“Fata Morgana”, la ‘ndrangheta e gli ipermercati: maxi sequestro da 19 milioni
Secondo gli inquirenti è un appartenente alla ‘ndrangheta attraverso il quale la criminalità si sarebbe inserita nel mercato della grande distribuzione dei prodotti alimentari.
Un ungente patrimonio, del valore di circa 19 milioni di euro, quello sequestrato stamani tra Reggio Calabria e Cosenza dalla Guardia di Finanza, coordinata dalla Dda, a carico di Giuseppe Chirico, noto imprenditore del settore della grande distribuzione alimentare.
Il provvedimento si fonda sui risultati delle indagini eseguite nell’ambito dell’operazione “Fata Morgana” che nel maggio del 2016 portò all’arresto di nove persone - tra cui lo stesso Chirico - accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, turbata libertà degli incanti, trasferimento fraudolento di valori.
In questo contesto, l’imprenditore è stato indagato - insieme a Emilio Angelo Frascati, Antonio Marra, Natale Saraceno e Domenico Marcianò - per aver preso parte alla ‘ndrangheta attiva nel capoluogo dello Stretto come anche sul territorio nazionale ed all’estero.
L’IMPRENDITORE ESPRESSIONE DELLA ‘NDRANGHETA
La tesi degli investigatori è che Chirico si sarebbe “posto come imprenditore espressione della ‘ndrangheta nel settore della grande distribuzione alimentare, usufruendo, in particolare, del costante e continuativo appoggio delle cosche Tegano e di quella ramificazione della cosca Condello, operante nel quartiere di Gallico, già facente riferimento al defunto Domenico Consolato Chirico, per poi ampliare i propri interessi e proiezioni anche fuori dal quartiere di Gallico e dello stretto ambito commerciale, infiltrandosi nelle settore delle aste immobiliari”. I proventi dell’attività delittuosa sarebbe stati poi utilizzati “per finanziare le attività economiche di cui gli associati intendevano assumere e mantenere il controllo”.
IL “PATTO” SULLA “PERLA DELLO STRETTO”
Sulla base delle indagini emergerebbe che l'avvocato Paolo Romeo si sarebbe messo in contatto con Emilio Angelo Frascati (imprenditore rivale di Chirico), concordando un patto che prevedeva la rinuncia da parte di quest’ultimo ai diritti di prelazione sugli spazi commerciali della “Perla Dello Stretto”, di cui era titolare un altro imprenditore insieme a suo figlio.
Il tutto a vantaggio di Chirico che in cambio avrebbe rinunciato alle chance di aggiudicazione di alcuni rami d'azienda della ex Gdm Spa - sui quali era in corso la procedura di amministrazione per le grandi imprese in crisi -revocando le offerte già presentate agli incanti pubblici indetti dal Commissario giudiziale Marcello Parrinello e dall'amministrazione giudiziaria dei beni in sequestro della Sica Srl (impresa nella disponibilità di Giuseppe Rocco Giovanni Rechichi, sottoposta a sequestro preventivo), in ordine all'affitto del magazzino che si trova lungo la Statale 106, nella parte sud del comune di Reggio Calabria, e su cui già la Gdm vantava un diritto di locazione.
Gli inquirenti sostengono così che Romeo, per mantenere fede ai patti, avrebbe dato disposizioni a Chirico di predisporre subito le revoche, cosa che l'imprenditore fece velocemente.
L’ALA MILITARE DEL CLAN A DISPOSIZIONE DELL’IMPRENDITORE
Chirico, inoltre, avrebbe tenuto a sua disposizione Domenico Marcianò, considerato l'ala militare della consorteria Condello di Gallico, anche lui indagato nell’ambito dell’Operazione “Fata Morgana”.
Un’altra vicenda che per gli inquirenti farebbe risalire il ruolo dell’imprenditore nel contesto criminale locale sin dal 2008, è quella che esce dalle dichiarazioni acquisite da un'altra imprenditrice dello stesso settore, Brunella Latella, che dall'inizio del 2000 aveva avviato numerosi supermercati a Reggio Calabria con il marchio “Doc Market’s” e poi falliti per l'asfissiante pressione della 'ndrangheta.
Latella sosteneva infatti di essersi aggiudicata - tramite la “Fineco Leasing” che agiva per persona da nominare - l'acquisto all'asta giudiziaria degli immobili in cui esercitava la sua attività commerciale nel quartiere di Gallico. In quell’occasione sarebbe stata avvicinata da Giovanni Pellicano, arrestato di recente nel corso dell’operazione “Padrino” con l’accusa di essere a capo della cosca Tegano.
Dal racconto della donna risulta dunque che Pellicano le avrebbe implicitamente imposto di astenersi dal perpetuare la sua manifestazione d'interesse e di tutelare i diritti derivanti dall'aggiudicazione di quell'immobile, dato che avrebbe dovuto esserle noto che “Chirico vantasse prelazioni criminali sullo stesso”.
Per questo gli investigatori ritengono che Chirico si fosse servito delle sue conoscenze mafiose per far estromettere l'imprenditrice, facendo emergere i suoi interessi economici “in connubio con quelli della 'ndrangheta”.
IL PATRIMONIO FRUTTO DI PROVENTI “ILLECITI”
Sulla base di queste informazioni, la Distrettuale antimafia ha incaricato il Gico di eseguire un’apposita indagine economico-patrimoniale per individuate i beni riconducibili a Chirico. Una volta delineato il profilo di pericolosità sociale “qualificata” dell’imprenditore - gravemente indiziato di appartenere alla ‘ndrangheta - l’attività si è concentrata sulla ricostruzione della capacità reddituale e del complesso dei beni di cui sia Chirico che il suo nucleo familiare sono risultati poter disporre sia direttamente che indirettamente.
Si sarebbe così accertato non solo una sproporzione esistente tra il profilo reddituale e quello patrimoniale ma, soprattutto, il presunto ruolo di imprenditore “mafioso” che avrebbe rivestito nel tempo, quantomeno dal 2008, tanto da far sostenere che il patrimonio accumulato “altro non sia che il frutto o il reimpiego dei proventi di attività illecite”.
Gli inquirenti affermano infatti che l’imprenditore avrebbe utilizzato delle condotte "volte ad alterare il sano mercato economico del territorio reggino favorendo la criminalità organizzata, avvalendosi della Soral Sas, società di cui era socio e amministratore, indicata quale ditta di riferimento e pertanto da considerarsi impresa mafiosa i cui proventi reddituali sono da considerare illecitamente percepiti”.
I BENI SEQUESTRATI
Alla luce di tutto ciò si è così proceduto al sequestro della Soral-Società Reggina Alimentari di Chirico Giuseppe e C., che esercita l’attività di “Ipermercati”, comprensiva del capitale sociale, delle partecipazioni, di tre unità locali, 25 immobili e tre automezzi; e di conti correnti, libretti di deposito al portatore o nominativi, contratti di acquisto di titoli di Stato, azioni, obbligazioni, certificati di deposito, assicurazioni, intestati presso istituti di credito pubblici o privati, casse rurali, direzioni provinciali P.T., società assicurative, finanziarie o fiduciarie, società di intermediazione mobiliare, comunque riconducibili alla società.
I sigilli sono poi scattati ad un terreno, un’autovettura, polizze assicurative, fondi comuni di investimento, depositi titoli del valore complessivo di oltre 670 mila euro e intestati sia a Chirico che ai componenti del suo nucleo familiare; e a conti correnti, libretti di deposito al portatore o nominativi, contratti di acquisto di titoli di Stato, azioni, obbligazioni, certificati di deposito, assicurazioni, intestati presso istituti di credito pubblici o privati, casse rurali, direzioni provinciali P.T., società assicurative, finanziarie o fiduciarie, società di intermediazione mobiliare, comunque riconducibili all’imprenditore e alla famiglia, con un saldo attivo superiore a mille euro.