Mons. Cantafora: “Non abbiate paura”
“Non abbiate paura!” è il grido che precede l’annuncio pasquale: “Il Signore è risorto!”. Le donne si erano recate al sepolcro di Gesù. Lo sconcerto davanti alla pietra ribaltata viene immediatamente superato grazie a questo grido dell’angelo che invita ad affrontare la vita. Dopo aver osservato il riposo del sabato, le donne portatrici di profumi si recano presso la tomba di Gesù. Vogliono offrirgli l’estremo gesto di saluto e onorare il suo corpo. Tutto sembra ormai finito. Ma questo grido, imprevisto e inatteso, offre loro la possibilità di uscire dalla tristezza. In realtà per passare dalla tristezza alla gioia ci vorrà un lungo percorso, ma il grido le scuote: “Non abbiate paura!”. È un invito alla speranza, ad allontanarsi dall’immaginario di strade chiuse, senza vie d’uscita, davanti all’ineluttabilità della morte. La resurrezione di Gesù è un sussulto di vita che scaturisce dalla vittoria di Dio sulla morte, di ogni morte, è una realtà operante ed efficace, è l’evento che cambia il senso della storia umana e cosmica. Laddove respiri olezzo di morte, scopri che esiste anche una vita nuova, ulteriore, che non risponde più alle leggi materiali del tempo e dello spazio: è una vita che si sprigiona dall’amore di Dio e si snoda in inedite dimensioni, è una rigenerazione donata, è grazia per ognuno dei suoi figli e delle sue figlie!
Anche il nostro mondo ha sete di questa vita nuova. I credenti hanno sperimentato che c’è una vita capace di andare oltre la morte terrena: è l’amore seminato, donato e ricevuto, è il bene perseguito con tenacia e perseveranza; è un amore che vince odio, contese e divisioni. Tutto questo ha richiami concreti per noi, oggi, qui, perché sappiamo che la carità sta nel cuore dell’esperienza cristiana. In questo particolare periodo storico per la nostra terra si fa sentire il morso della crisi economica e finanziaria, e in particolare dell’occupazione. “Il Paese, come il resto dell’Europa, è in sofferenza: non si può negarlo. Bisogna però uscire dall’immobilismo … soprattutto azionare tutti gli strumenti e investire tutte le risorse a disposizione – dello Stato, dell’imprenditoria, del credito, della società civile – per dare agli italiani, a cominciare dai giovani la possibilità di lavorare: non solo per sopravvivere, ma per la loro dignità” (Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente CEI, Prolusione del 26 marzo 2012).
Non aver paura della “crisi” che attraversiamo, non significa essere illusoriamente ottimisti, ma credere che questo tempo ci costringe a ripensare, a ritrovare il senso del nostro vivere e del nostro lavorare. In particolare per crescere nella viva coscienza della “responsabilità verso il prossimo”, come dice il Santo Padre, occorre non aver paura di uscire allo scoperto e pensare e promuovere itinerari nuovi, soprattutto per i giovani e “con” i giovani. Occorre cambiare il nostro approccio al lavoro. Già Giovanni Paolo II aveva proclamato, nella Laborem exercens, che “il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro”. La svalutazione del lavoro, su tanti fronti nel nostro Paese, richiede una capacità, un’intraprendenza, una spinta innovativa per passare da un modello sociale “risarcitorio”, fondato su schemi assistenziali, a un lavoro che punti sulle opportunità sociali e sulle capacità individuali e “di squadra”, un lavoro che abbia come obiettivo la dignità e le reali esigenze delle persone singole, delle collettività e finanche dei popoli tutti.
Lavorare implica la fatica di un impegno ma anche la giusta gratificazione. Attraverso la fatica del lavoro si ama la vita. Il sudore della fronte non esaurisce il senso del lavoro, che trova la sua ispirazione più alta nel dominare la terra con amore e nel custodire il Creato. Occorre ritrovare equilibri nuovi che partano dalla consapevolezza di valorizzare talenti e capacità, di formare persone competenti, di contribuire al bene comune in un’ottica di servizio. Gli scenari attuali esigono un’apertura verso un lavoro in rete entro organizzazioni non più separate, ma che siano pienamente parte della comunità sociale. Qui i cristiani sono chiamati a “non aver paura” e a giocarsi per un’etica del lavoro, per una “rinascita” della nostra Calabria che da sempre è tormentata da una spaventosa disoccupazione. Per la Chiesa e i cristiani la disoccupazione non è mai un fatto fisiologico, ma una sfida che ci interpella e ci chiama a ricordare sempre il primato del lavoro sul capitale e al tempo stesso (proprio perché il lavoro non si crea dal nulla) a costruire una società in cui cresca lo spirito di impresa e questo spirito abbia sempre un saldo ancoraggio etico.
Il lavoro è amore visibile. Il lavoro si iscrive nel progetto di Dio creatore e la redenzione operata da Cristo dà al lavoro pienezza di significato e all’uomo che lavora pienezza di dignità. La Dottrina Sociale della Chiesa ci insegna che il lavoro è vocazione, risposta alla chiamata di Dio a trasformare la terra, a servire la vita. Per questo motivo, in questa circostanza storica del Paese, è necessario cogliere tutta l’urgenza della questione del lavoro. Esso sta andando incontro a rischi irrispettosi della dignità di chi lavora: rischiamo di dimenticare che lavorare non è solo produzione di merci ma costruzione di dignità umana e di corresponsabilità civili, economiche e sociali. I cristiani hanno qualcosa di attuale da dire in merito alla dignità del lavoro, supportati dal patrimonio della Dottrina Sociale della Chiesa.
È necessario inoltre riscoprire la festa. Il lavoro non è tutto, non è un idolo. L’annuncio di Pasqua, il monito a non aver paura, avviene dopo il riposo del sabato. È necessario fare festa; essa va rivalorizzata per non essere storditi e pavidi davanti alle novità, per non lasciarci schiacciare da un lavoro totalizzante ed esclusivo nei ritmi, per ritrovare noi stessi assieme alla comunità umana e al Signore, per vivere integrando – oltre al giusto lavoro – tutte le altre dimensioni della vita, dagli affetti familiari, alle relazioni; dalla dimensione trascendente a quella solidale nella custodia del creato. Il lavoro umano è chiamato ad assumere una dimensione visibile dell’amore e della vita, della vita risorta, cambiata e migliorata qui. Come un angolo di Paradiso anche in terra! Che la nostra Pasqua sia contrassegnata da questa lungimirante speranza!