Ursini Edizioni. Presentato il libro di poesie di Mastro Bruno

Catanzaro Attualità

“La sua data di morte non è certa. Varia dalle notizie di Angelo Pelaia (16 gennaio 1012) a quelle di Biagio Pelaia (6 gennaio 1912), ma Bruno Alfonso Pelaggi, detto Mastro Bruno, nato il 15 settembre 1837 a Serra S. Bruno, da Garbriele e Giuseppina Drago, è indubbiamente una delle voci poetiche dialettali più interessanti e meritevoli d’attenzione della storia letteraria e sociale della Calabria. Ecco perché a 100 anni dalla sua morte, ci sembra opportuno proporre una raccolta organica delle sue poesie”. È quanto scrive Vincenzo Ursini nel presentare il libro “Poesie” di Mastro Bruno che la sua casa editrice propone in questi giorni.

Mastro Bruno si trovò subito a fare i conti con il mondo che lo circondava: “un mondo - aveva scritto 35 anni fa il professore Giampiero Nisticò, tra i maggiori studiosi del poeta serrese - che seppure nel chiuso circolo d’un ambiente provinciale, avvertiva gli scossoni del grande movimento politico risorgimentale, e certo non solo di riflesso, se Serra San Bruno, il 17 giugno 1848, veniva occupata da circa 400 “rivoltosi”, beneficiati, a seconda delle tendenze, della nomea di “Nazionali” o di “Briganti”.

Falliti i moti rivoluzionari del ’48, Serra S. Bruno ebbe il piacere di ricevere la visita (di passaggio) di Ferdinando II che lasciò dietro di sé una scia di promesse e la concessione di pubbliche costruzioni che in realtà fecero di Serra un’oasi relativamente prospera e pacifica nel decennio successivo, stante anche il benevolo (quanto interessato) sguardo del Borbone alla zona che, con le miniere della vicina Ferdinandea, offriva una notevole possibilità di produzione mineraria anche e soprattutto a sfondo bellico. In questo mondo, cui s’aggiungeva il fenomeno del brigantaggio fatto di nostalgici e di disperati, Mastro Bruno cercò di sfruttare al massimo le possibilità culturali che gli offriva la cura paterna del rev. Francesco Cuteri. Per seguire questa via, erano però necessari i mezzi che non ebbe modo di reperire. E diventò scalpellino, ma con la mente rivolta al sociale.

“Tutta la sua poesia, - aggiungeva Giampiero Nisticò – anche negli spunti che paiono più lontani, è aperta denuncia sociale. La denuncia sociale delle plebi meridionali che, a loro livello, non erano riuscite a trovare il loro aedo, che ne cantasse miseria e dignità, accettazione o iroso istinto di reazione. Ai ceti colti che proponevano un discorso culturale spesso vacuo e pretenzioso, Mastro Bruno opponeva l’istintività della sofferenza e della reazione, caratteristica delle plebi meridionali e realtà vissuta d’ogni giorno. Nelle sue poesie (Littera allu Patritierni, Tu Signori, Alla luna, Littera a ‘Mbertu I arré d’Italia, O chi luci, tanto per citarne alcune) la fame è fame reale, la sofferenza è sofferenza reale, le disillusioni sono disillusioni reali e tutto contribuisce ad allontanare l’alba del riscatto. Agli occhi del poeta-scalpellino si presenta in sintesi una realtà brutale, un destino di memoria verghiana che, implacabile come inarrestabile pressa, scende a schiacciare le larve d’umanità che hanno fame e sete reali, sulla terra. Prima che di giustizia nel Regno dei Cieli. Un libro, questo delle Edizioni Ursini, prezioso per gli studiosi, piacevole per i lettori, ma soprattutto essenziale per i giovani che hanno la possibilità di far sì che non sfugga loro più di mano l’occasione per intendere meglio la realtà che li circonda e che li vedrà domani protagonisti.