Agraria, concluso ciclo di seminari “Lavorare è un’impresa”
Si è concluso Mercoledì 28 maggio il ciclo di seminari “Lavorare è un’impresa”, promosso dalla Biblioteca del Dipartimento di Agraria dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Il seminario finale ha avuto per tema “La periferia del vasto mondo: l’impresa del sud e le nuove sfide dell’internazionalizzazione”. Protagonisti ne sono stati due relatori di eccezione, entrambi del Ministero dello Sviluppo Economico: il dott. Giuseppe Tripoli, Direttore Generale per le politiche di internazionalizzazione e la promozione degli scambi, e il dott. Romano Tiozzo, Rappresentante delle PMI italiane presso la Commissione Europea.
Introducendo l’incontro il Prof. Giovanni Gulisano ha sottolineato l’importanza dell’iniziativa della Biblioteca di Agraria per l’orientamento “in uscita” degli studenti e la costruzione di strumenti culturali per affrontare le sfide del lavoro. Il Prof. Salvatore Di Fazio, Delegato ai Servizi di Biblioteca, ha presentato il seminario notando come oggi sia inevitabile collocare il tema dell’impresa in un contesto internazionale: “In una società e un’economia globalizzate – ha detto - le scelte quotidiane dipendono spesso, nel bene e nel male, da contesti remoti. Il Sud soffre ancora di una marginalità geografica e di un divario economico e civico rispetto al resto dell’Italia e dell’Europa, per cui ancora si percepisce come una periferia dimenticata. La rievocazione della sua centralità mediterranea resta spesso un’opportunità inespressa. Paradossalmente, nel vasto mondo, nel mercato globale, tutto può divenir centro e tutto è periferia. Allora, sapere guardare con acume oltre il contesto locale, oggi è essenziale per superare i problemi incombenti; lo è anche per cogliere le occasioni positive che ci vengono incontro dai tanti altrove con cui si può entrare in rapporto”. Ciò vale, in particolar modo per le micro, piccole e medie imprese, che sono il cuore pulsante dell’economia nazionale. Secondo i dati ISTAT del 2010 in Italia le MicroPMI rappresentano il 99,9% delle imprese extra-agricole. Il 95% sono microimprese. Per le aziende agricole questo aspetto è più accentuato: il 97,3% sono imprese individuali.
Inevitabile partire dalla crisi attuale. Il 2013 è stato un anno drammatico per le MicroPMI italiane, con oltre 10.000 fallimenti, numero mai registratosi prima. Pesano le difficoltà di accesso al credito; gli alti costi dell’energia (+20% rispetto alla media europea); l’aumento dei costi della logistica, che gravano sulle imprese per circa 12 miliardi di euro. Come uscire dalla crisi? L’internazionalizzazione è un’opportunità concreta?
Dal MISE, in videoconferenza, interviene il Dott. Tripoli: “La crisi è di lungo termine e rende ancora più importanti i temi dell’internazionalizzazione delle imprese e della commercializzazione dei beni e servizi italiani nei mercati esteri. Se la domanda interna è in flessione e il passaggio dalla politica del rigore a quella della crescita e dell’occupazione ritarda, allora l’export rappresenta l’elemento più immediato su cui poter far leva per creare benessere e ricchezza nel Paese”. Come? “Allargando il più possibile non solo il volume dei prodotti esportati ma anche il numero delle aziende esportatrici. In Italia circa 200 mila aziende esportano, ma molte di esse lo fanno solo sporadicamente. Inoltre circa 70 mila aziende sono potenzialmente esportatrici, offrono cioè prodotti e servizi che potrebbero essere apprezzati all’estero, ma non riescono ad esportare. Occorre lavorare affinché le aziende si insedino in modo più forte sui mercati internazionali, soprattutto in una realtà, come è quella italiana, fatta principalmente da PMI”. Il Dott. Tiozzo tiene a precisare: “Quando si parla di internazionalizzazione non dobbiamo necessariamente pensare a contesti remoti. A volte può significare semplicemente superare la ristretta cerchia locale e orientare la produzione al mercato in un modo più intelligente. Un’esperienza interessante l’ho conosciuta in Sicilia: aziende locali hanno introdotto nuove cultivar di mango, realizzando prodotti di eccellente qualità per rispondere in modo mirato a una richiesta dei mercati nord-europei; oggi ne esportano quantità rilevanti in Germania e Austria, dove ce n’è una significativa domanda nelle fasce più alte di consumo”.
Per le imprese più piccole, per chi parte da condizioni di svantaggio, come è possibile penetrare i mercati esteri? Al riguardo Tripoli sottolinea che il problema è generale: “Le aziende possono lavorare in mercati esteri solo se superano una soglia dimensionale minima. Le piccole imprese debbono far massa critica insieme. Consorziarsi, fare rete è fondamentale. Abbiamo nuovi strumenti, come i contratti di rete, rivelatisi molto efficaci in tal senso: imprese che si aggregano liberamente per crescere in competitività e innovazione, conservando la propria individualità.” Tiozzo ribadisce: “Si può far rete tra imprese in regioni diverse, che operano in contesti diversi, in stati diversi, mettendo in comune il meglio che ciascuna può offrire e aiutandosi a superare i problemi, le imprese più solide facendo da tutor per quelle più piccole. Così si possono più facilmente penetrare mercati nuovi, introdurre innovazione, condividere professionalità elevate”.
Le professionalità e l’e-commerce sono gli altri due elementi di successo enfatizzati nell’intervento del dott. Tripoli: “Per l’internazionalizzazione le PMI, singole o in rete, devono dotarsi di vere figure manageriali: persone qualificate in grado di sapere affrontare in modo organico e competente i problemi legati all’esportazione. Ciò vale anche per l’e-commerce, che è una grande opportunità per le MicroPMI, soprattutto per quelle che operano in territori marginali. Non basta un sito internet: l’azienda ha bisogno di essere accompagnata nella sua riorganizzazione complessiva (possibilità di pagamenti elettronici, comunicazione ed evasione degli ordini in altre lingue, ridefinizione logistica, ecc.). Al MISE abbiamo predisposto un portale telematico per offrire assistenza on-line. Infine trovo importante la capacità di osare, di rischiare anche il contatto con interlocutori esterni”.
Il ruolo svolto dall’Università si carica allora di responsabilità. Il dott. Tripoli non ha dubbi: “L’università può far molto per formare figure professionali portatrici di conoscenze avanzate e cultura manageriale, necessarie per l’innovazione e l’internazionalizzazione. Può far molto per favorire l’ingresso dei giovani nel mondo dell’imprenditoria, anche con iniziative come questa. Mi sono piaciuti il titolo e lo spirito di questo ciclo di seminari della Biblioteca di Agraria di Reggio Calabria, che ho voluto condividere sin dall’inizio. Lavorare è davvero un’impresa, e l’impresa comporta questo mettersi continuamente in gioco, condividere un’avventura, aprirsi a nuove possibilità. L’Università deve stimolare questa voglia di rischiare, condividere, rivolgere lo sguardo a quel che accade fuori, viaggiare nel vasto mondo”.
L’ingresso dei giovani nel mondo imprenditoriale è un segnale incoraggiante di questi anni e Tiozzo ne spiega perché: “I giovani che fanno impresa sono più propensi all’innovazione. Da un certo punto di vista le aziende dei giovani imprenditori nascono già strutturate per l’internazionalizzazione: sono nella forma mentis del giovane la proiezione verso altri contesti, la capacità e la voglia di comunicare con l’estero, la dimestichezza con le lingue straniere, le reti telematiche e le nuove tecnologie. Ai giovani sono legate le prospettive più interessanti che stiamo cercando di sostenere, come ad esempio le start up innovative e le iniziative di contaminazione tra imprese, università e laboratori (Contamination Lab, Fab-Lab) per la sperimentazione condivisa di nuovi prototipi, beni e servizi”.
Il dibattito che segue è interessante e tocca temi importanti: i prodotti identitari locali, la promozione congiunta prodotti-territori-turismo, i problemi del mondo professionale, il peso della burocrazia con gli inutili ritardi e complicazioni, gli strumenti che il MISE sta disponendo per aiutare le PMI a superare le difficoltà attuali e favorirne l’internazionalizzazione.
Tra gli altri sono intervenuti l’Ing. Scopelliti (Confindustria), l’Ing. Cirianni (Presidente dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Reggio Calabria), il dott. Previtera, i professori Marcianò e Tamburino. Il Prof. Claudio De Capua, pro-rettore con delega alla Ricerca, ha rimarcato l’impegno dell’Ateneo di Reggio Calabria per formare nei giovani una cultura imprenditoriale. Ne è testimonianza un progetto di Contamination-lab già finanziato e che intende favorire percorsi di studio/ricerca orientati all’innovazione, alla contaminazione tra saperi diversi, tra università e imprese, in un contesto internazionale.
Nell’intervento finale il Prof. Di Fazio ha sintetizzato i risultati acquisiti nel ciclo di seminari conclusosi e ha ringraziato i relatori per aver aiutato, con la loro competenza e disponibilità, ad approfondire il giudizio e acquisire una prospettiva più ampia. “Un primo importante risultato – ha detto - è la tessitura di una rete collaborativa; una rete che interessa sì le istituzioni, ma che riguarda soprattutto persone che si coinvolgono nella stessa avventura e sono disposte a sostenere ed accompagnare i primi passi di chi si affaccia al lavoro”.