Omicidio Bruni. Arrestati i presunti reggenti del Clan “Rango-Zingari”, uno è ricercato
I Carabinieri e la Squadra Mobile di Cosenza hanno eseguito stamani un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Maurizio Rango (38 anni) e Franco Bruzzese (47). I due, che sono ritenuti i “reggenti” della cosca di ‘ndrangheta dei “Rango-Zingari”, clan egemone nel cosentino, sono gravemente indiziati del reato di concorso in omicidio pluriaggravato e dell’occultamento di cadavere di Luca Bruni, di cui si sono perse le tracce dal 3 gennaio del 2012. Rango e Bruzzese dovranno anche rispondere di porto e detenzione illegale di armi. Tutti i reati sono aggravati dalle metodologie mafiose. Un’altra persona, Daniele Lamanna (40 anni), anch’egli ritenuto esponente di spicco del gruppo criminale e destinatario dello stesso provvedimento, è irreperibile ed è attualmente ricercato.
L’ordinanza è stata avviata sulla scorta delle indagini coordinate dai Procuratore Lombardo, dagli aggiunti Luberto e Bombardieri e dal sostituto Bruni. Le indagini sono state condotte dal Nucleo Investigativo del Reparto Operativo e dalla Mobile.
Le investigazioni sono partite dopo la denuncia, nel gennaio 2012, della scomparsa di Luca Bruni che, poco prima, era stato scarcerato e aveva assunto un ruolo di vertice del suo gruppo, ruolo ottenuto a seguito della prematura scomparsa del fratello Michele. Bruni, secondo gli inquirenti, stava tentando di organizzarsi per ampliare il raggio d’azione degli interessi illeciti della cosca. Evidentemente questo fatto sarebbe andato in contrasto con gli accordi che erano stati già stabiliti in un “patto” tra la cosca degli “Italiani” e quella degli “Zingari”, la prima capeggiata da Ettore Lanzino e la seconda, nel periodo di riferimento, da Franco Bruzzese. Nei confronti degli “Italiani”, spiegano gli investigatori, Bruni avrebbe nutrito un forte risentimento ritenendola “storicamente” responsabile della morte di suo padre Francesco, detto “bella bella”.
L’indagine, che è stata piuttosto lunga e si avvalsa anche del contributo di alcuni collaboratori, tra cui Adolfo Foggetti, avrebbe permesso di raccogliere dei “gravi e concordanti indizi di colpevolezza” nei confronti degli arrestati di oggi che, in concorso tra loro, “con premeditazione” e per “agevolare l’attività delittuosa della cosca” di riferimento, spiegano sempre gli inquirenti, avrebbero attirato la vittima in un tranello: facendogli credere di partecipare a un incontro al vertice dell’organizzazione mafiosa con gli allora latitanti Ettore Lanzino e Franco Presta, gli avrebbero invece esploso contro alcuni colpi d’arma da fuoco e, dopo, ne avrebbero fatto sparire il cadavere che è stato ritrovato solo di recente.