Cosca Tegano di Reggio: scatta l’operazione “il Padrino”, 25 fermi per mafia

Reggio Calabria Cronaca
L'arresto di Giovanni Tegano

25 decreti di fermo di indiziato di delitto, emessi dalla Dda, nei confronti di altrettanti soggetti considerati esponenti della cosca di ‘ndrangheta dei Tegano che opera a Reggio Calabria, sono stati emessi dalla Procura della Repubblica ed eseguiti stamani dagli agenti della polizia di stato del capoluogo reggino nel corso dell’operazione denominata “Il Padrino”, indagine che, secondo gli inquirenti, avrebbe consentito di ricostruire l'organigramma della cosca e di acquisire elementi sulle innumerevoli attività illecite gestite dalla stessa.

I FERMATI sono accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere, favoreggiamento e procurata inosservanza pena aggravati dalle modalità mafiose; ad alcuni viene anche contestato di aver favorito la latitanza del presunto boss Giovanni Tegano, 74 anni, condannato all'ergastolo e considerato tra i protagonisti della guerra di mafia che il 1985 ed il 1991 causò oltre 600 morti. Fino all’aprile 2010, anno in cui fu arrestato dalla mobile e dallo Sco in una villetta di località Perretti a Reggio, Tegano era inserito nell'elenco dei trenta latitanti più pericolosi ed era ricercato da 17 anni.


I DETTAGLI DELL'OPERAZIONE

12:42 | L’OPERAZIONE arriva a conclusione di una complessa ed articolata indagine (supportata da presìdi tecnologici) svolta dalla Squadra Mobile con il coordinamento dello Sco ( Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato). I destinatari dei provvedimenti sono considerati intranei o concorrenti esterni delle articolazioni di vertice della ‘ndrangheta reggina costituite dalle cosche reggine dei De Stefano e Tegano.


I DESTINATARI DEL FERMO E I REATI CONTESTATI

Edmondo Branca, nato a Reggio Calabria il 20.4.1979, per il reato di associazione mafiosa;

Francesco Caponera, nato a Reggio Calabria il 13.2.1976 per il reato di associazione mafiosa;

Stefano Costantino, nato a Reggio Calabria il 22.3.1968, per il reato di associazione mafiosa;

Andrea Giungo, nato a Reggio Calabria il 16.5.72, per il reato di associazione mafiosa;

Francesco Giunta, nato a Reggio Calabria il 29.8.1975, per il reato di associazione mafiosa;

Antonio Lavilla, nato a Reggio Calabria il 28.2.1975, domiciliato a Gallina, per il reato di associazione mafiosa;

Antonio Marco Malara, nato a Reggio Calabria il 20.9.1979 per il reato di associazione mafiosa;

Domenico Malara, nato a Reggio Calabria il 9.10.1976, residente ad Archi per il reato di associazione mafiosa;

Giovanni Malara, nato a Reggio Calabria il 13.9.1945, residente a Archi, per il reato di associazione mafiosa;

Paolo Malara, nato a Reggio Calabria il 22.12.1974, per il reato di associazione mafiosa;

Sergio Malara, nato a Reggio Calabria l’8.12.1981, residente ad Archi, per il reato di associazione mafiosa;

Francesco Marino, nato a Reggio Calabria il 24.9.1967, per il reato di associazione mafiosa;

Silvana Marra, nata a Reggio Calabria il 20.5.1984, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa;

Vincenza Marra, nata a Reggio Calabria il 30.4.1983, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa;

Francesco Pellicano, nato a Reggio Calabria il 5.3.1954, per il reato di associazione mafiosa;

Giovanni Pellicano, nato a Reggio Calabria l’8.2.1952, domiciliato a Montepaone (CZ), per il reato di associazione mafiosa;

Antonia Rappoccio, nata a Reggio Calabria il 14.8.1955, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa;

Antonio Rechichi, nato a Delianuova (RC) il 26.6.1939, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa;

Giuseppina Richichi, nata a Bagnara Calabra (RC) il 18.11.1962, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa;

Domenico Paolo Saraceno, nato a Reggio Calabria il 30.7.1945, per il reato di associazione mafiosa;

Giorgio Saraceno, nato a Reggio Calabria il 17.11.1983, per il reato di associazione mafiosa;

Giuseppa Serafino, nata a Reggio Calabria il 9.7.1967, per i reati di favoreggiamento e procurata inosservanza pena;

Giuseppe Surace, nato a Reggio Calabria il 15.6.1970, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa;

Emilio Eugenio Tiara, nato a Reggio Calabria il 10.6.1968, per il reato di associazione mafiosa;

Vincenzino Zappia, nato a Bianco (RC) il 15.03.1968, residente a Reggio Calabria, per il reato di associazione mafiosa).


IL RUOLO DELLO STORICO “BOSS” GIOVANNI TEGANO

Il presunto boss Giovanni Tegano, attualmente detenuto, da epoca anteriore al summit di Montalto del 26 ottobre 1969, sarebbe stato il capo, promotore e organizzatore della omonima famiglia di ‘ndrangheta, allontanatosi volontariamente dal proprio domicilio dal 1985, anno in cui a Reggio Calabria, imperversava la cosiddetta seconda guerra di mafia; sottrattosi ufficialmente alle ricerche dell’Autorità dal 1993 quando, a seguito del processo “Olimpia, venne colpito da alcune ordinanze di custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa, omicidio, violazione della Legge sulle Armi ed altro. Più tardi, con un provvedimento emesso il 17 novembre 2003 dalla Procura Generale della Repubblica di Reggio Calabria, il boss” di Archi fu raggiunto da un Ordine di esecuzione dovendo scontare la pena dell’ergastolo.

Vennero così avviate delle indagini, coordinate da questa Procura della Repubblica, finalizzate sia alla cattura del super-latitante che alla disarticolazione del sodalizio criminoso facente parte alla omonima cosca mafiosa; allo scopo gli inquirenti utilizzarono intercettazioni telefoniche, ambientali e veicolari e di video sorveglianza che, insieme ai servizi di osservazione contribuirono a documentare singoli episodi, considerati utili per delineare il contesto associativo e individuare delle singole posizioni.


I LEGAMI CON I DE STEFANO GRAZIE AL MATRIMONIO DELLA NIPOTE

Le investigazioni avrebbero consentito pertanto di individuare e delineare tutta una serie di soggetti considerati inseriti nella organizzazione che faceva riferimento alla cosca De Stefano-Tegano e di acquisire notizie aggiornate e dettagliate sui rapporti tra la famiglia originaria dei De Stefano e i più stretti congiunti dei fratelli Tegano che avevano rinsaldato la storica alleanza tra le due famiglie con il matrimonio della nipote, Antonietta Benestare, figlia di Saveria Tegano, con Orazio De Stefano, latitante fino al 2004.

La vasta attività scolta sul conto dei più stretti familiari del latitante, ed in particolare il supporto fornito dalle conversazioni captate attraverso le intercettazioni telefoniche ed ambientali che avevano interessato tutti i familiari ed i più stretti favoreggiatori, consentì di delineare un quadro aggiornato riguardo ai soggetti che prestavano la loro opera nel favorire le attività della famiglia Tegano, come se – sostengono gli inquirenti – “fossero alle dipendenze della stessa e sempre facendo capo alle direttive impartite dai quattro generi”.


UN BANCO DI MELONI PUNTO D’INCONTRO DEGLI ADEPTI

Elementi di responsabilità a carico di diversi dei soggetti colpiti dal Fermo sarebbero stati ricavati dal monitoraggio di un interessante punto d’incontro dei vari adepti” della cosca, individuato in un banco dei meloni in località Pentimele - all’interno dello storico quartiere Archi controllato dai Tegano – e gestito da Carmine Polimeni e dai suoi fratelli, insieme ai cugini Paolo Malara, Domenico, Marco e Sergio, figli di Giovanni Malara, deto u ragionieri, i quali – sostengono ancora gli investigatori - si sarebbero prodigati per il buon esito degli appuntamenti, mettendo a disposizione la cella frigorifera della frutta, custodendo i telefoni cellulari degli associati durante le conversazioni riservate, prendendo e girando “imbasciate” e “pizzini”.

Le investigazioni, durate lunghi anni, avrebbero permesso di individuare la cerchia di soggetti ritenuti affiliati alla consorteria mafiosa e gli interessi economici della cosca, rivolti nel campo dei lavori e della gestione degli esercizi commerciali, mediante l’inserimento dei propri affiliati, fra cui, in primis, i generi di Giovanni Tegano, ovvero Antonio Lavilla, Edmondo Branca, Michele Crudo, Carmine Polimeni (nei confronti di questi ultimi due si è proceduto separatamente nell’ambito del processo “Agathos).

Dai servizi di osservazione effettuati dalla Mobile nella circoscrizione di Archi, in riscontro alle conversazioni telefoniche ed alle videoriprese, si sarebbe così delineato il “metodo che avrebbero utilizzato Polimeni e Crudo per far giungere le “imbasciate” al cugino Giovanni Pellicano e, quindi, il ruolo di presunti mediatori che rivestivano il “ragioniere” Malara e i suoi quattro figli, tutti raggiunti dal provvedimento restrittivo.


“U NIURU” AL VERTICE DECISIONALE DEL CARTELLO CRIMINALE

In quei luoghi veniva ripreso anche Francesco Caponera, alias Ciccio “u niuru”, genero del noto Carmelo Barbaro, 66 anni, considerato esponente di spicco della cosca De Stefano-Tegano e attualmente detenuto al 41 bis. Secondo gli inquirenti avrebbe condizionato le recenti sorti della‘ndrina di riferimento, divenendo il centro decisionale della stessa, nonché la longa manus del più blasonato suocero, collocandosi al vertice del gotha decisionale dell’organigramma malavitoso riconducibile al cartello criminale De Stefano/Tegano. Lo stesso Caponera, grazie alla rete posta in essere dal suocero, avrebbe gestito numerosi canali di approvvigionamento economico del clan di appartenenza nel tentativo di garantirne la sopravvivenza e la transizione.

Un ruolo di rilievo gli inquirenti lo attribuiscono anche a Eugenio Tiara, ritenuto il terminale operativo e decisionale della cosca nella gestione di diversi esercizi commerciali del capoluogo, il quale spesso vi sostava per lasciare “imbasciate” destinate al Michele Crudo tramite i fidati Domenico Malara e Domenico Polimeni.

Malara, sostengono ancora gli investigatori, “apparentemente gestiva soltanto la contabilità delle ditte facenti capo a Giovanni Pellicano, denominate “Azienda agricola allevamento S. Antonio di Polimeni Maria” e “Commercio bestiame di Giovanni Pellicano”, ma l’indagine” avrebbe appurato che i contatti intercorrenti tra i due celavano interessi “che andavano ben oltre il consueto e lecito rapporto di lavoro e che, pertanto, il continuo scambio di documenti dissimulava la consegna di pizzini da Pellicano verso il Malara, da far giungere agli altri consociati.


ANCHE UN PRIMARIO A DISPOSIZIONE DEL CLAN?

Sempre per associazione mafiosa è stato sottoposto al fermo anche il fratello, Francesco Pellicano, medico biologo e Primario del Reparto di Analisi dell’Ospedale di Polistena (RC), dove, il 12 giugno del 2009, era stato catturato, in stato di ricovero, il pericolosissimo latitante di ‘ndrangheta Antonio Pelle detto Gambazza, deceduto (a 77 anni) a Locri il 4 novembre 2009. Gli inquirenti affermano di poter dimostrare che il professionista, “sfruttando le proprie funzioni e la sua collocazione sociale”, sarebbe stato costantemente nella disponibilità della cosca per qualsivoglia necessità.

Complessivamente, le indagini hanno consentito di raccogliere elementi tali da ritenere che i germani Pellicano facciano parte della cerchia di soggetti “a disposizione” della ‘ndrina per organizzare gli incontri tra i sodali e tra questi e terzi.

Per gli investigatori le capacità di mediazione dei Pellicano in favore di alcune tra le più pericolose e potenti famiglie di ‘ndrangheta della provincia (in particolare i Pelle-Giorgi) e la famiglia Tegano, individuerebbero negli stessi dei soggetti a disposizione” della ‘ndrangheta, attraverso le stesse articolazioni territoriali, per organizzare gli incontri tra i sodali e tra questi e terzi.


CONSENSI ELETTORALI RACCOLTI DALLA COSCA

Giovanni Pellicano, ritenuto il referente diretto del capo cosca Giovanni Tegano, di cui avrebbe gestito la latitanza e la trasmissione dei suoi messaggi agli altri associati per la vita dell’organizzazione criminale, sarebbe poi il soggetto che, con l’aiuto del fratello Francesco si sarebbe attivato, nel 2010, per raccogliere il consenso elettorale a favore di soggetti politici locali: non a caso, a Terreti, nel covo del latitante Tegano, nella stessa stanza in cui veniva arrestato, la Squadra Mobile ritrovò numerosa documentazione elettorale.

In occasione delle elezioni regionali del 2010, per il rinnovo del Consiglio regionale della Calabria, un "referente diretto del capo cosca Giovanni Tegano", Giovanni Pellicano, si sarebbe attivato insieme al fratello, anche presso altre consorterie mafiose operanti in provincia, per raccogliere voti in favore di soggetti politici locali ed in particolare dell'ex assessore regionale nino De Gaetano ex esponente di Rifondazione Comunista poi transitato nel Pd. Il particolare emerge dagli atti relativi all'operazione "Il Padrino" di oggi ed è stato confermato dal capo della squadra mobile reggina, Gennaro Semeraro. Nel covo di Giovanni Tegano gli investigatori hanno rinvenuto materiale elettorale riferito all'esponente politico. A carico di Nino De Gaetano, tuttavia, non viene mossa alcuna contestazione. Procedono però gli accertamenti su presunti tentativi di condizionamento del voto da parte della cosca.


I RAPPORTI CON IL “KILLER” DELLE COSCE

La video-sorveglianza del banco dei meloni di Pentimele avrebbe consentito inoltre di accertare i rapporti di frequentazione tra i generi del latitante ed alcuni soggetti, emersi nel corso della lunga attività investigativa, ritenuti contigui alla cosca Tegano; infatti, in quel luogo, sarebbe stato spesso presente, oltre a Stefano Costantino, cognato del pluripregiudicato Paolo Polimeni, detto Lucifero, Vincenzino Zappia, già condannato per associazione mafiosa nell’ambito del processo “Olimpia”, personaggio dalla elevata caratura criminale, killer delle cosche De Stefano e Tegano, scampato alla morte più volte nel corso della seconda guerra di mafia alla quale aveva preso parte nelle file dei destefaniani costituendo un gruppo di fuoco entrato in conflitto sia con le forze dell’ordine che con i componenti delle opposte consorterie mafiose.

Zappia, secondo quanto svelato dall’indagine (e confermato da vari collaboratori di Giustizia quali Villani, Moio, Fracapane e Fiume) avrebbe ricordo, con estrema frequenza, agli incontri tra gli altri associati nei noti luoghi di ritrovo, spesso in compagnia di Andrea Giungo, altro soggetto considerato di spessore nelle cosche. Durante questi appuntamenti, riservati (ai quali si sarebbe recato usando la cautela di lasciare i telefoni cellulari a qualcuno durante le conversazioni ed appartandosi in luoghi nascosti) avrebbe gestito gli affari criminali di cui parlano i collaboratori.


LA FAMIGLIA “SATELLITE” DEI POLIMENI-SARACENO

Un altro luogo centrale in cui sarebbero stati raccolti elementi investigativi è l’esercizio commerciale “Il Mercatone della Frutta 2, sito in via Vecchia Provinciale Pentimele di Reggio Calabria, di fatto gestito da Domenico Polimeni (51enne reggino sposato con Rosa Saraceno e fratello di Paolo detto “Lucifero”), da suo cognato Paolo Saraceno (41) n, figlio del “ragioniere” Domenico Paolo detto appunto “u ragiuneri” e ritenuto capo indiscusso della famiglia satellite” Polimeni-Saraceno.

Fra questi sarebbe emersa anche la figura di Francesco Marino, genero del ragioniere, il quale avrebbe fornito supporto logistico a Carmine Polimeni ed a Michele Crudo per favorire la realizzazione di incontri di natura riservata.


COSÌ GLI INVESTIGATORI “BECCARONO” IL BOSS LATITANTE

Le attività di videosorveglianza, i pedinamenti e le intercettazioni avrebbero permesso di fotografare la rete di soggetti che, attraverso un linguaggio cifrato, si incontravano per consentire al capo Giovanni Tegano di guidare la cosca e seguirne gli interessi dai nascondigli dove trascorreva la sua vita da latitante. Il quadro si completerebbe attraverso il monitoraggio di alcuni momenti che ritraggono le fasi in cui è avvenuto lo spostamento del latitante da un luogo all’altro, ovvero dall’abitazione dei Richichi, a contrada Terreti, dove verrà poi catturato.

In quella circostanza, il 2 febbraio del 2010, la Polizia avrebbe registrato l’arrivo nella Traversa Plutino di Giancarlo Siciliano alla guida di una Fiat Panda. Siciliano sarebbe il figlio di Antonia Rappoccio (titolare di una Sanitaria) la quale risponde di concorso esterno in associazione mafiosa poiché accusata di aver apportato “un contributo concreto e specifico nel facilitare gli incontri tra i vari sodali”. Siciliano, quel giorno, entrò in maniera defilata all’interno dello stabile ed uscì insieme ad una donna, riconosciuta come Giuseppina Richichi, con la quale avrebbe scambiato alcune parole per poi sistemare, frettolosamente ed insieme alla stessa, alcune buste all’interno del mezzo; dopo pochi secondi veniva notata un’altra donna, riconosciuta per Silvana Marra (figlia di Giuseppina Richichi) che usciva dallo stabile portando con sé altre buste che venivano poi riposte nel bagagliaio della Fiat Panda. Ad un certo momento, apparve un soggetto anziano con in testa - raccontano gli inquirenti - la classica “coppola: era il vecchio padrino Giovanni Tegano, che entrò nella macchina del Siciliano dopo aver salutato affettuosamente sia la Rechichi che le sue due figlie. Queste si sarebbero attivate per il trasferimento del latitante accompagnando Siciliano nel nuovo covo e utilizzando la loro autovettura (una Toyota Yaris) come apripista.

Analizzando il tragitto e i tempi di percorrenza delle auto si dedusse che il “Padrino della ‘ndrangheta calabrese” era stato portato a Terreti; non a caso i componenti della famiglia Rechichi avevano avuto la cautela di non far venire nessuno a casa loro in quel giorno.

Fu allora che l’indagine giunse ad una svolta al punto che, continuando a seguire i movimenti di Siciliano e Giovanni Pellicano, si giunse ad individuare il covo di Contrada Terreti, dove il data 26 aprile 2010, secondo un piano d’intervento prestabilito, la Squadra Mobile effettuò la cinturazione e l’irruzione all’interno dell’abitazione al civico nr. 11.

Gli investigatori all’interno dell’immobile, nel vano adibito a cucina, trovarono Giancarlo Siciliano insieme a Giuseppe e Antonino Morabito (entrambi arrestati), nonché Giuseppa Serafino e Fortunata Morabito, rispettivamente moglie e figlia di Giuseppe Morabito. Nella stanza adiacente al vano cucina, adibita a soggiorno/salotto, invece, vennero sorpresi Carmine Polimeni ed il latitante Giovanni Tegano, il quale tentò invano di nascondersi tra i mobili della stanza da letto dei coniugi Morabito-Serafino.

L’Operazione si concluse brillantemente con il rinvenimento di un borsello, all’interno del quale vi erano una pistola Beretta, cal.6,35 con matricola punzonata, con il colpo in canna e munita di caricatore, oltre a 43 cartucce di cal. 6,35, e numerosi biglietti manoscritti.


IL PROSIEGUO DELL’INDAGINE

Nell’ultimo periodo, sono stati svolti altri approfondimenti sulla famiglia di ‘ndrangheta che avrebbero confermato l’attuale operatività della cosca e gli interessi dei suoi componenti nelle varie attività economiche e nel tessuto sociale cittadino. Le risultanze investigative cui sarebbero giunti gli inquirenti con l’inchiesta sarebbero state suffragate da fonti collaborative, ovvero da informazioni rese, nel tempo, dai collaboratori di Giustizia, fra cui i noti Villani, Moio, Fracapane e Fiume.

Alla luce di tutto ciò, sono stati ritenuti sussistenti “i gravi elementi” necessari per l’emissione di un provvedimento pre-cautelare, in considerazione della natura della organizzazione criminosa, della quale sarebbe stata dimostrata l’amplissima disponibilità di mezzi necessari per garantire anche lunghe latitanze (come quella di Tegano che, come detto, si è protratta per oltre venti anni), oltre alla disponibilità di tutti gli associati a fornire rifugi sicuri agli indagati, così da rendere concreta la disponibilità di un supporto logistico nella predisposizione ed organizzazione della strategia di fuga. Inoltre, la perdurante attività delittuosa dei suoi accoliti ed il conseguente stato di fibrillazione della cosca sarebbero state ulteriormente confermate da recentissime acquisizioni, consistenti in arresti in flagranza di reato per detenzione di armi clandestine e sequestro a scopo di estorsione di soggetti legati alla consorteria mafiosa, avvenuti nella frazione di Terreti.

Alla fase esecutiva dell’operazione di oggi hanno preso parte gli investigatori del Servizio Centrale Operativo di Roma, della Squadra Mobile di Reggio Calabria, con il concorso di pattuglie del Reparto Prevenzione Crimine “Calabria” di Siderno e del V Reparto Volo di Reggio Calabria.

Tra i 25 fermati nell'ambito dell'operazione Il Padrino, vi è un medico biologo, Francesco Pellicano, primario del reparto di Analisi dell'Ospedale di Polistena (RC), dove, il 12 giugno 2009, era stato catturato, in stato di ricovero, il pericolosissimo latitante di 'ndrangheta Antonio Pelle, alias "Gambazza", deceduto a Locri il 4 novembre 2009. Secondo gli investigatori il professionista, sfruttando le proprie funzioni e la sua collocazione sociale, sarebbe stato costantemente nella disponibilita' della cosca per "qualsivoglia necessità".(