Operazione “Stop”, Giuseppe Ferrante lascia il carcere

Cosenza Cronaca

La Corte di Appello di Catanzaro, accogliendo l’istanza dell’avvocato difensore Francesco Nicoletti, ha concesso gli arresti domiciliari, senza braccialetto elettronico, a Giuseppe Ferrante alias “Antonello il Siciliano”, coinvolto nella maxioperazione antimafia “Stop”.

L’uomo era stato condannato in primo grado dal Tribunale di Castrovillari a 20 anni di reclusione; pena poi rideterminata dalla Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza emessa il 7 ottobre del 2016, a 5 anni e 4 mesi.

I FATTI

Ferrante è finito in manette il 19 giugno del 2013 nell’ambito del maxiprocedimento “Stop” istruito dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro. L’accusa è di aver partecipato ad una associazione per delinquere di stampo ‘ndranghetistico denominata “Acri-Morfò”, attiva – secondo gli inquirenti - nel territorio di Rossano e nei comuni vicini e che, in accordo con le cosche presenti nelle altre province, ed avvalendosi della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà della generalità dei cittadini, era finalizzata al “controllo e allo sfruttamento delle risorse economiche della zona, al compimento di delitti contro il patrimonio e contro la persona; con la totale e preventiva accettazione, da parte degli associati, della necessità di compiere azioni delittuose per garantirsi il controllo del territorio e per stroncare, mediante l’uso della violenza, qualunque ingerenza interna o esterna”.

L’IPOTESI ASSOCIATIVA

L’associazione, secondo il castello accusatorio, avrebbe portato avanti il proprio fine grazie alla dotazione e la disponibilità di armi comuni e da guerra; mediante la partecipazione di ciascun associato - attraverso un’articolata distribuzione di compiti e funzioni, nonché la sostanziale fungibilità fra i vari membri - al compimento di una serie di azioni delittuose, come reati contro la persona a base violenta ed estorsioni generalizzate nel territorio, specie a danno degli imprenditori.

Un’associazione che, evidenziavano gli inquirenti, si sarebbe ingerita nell’imprenditoria di tutta l’area della provincia di Cosenza e anche altrove, e in particolare nel settore della distribuzione di caffè torrefatto e prodotti derivati, in quello degli appalti di servizi di vigilanza, nella distribuzione di prodotti da forno e di altri generi alimentari, nel noleggio di videogiochi illeciti e non, con la costituzione di una serie di imprese che avrebbero, ‘ndranghetisticamente, assunto posizioni di monopolio, costituite e continuamente finanziate col provento dei crimini organizzati ed eseguiti dall’associazione.

IL TENTATO OMICIDIO DI ANTONIO MANZI

Altra contestazione mossa a Ferrante è di aver preso parte al tentato omicidio di Antonio Manzi, detto “Tom Tom”. Il tutto in concorso con altri e in esecuzione di una complessiva strategia criminale stragista volta ad assicurare l’egemonia, in tutto il rossanese, della consorteria ‘ndranghetistica degli Acri-Morfò.

Gli si contesta, inoltre, in concorso morale e materiale anche con altri, rimasti ignoti, la detenzione illegale e il porto illegale in luogo pubblico di una pistola calibro 38 di sicura provenienza illecita e di un motociclo, un’Honda 600. Con l’aggravante della connessione “teleologica, del numero dei correi pari a più di cinque persone, dell’agevolazione della cosca di ‘ndrangheta”.

LE ARMI

Ferrante è inoltre accusato di avere, in concorso con altri, detenuto e portato illegalmente, in luogo pubblico, armi comuni da sparo e armi da guerra. Nello specifico due fucili automatici kalashnikov calibro 7.62 e un fucile da caccia calibro 12. Il tutto con l’aggravante di aver agito per agevolare la cosca Acri-Morfò, essendo l’arma messa a disposizione degli appartenenti alla consorteria per commettere fatti di sangue o comunque azioni violente volte a consolidarne l’egemonia nella Sibaritide.

LA DROGA

Tra le contestazioni mosse a Ferrante vi è anche quella di aver detenuto, ai fini di spaccio, oltre quattro chili di marijuana e quasi tre e mezzo di hashish.

IL PROCESSO E L’AFFIEVOLIMENTO DELLA MISURA

In primo grado, Ferrante fu condannato a 20 anni di reclusione. In riforma di quella sentenza, lo scorso 7 ottobre, la Corte d’Appello di Catanzaro ha rideterminato la pena in 5 anni e 4 mesi. L’avvocato Francesco Nicoletti, difensore di fiducia di Ferrante, aveva avanzato un’istanza alla Corte territoriale per ottenere la modifica della misura cautelare per il suo assistito. Istanza accolta dai giudici che hanno disposto Ferrante gli arresti domiciliari senza il braccialetto elettronico.