Società ‘schermo’ per evitare sequestri e confische: 14 indagati
Quattordici persone, ritenute responsabili di aver attribuito fittiziamente la titolarità di beni e aziende così da eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniali, sono state raggiunte oggi da un’ordinanza di custodia cautelare emessa dalla Procura di Paola.
Il titolare effettivo dei beni e delle attività, un soggetto pluripregiudicato, è finito in carcere mentre per 13 presunti “prestanome” sono stati disposti i domiciliari e l’obbligo di presentazione.
Gli inquirenti contestano che sia stata falsamente intestata a terzi la titolarità dei patrimoni, così “schermandoli” e conferendone la titolarità formale ad un soggetto terzo. Cosa che nelle attività imprenditoriali - spiegano le fiamme gialle - avviene spesso con l'assunzione della qualità di socio occulto di società e la presenza di soci e imprenditori “fittizi” o “prestanome”, per agevolare una successiva circolazione dei beni nel tessuto finanziario, economico e produttivo ed evitare che l’emergere della ricchezza illecita possa consentire alle autorità di applicare di misure patrimoniali e, quindi, il sequestro e la confisca dei beni.
In questo caso i sigilli sono scattati per le quote sociali di 12 società; complessi aziendali, beni mobili, autovetture ed immobili e disponibilità finanziarie riferite sia a persone giuridiche che agli indagati: il tutto ammonta ad un valore di oltre 2 milioni di euro.
Le indagini hanno ricostruito la storia societaria e finanziaria delle 12 aziende che operano nei settori dei supermercati, dell’abbigliamento e della pubblicità. Per gli investigatori sarebbero tutte riconducibili al presunto “dominus”, cioè il soggetto di fatto proprietario e gestore attraverso persone compiacenti: parenti, amici o soggetti con cui avrebbe avuto precedenti rapporti di lavoro.
Le attività commerciali venivano avviate ed operavano per uno o due anni, durante i quali, però, accumulavano grossi debiti nei confronti di fornitori e, soprattutto, dell’Erario; poi venivano abbandonate, poste in liquidazione o dichiarate fallite. I complessi aziendali, quindi, venivano ceduti ad altre società di nuova costituzione, sempre riconducibili all’effettivo titolare attraverso, appunto, i prestanome.
Il notevole flusso di denaro generato – soprattutto in contante – sarebbe servito per finanziare la “catena delle diverse attività”, producendo un’ulteriore ricchezza “illecita” che, in base alla tesi degli inquirenti, sarebbe stata in grado di “condizionante il tessuto finanziario, economico e produttivo”.
L’ordinanza cautelare è stata emessa dal Gip di Paola Rosamaria Mesiti, su richiesta del Procuratore della Repubblica Bruno Giordano e del Sostituto Teresa Valeria Grieco.