La paga cambia in base al colore della pelle: caporalato, in manette due agricoltori

Cosenza Cronaca

Ancora un caso di caporalato e di nuovo sulla pelle degli immigrati. È di nemmeno qualche mese fa, era il maggio scorso, l’operazione denominata, paradossalmente, “Accoglienza”, che scoprì un presunto giro di sfruttamento di extracomunitari ospitati in un centro di accoglienza di Camigliatello Silano.

Ed oggi, e di nuovo nel cosentino, in particolare ad Amantea, un altro blitz dei carabinieri ha portato all’arresto di due fratelli accusati di aver sfruttato gli stranieri - per cui è scattata l’aggravante della discriminazione razziale - e che si sono visti anche sequestrare beni per un volare di circa due milioni di euro.

L’operazione di oggi, chiamata non a caso “Lavoro Sporco”, è scattata all’alba ed è stata eseguita dai militari della Compagnia di Paola che ritengono di aver scoperto, appunto, un giro di sfruttamento dei rifugiati ospitati nei centri di accoglienza.

Le due misure cautelari, emesse dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Paola, Maria Grazia Elia, su richiesta della Procura, hanno fatto finire ai domiciliari i due fratelli, entrambi di Amantea, e rispettivamente di 48 e 41 anni per cui sono scattati anche, come dicevamo, i sigilli alla loro azienda e ad altri beni di proprietà.

LE INDAGINI, condotte dai carabinieri della stazione di Amantea, sono iniziate nel giugno scorso sotto la direzione del Sostituto titolare del fascicolo, Anna Chiara Fasano e con il coordinamento del Procuratore Capo Pierpaolo Bruni.

Gli elementi raccolti dagli inquirenti avrebbero consentito di accertare che i rifugiati, principalmente provenienti da paesi Africani (Nigeria, Gambia, Senegal e Guinea Bissau) venivano prelevati solitamente in una parallela del Centro di Accoglienza “Ninfa Marina” e poi accompagnati al lavoro nell’azienda agricola dei due arrestati.

I rifugiati africani era impiegati nei campi insieme ad altri lavoratori in nero, provenienti principalmente dalla Romania e dall’India, ma a differenza di quest’ultimi, ed “incredibilmente” sottolineano gli inquirenti, la “loro paga variava in base al colore della pelle”.

I “bianchi”, infatti, avevano diritto a 10 euro in più degli africani: in pratica i primi guadagnavano 35 euro al giorno, mentre i secondi solo 25, ovviamente tutto in nero.

Ma non solo: le condizioni di lavoro erano anche degradanti: si dormiva in baracche, si mangiava a terra e tutti erano sottoposti ad una stretta e severa sorveglianza da parte dei due fratelli.

AL LAVORO PER TIMORE DI ESSERE RIMPATRIATI

Gli arrestati, che sono già noti alle forze dell'ordine ma dei quali la Procura ha voluto che si rendessero note le generalità, avrebbero impiegato ogni giorno dai cinque agli otto immigrati nella loro azienda. Da quanto ricostruito dagli investigatori i caporali arrolavano gli stranieri nei pressi del centro d'accoglienza della cittadina, fatto di cui i gestori, è stato sottolineato dagli inquirenti, erano completamente all’oscuro e sono ovviamente estranei.

Dei due fratelli, uno è quali titolare di un’azienda agricola di località Chiaia di Amantea, mentre l'altro è dipendente. Entrambi sarebbero andati di persona a prendere la manodopera ad una certa distanza dal centro d'accoglienza, così da non destare sospetti. Una precauzione che, comunque, non è servita: i Carabinieri si erano infatti insospettiti per i movimenti che i richiedenti asilo effettuavano verso le aree rurali della cittadina.

Gli stranieri, inoltre, erano sottoposti a minacce ed angherie: millantando conoscenze istituzionali, i fratelli li avrebbero addirittura minacciati di farli rimpatriare.

(Aggiornata alle 11:25)