‘Ndrangheta. 150 milioni di euro confiscati al presunto boss Rocco Musolino
Beni per un valore complessivo di 150 milioni di euro sono stati confiscati dalla Dia e dai Carabinieri di Reggio Calabria, col coordinamento dalla Dda. Il provvedimento colpisce 338 immobili (ville, fabbricati, terreni ed appartamenti) e compendi societari e finanziari riconducibili a Rocco Musolino, 88enne imprenditore del settore boschivo deceduto il 12 giugno e ritenuto dagli inquirenti un affiliato di spicco della ‘ndrangheta, in particolare era considerato il capo della “locale” di Santo Stefano d’Aspromomte.
Le indagini che portarono già al sequestro dei beni (nel marzo del 2013) a carico di Musolino, definito dagli investigatori come il "re della montagna" furono avviate dai Carabinieri nel 2008, a seguito di un tentato omicidio ai suoi danni. Intercettazioni telefoniche ed ambientali avrebbero evidenziato che l’imprenditore sarebbe stato più volte interessato per la risoluzione di disaccordi e problemi, sorti a Santo Stefano e a Reggio Calabria, in ragione del suo spessore criminale.
All'epoca le indagini avrebbero accertato "che Musolino - scrivevano i magistrati - è un imprenditore colluso che ha tratto indubbio vantaggio dalla sua vicinanza alla 'ndrangheta, poiché tale contiguità gli ha garantito la tranquillità necessaria ad espandere la sua impresa fino ad ottenere un consistente vantaggio patrimoniale specie quando, intrattenendo rapporti economici con la Regione Calabria, ha lavorato o fornito prestazioni proprio in quei cantieri in cui la presenza di esponenti della 'ndrangheta era massiccia. In questo - concludevano gli inquirenti - modo Musolino è riuscito ad accumulare nel tempo un patrimonio di ingenti proporzioni".
I BENI CONFISCATI
Il provvedimento di confisca ha riguardato i seguenti beni: Impresa individuale Musolino Rocco di Francesco, con sede legale a Santo Stefano in Aspromonte (RC), operante nel settore dell’industria boschiva; quote sociali e patrimonio aziendale della Maius Immobiliare Srl, con sede a Reggio Calabria e operante nella “compravendita e locazione di beni immobili propri con esclusione di ogni attività di agenzia immobiliare”, con un patrimonio sociale ricomprendente 19 immobili, tra appartamenti, depositi e cantine, ubicati a Reggio Calabria, Condofuri e Santo Stefano d’Aspromonte; 101 fabbricati tra appartamenti, villette, autorimesse, magazzini e locali commerciali, siti nella provincia di Reggio Calabria e a Roma (tra questi spicca un pregiatissimo immobile in via Castello a Reggio Calabria, adibito a sede di un istituto di credito e di agenzie assicurative, 4 villette di notevole valore residenziale nel comune di Santo Stefano di Aspromonte ed un appartamento di notevolissimo pregio in Piazza dei Re di Roma nella capitale); 218 appezzamenti di terreno agricoli (per un’estensione complessiva di oltre 800 ettari) nella provincia di Reggio Calabria e, principalmente, nei comuni di Santo Stefano di Aspromonte e Molochio; numerosi rapporti finanziari tra conti correnti, polizze assicurative e depositi titoli, per un valore stimato in oltre 7 milioni di euro.
Il valore dei beni sottoposti a confisca ammonta a poco più di 153 mila euro.
I MAGISTRATI: RAPPORTI STABILI CON LA CRIMINALITÀ
Musolino, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, avrebbe dunque esercitato la sua attività imprenditoriale nel settore boschivo “sfruttando i legami con la ‘ndrangheta”, che gli avrebbero consentito “di espandersi ed agire indisturbato – spiegano gli investigatori - fino a raggiungere una posizione di sostanziale monopolio, avvalendosi di modalità di sopraffazione e intimidazione tipiche dell’impresa mafiosa, nonché sfruttando le cointeressenze in tutti gli altri settori del mondo politico, economico ed istituzionale”.
Il Tribunale, nel provvedimento di oggi scrive che “I dati acquisiti consentono, dunque, di affermare che l’intera storia imprenditoriale del Musolino, si è svolta grazie ai rapporti stabili e reciprocamente vantaggiosi dallo stesso cercati ed abilmente coltivati con la locale criminalità organizzata, dando luogo ad una forma di contiguità stabile, pregnante ed altamente allarmante, che da un lato, ha determinato la fortuna imprenditoriale del Musolino, dall’altro ha consentito alla ‘ndrangheta di esercitare il controllo sulle attività economiche della zona e di lucrare attraverso le stesse”. “Insomma – aggiungono i magistrati - l’autorità mafiosa di Musolino Rocco – ben tratteggiata nella parte relativa alla pericolosità sociale – è stata tale da non richiedere manifestazioni concrete e dimostrabili di mafiosità, nel senso che basta pronunciare il nome di Rocco Musolino perché gli altri mafiosi si facciano da parte, segno del rispetto per il ruolo di rilievo ricoperto”.
IL PENTITO: PIÙ POTENTE DEL ‘VANGELO’, ANZI ‘MASSONE’
Sul conto dell’88enne, inoltre, sono state rese delle dichiarazioni da parte di collaboratori di giustizia che lo indicavano come “personaggio di estrema importanza” nell’ambito della cosca Serraino, dove avrebbe esplicato funzioni di vertice: “il suo grado - ha riferito il collaboratore di giustizia Barreca - all’interno della ‘ndrangheta è elevatissimo, più di ‘vangelo’, e questo grado di mafia cumula con quello di massone…”.
Il collaboratore di giustizia Antonino Rodà avrebbe invece riferito che Musolino sarebbe appartenuto alla cosca Serraino - riscontrando in ciò le già note dichiarazioni di Margherita Di Giovine - ma con un ruolo autonomo di Capo Società di Gambarie, fornendo riscontro alle propalazioni dei collaboratori di giustizia Barreca e Lauro che lo definivano un capo.
Quest’ultimo, in particolare, ha raccontato ai magistrati di un presunto intervento dell’88enne per ottenere la liberazione di un sequestrato, insieme ad esponenti di vertice delle cosche Serraino, Gioffrè e Antonio Nirta. Infine, il collaboratore Antonino Zavettieri ha dichiarato che a Santo Stefano d’Aspromonte “esisteva un autonomo locale di ‘ndrangheta capeggiato da Rocco Musolino, in un contesto di solida alleanza con la famiglia mafiosa dei Serraino”.
L’ATTENTATO DEL 2008 E LE INDAGINI SUCCESSIVE
Tribunale ha poi ritenuto di notevole valenza indiziaria, “al fine di ravvisare la pericolosità sociale qualificata del defunto”, elementi tratti da alcune attività investigative svolte dall’Arma dei Carabinieri di Reggio Calabria a seguito dell’attentato che aveva subito il 23 luglio del 2008 insieme al suo autista: i due vennero colpiti (in località Salto della Vecchia, nella zona aspro montana) da dei colpi d’arma da fuoco mentre erano a bordo di un’autovettura. Nella circostanza, si era appurato che Musolino viaggiava armato di una pistola con il colpo in canna e con due caricatori completi. In merito a questo episodio, i carabinieri raccontarono che l’uomo avrebbe avuto un atteggiamento reticente nei confronti degli inquirenti definendolo “proprio degli affiliati alle organizzazioni mafiose”.
PER IL TRIBUNALE: MUSOLINO PIETRA MILIARE DELLA ‘NDRANGHETA
Secondo il Tribunale il presunto boss sarebbe stato una figura “con molteplici rapporti” con le varie cosche della provincia calabrese: “Musolino … - scrivono ancora i magistrati - emerge difatti sin dai suoi esordi come imprenditore boschivo in rapporto di sicura contiguità funzionale con ‘ndrangheta ed in via privilegiata con la cosca Serraino, egemoni nel territorio di riferimento del proposto… OMISSIS. Musolino Rocco è una pietra miliare della ‘ndrangheta reggina (uno ‘ndranghetista storico come lo definisce il collaboratore Iannò)…[]…emerge in definitiva una pericolosità del proposto databile almeno agli inizi degli anni ’70 …[]… oltre ai rapporti qualificati …[]… con le famiglie mafiose Serraino, Nirta, Condello, Alvaro ed Italiano, nell’informativa del R.O.N.I. del 18.09.2011, vengono forniti ulteriori dati di riscontro dei rapporti del Musolino anche con le famiglie mafiose dei Libri, De Stefano, Tegano, Araniti ed Imerti,oltre che con esponenti della pubblica amministrazione e delle istituzioni”.
Nella ricostruzione della figura dell’uomo, circa i suoi stabili rapporti con la criminalità organizzata, avrebbe inoltre contribuito ed efficacemente il Reparto Operativo dei Carabinieri, riportando all’Autorità Giudiziaria tre informative a seguito del duplice tentato omicidio di cui è rimasto vittima.
Per quanto concerne la parte patrimoniale, il provvedimento odierno è stato emesso a seguito di una lunga e complessa serie di accertamenti svolti dal Centro Operativo DIA di Reggio Calabria, compendiati in una proposta di misura di prevenzione – avanzata al Tribunale dal Procuratore Capo della Repubblica - nella quale è stato ricostruito in modo certosino l’enorme complesso dei beni mobili ed immobili personali e dei beni aziendali riconducibili a Musolino. In merito il tribunale si è così espresso: “ritiene il collegio che sia stata raggiunta la prova …[].. che la crescita imprenditoriale boschiva del Musolino e l’accumulo di ricchezza da parte di quest’ultimo, sia stata concretamente agevolata dalla sua appartenenza alla’ndrangheta storicamente egemone nel territorio…[]…l’impresa del Musolino è dunque da sempre impresa mafiosa”.
IL “METODO MAFIOSO” E LE FORNITURE ALLA REGIONE
L’impresa mafiosa è quella che, sebbene operi nei mercati ufficiali con modalità formalmente legali, si avvale del cosiddetto ”metodo mafioso”: per gli inquirenti questo avrebbe assicurato a Musolino una posizione di mercato che altrimenti non avrebbe acquisito, consentendogli, anche, di aggiudicarsi commesse nel settore delle forniture alla Regione Calabria “in un sistema che – sostengono ancora gli investigatori - favoriva l’infiltrazione mafiosa ed il reimpiego delle somme così guadagnate in altre attività o investimenti anche di interesse della consorteria.
Secondo il Tribunale “La parabola ascendente dei redditi del proposto raggiunge l’apice nel triennio 1986/1988, quando vi sono gli introiti derivanti dalle forniture alla Regione Calabria, anch’essi pilotati dalle aderenze mafiose dei direttori dei lavori e capi operai, che avevano in mano il sistema Calabria del settore forestale (si rimanda alle pagine 137 e ss. dell’informativa DIA del 2012 )... [] … La posizione di supremazia economica raggiunta dal Musolino emerge dal volume di affari dell’impresa boschiva tratto dall’informativa DIA del 2012…l’illiceità delle primigenie fonti di ricchezza provenienti dall’impresa mafiosa ha inevitabilmente contaminato anche i successivi acquisti ed investimenti del Musolino Rocco”.
In definitiva, il Collegio ha ritenuto che, sulla scorta delle risultanze istruttorie, tra le quali gli accertamenti analitici svolti, l’imponente patrimonio del presunto boss e dei suoi stretti congiunti debba ritenersi “il frutto o reimpiego di proventi di attività illecite”, in quanto direttamente ricollegabile “all’accertata e risalente pericolosità sociale qualificata del Musolino, strettamente connessa alla sua attività imprenditoriale e mai venuta meno”.
(Aggiornata alle 12:30)