Poesia: Spezzano Albanese ricorda Enzo Agostino

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Enzo Agostino

Gli Amici di Toscana (prof.ssa Giovanna Fozzer e prof.ssa Margherita Pieracci Harwell), la Biblioteca Comunale “Giuseppe Angelo Nociti” di Spezzano Albanese nel decimo anniversario della scomparsa del poeta Enzo Agostino (20 dicembre 1937 Gioiosa Jonica), lo ricordano dando alle stampe Postille a Coccia Nt’ O’ Gramoni. Poesie di Enzo Agostino (Edizioni Polistampa Firenze, 2003/2010).

Le Postille al testo sono di Nicola Reale (giornalista) che si rivela, nelle note che appone a buona parte dei componimenti presenti nel volumetto, un lettore attento e partecipe fin quasi all’identificazione, pur finemente taciuta. Ma tacere può essere lo strumento stesso del sentire, del condividere un canto fortemente appassionato ed altrettanto amaro, oltre che mirabilmente disegnato nelle forme energiche e fantasiose di un antico dialetto.

Enzo Agostino era nato il 20 dicembre 1937 a Gioiosa Jonica (RC), e ai suoi luoghi rimarrà legato tutta la vita in un intenso rapporto di amore-odio. Morto il padre Giuseppe di febbre malarica in Africa, nel 1943, rimane con la Nonna, la Madre e la sorella. La famiglia e buona parte dei Gioiosani erano allora socialisti.

Intellettuale di eccezionale caratura, fin da giovanissimo aveva comprato i libri giusti, da Auerbach a Proust a Luzi, da Pasolini a Joyce e a moltissimi altri, leggendoli con acume e con fuoco, insieme ai classici latini e greci e francesi. Tra i libri della madre già aveva trovato qualche opera di Verga, un D’Annunzio e Shakespeare.

Fu poeta precocissimo quasi a tutti nascosto, tranne che a pochi amici e, in gioventù, alla sorella; severo selezionatore dei propri scritti, rimase volontariamente inedito fino al 2003. L’incontro con tre amici fiorentini (nel 1999), la loro ammirazione, farà via via breccia nel muro della sua riservatezza e lo convincerà a pubblicare Coccia nt’ o’ gramoni, la splendida silloge in dialetto gioiosano, uscita nel 2003, pochi mesi prima della scomparsa, avvenuta il 14 agosto. Della successiva Inganni del tempo aveva preparato il menabò e stabilito il titolo, gli amici la faranno uscire postuma nel maggio 2004.

Già nei primi anni cinquanta Agostino aveva deciso di iscriversi alla Federazione Giovanile Socialista, proseguendo così le tradizioni politiche familiari, nelle quali trovava nutrimento la sua passione per gli ideali di libertà e di uguaglianza. In seguito parteciperà attivamente all’amministrazione del Comune di Gioiosa Jonica, fino al 1992, quando decise di ritirarsi da ogni attività.

Fu politico e intellettuale assai (ma non solo) ammirato, e spesso consultato nella sua Locride e altrove, richiesto sovente di presenze anche in campo letterario, che non mancavano di risultare affascinanti, anche perché ricche d’ironia. Tra le carte inedite depositate all’Archivio Vieusseux di Firenze si trova anche copia delle toccanti e appassionate parole che il poeta giovanissimo pronunciò, su richiesta dei compagni di partito, per i funerali del senatore socialista Agostino, illustre omonimo ma non parente.

Scegliamo di riportare in questo spazio una delle tante poesie contenute nel testo e rimandiamo per il testo completo a Il Sileno rivista di cultura dell’UNICAL.

A ‘N’ATTU POCU SCURA (FRA POCO ANNOTTA / PP. 30-31)

Stasira u’ suli joca

Nt’ò celu ‘i stu pajisi.

Joca cu’ luci poca

sup’ò Casteju

I gatti fannu amuri

Nt’è vineji d’a Chjusa,

adduranu li hjuri

e s’addormentano.

A’ notti est’annegata,

nt’à ll’acqua d’a’ hjumara,

l’anima est’annacata,

‘i vuci e luci

Si linchi ì stji u’ celu,

sonanu mandolini,

e si stendi nu velu

d’umbri e di soni.

È questa una delle poesie più belle di Agostino. Qui il suo animo, scevro del peso delle amarezze e angosce dei fallimenti, delle speranze perdute, dell’inutilità del suo presente e della cupezza del futuro, vive un momento di piena libertà e si libra leggero per assaporare solo e soltanto la magica compiutezza di un giorno che sta per finire. Momenti di perfetta armonia che egli dipinge con poetica ed intensa levità.

Quel sole implacabile, violento, nemico, che nella lirica Menzijornu “abbruscja comu ‘na carcara”, qui è colto in una dimensione quasi intimistica, in un momento di spensierato abbandono mentre gioca nel cielo del paese, gioca con gli ultimi frammenti di luce sopra il Castello. Agostino qui ritaglia un raro momento di serenità in cui ogni cosa sembra intrisa del gusto della vita: i gatti fanno l’amore nei vicoli di Chiusa, i fiori donano il loro profumo e s’addormentano. Sono gli ultimi sereni palpiti di un giorno che ha donato alla vita ogni suo attimo di bellezza. E in questo fluire di tranquillità e di pace, anche l’animo del Poeta, finalmente, si abbandona e si lascia trasportare: “ cullata da voci e luci”.

Nell’ultima strofa, quando “sonanu mandolini,/ e si stendi nu velu/ d’umbri e di soni” assistiamo ad uno straordinario effetto di risonanza: i mandolini di Agostino paiono quasi rimandare al pianoforte di Di Giacomo, che nella notte “sona luntanamente,/e ‘a museca se sente/pe ll’aria suspirà”.]

Le poesie in dialetto di Enzo Agostino posseggono una straordinaria forza evocativa che si manifesta nella melodia lessicale, nella musicalità dei fonemi, prima ancora che nelle immagini e nei concetti che esprimono. In quelle sonorità troviamo sensazioni ancestrali che si aggrappano alle viscere e ci trasportano in territori perduti della memoria o mai ancora esplorati, nei quali ritroviamo la nostra origine e – con essa e in essa – frammenti di verità nascoste o dimenticate. In questa capacità maieutica sta il primo pregio delle poesie dialettali di Agostino.

Ma nel suono delle parole e nel ritmo del verso ascoltiamo anche il respiro e il pulsare del cuore di questo straordinario poeta che racconta la fatica di sopravvivere alla luce del giorno, al caldo, alla solitudine: quasi con la stessa sofferenza di un pesce che, sulla sabbia, ancora vede, desidera e ama la bellezza di quel mare di cui non è più parte.

Come in una rappresentazione tragica dell’antico teatro greco, sul palcoscenico della poesia di Agostino le dinamiche emotive disegnano una sorta di geometria del disinganno: il fallimento e il senso di inutilità della propria vita, il senso di solitudine e di abbandono, la percezione della fine imminente tessono un invalicabile diaframma tra l’animo del poeta e la realtà che lo circonda. Una realtà dove solo la bellezza della natura è ineludibile e prorompente segno di vita, a fronte del senso di solitudine, di disillusione che avvolgono, in un grumo di amarezza, l’animo del Poeta.

Tutto il suo universo poetico è attraversato da un irriducibile dualismo: tra il cielo plumbeo e soffocante del suo animo che getta lampi di tenebre, di inquietudine, di sofferenza, e la struggente bellezza della natura a lui d’intorno; tra la bellezza lancinante di un’alba, di un tramonto o di una notte stellata e la condizione di abbandono e di violenza della sua terra calabra: da lui amata e da cui si sente tradito.