 6 mesi, dopo i primi dieci mesi trascorsi a Rebibbia) ha ottenuto ieri l’asilo politico, sotto forma di protezione umanitaria. Corbelli aveva ricevuto per primo la notizia della libertà di Kate, ieri pomeriggio, quando la ragazza nigeriana lo aveva chiamato mentre era ancora al Cie di Roma. Questa mattina la giovane immigrata ha chiamato di nuovo il leader di Diritti Civili per chiedergli quale struttura scegliere tra quelle che hanno offerto la disponibilità ad accoglierla. Questa mattina - dice Corbelli - ho di nuovo parlato con lei. Era felice ma ansiosa di conoscere la sua sistemazione. Mi ha chiesto quale domicilio doveva comunicare alle autorità competenti.
Ci siamo lasciati in attesa di individuare la soluzione ottimale. Ho subito dopo la telefonata con Kate contattato e parlato con il Presidente della Regione Giuseppe Scopelliti che aveva nei giorni scorsi manifestato la disponibilità ad aiutare e dare ospitalità alla ragazza nigeriana. La soluzione migliore mi è sembrata l?istituto religioso calabrese indicato dal Governatore della Calabria, che per ragioni di privacy per il momento non rendo noto. Pochi minuti fa ho risentito di nuovo al telefono Kate, le ho comunicato questa disponibilità di questo istituto cattolico calabrese. Kate è rimasta contenta. Sarà questa la sistemazione temporanea della ragazza nigeriana. Spero già entro domani di organizzare il suo arrivo e ritorno in Calabria. Intanto Kate resterà, ancora oggi, ospite in una struttura religiosa. La giovane nigeriana di 34 anni era detenuta nel carcere di Castrovillari (dove ha finito di scontare una condanna a quattro anni e quattro mesi, per detenzione di una piccola quantità di droga, rinvenuta durante una perquisizione in un appartamento che la ragazza divideva a Roma, dove lavorava come badante, con altre tre sue connazionali: reato che la ragazza ha sempre con forza ribadito di non avere mai commesso), aveva chiesto asilo politico per poter restare in Italia (dove si trova da dieci anni, con regolare permesso di soggiorno) e non essere espulsa per evitare, nel suo Paese, il patibolo, la lapidazione e la morte per il suo rifiuto (per questo è stata anche ripudiata dalla sua famiglia) di sposare una persona molto più grande di lei (che non ama) e di non volersi convertire (lei che è cristiana) alla religione musulmana.