Le “scimmie” sfruttate nei campi: così caporali e aziende umiliavano i braccianti

Cosenza Cronaca

“Facciamo venire le scimmie e domani cerchiamo di finire: scimmie, proprio così i caporali chiamavano i braccianti sfruttati nei campi di aziende compiacenti, tra il cosentino ed il materano.

Una definizione decisamente umiliante così come degradanti erano d’altronde le condizioni che subivano i malcapitati, per lo più ed evidentemente extracomunitari.

Pagati quatto soldi per turni di lavoro massacranti, dovevano corrispondere addirittura un “affitto” per alloggiare in strutture fatiscenti, spesso vissute in sovrannumero, o in ricoveri di fortuna procuratigli dagli stessi sfruttatori.

Questo quanto emerge dall’inchiesta “Demetra” (QUI), scattata nella notte e che ha visto coinvolte ben 60 persone indagate a vario titolo per associazione a delinquere finalizzata all’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro e per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

In 14 sono finite in carcere, 38 agli arresti domiciliari mentre altre 8 sono state sottoposte all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

Sequestrate anche quattordici aziende agricole, di cui dodici nella provincia di Matera e due nel cosentino, per un valore stimato in quasi 8 milioni di euro, oltre a 20 automezzi utilizzati per il trasporto dei braccianti agricoli reclutati.

DAL FURGONE ALL’ORGANIZZAZIONE

L’indagine nasce dopo un controllo effettuato dai finanzieri di ad un furgone che, diretto nelle campagne lucane, stava percorrendo la statale 106 Jonica con a bordo sette braccianti agricoli provenienti dalla sibaritide (QUI).

Le prime valutazioni avevano portato e sin da subito ad identificare numerosi soggetti, tra italiani e stranieri (in particolare, pakistani, magrebini e dell’Est Europa), che si riteneva impegnati in un’organizzata e fiorente attività di sfruttamento illecito della manodopera, per l’appunto il cosiddetto “caporalato”, e nel favoreggiamento dell’immigrazione nella piana di Sibari.

Le investigazioni, durate più di un anno, hanno visto le Fiamme Gialle impegnate in intercettazioni, in numerosi servizi di osservazione e di pedinamento, localizzazioni con i GPS, ma anche in sequestri, acquisizioni di documenti e sommarie informazioni.

Al termine ne sarebbe emerso un quadro indiziario grave che secondo gli investigatori dimostrerebbe diversi e ripetuti casi di sfruttamento ed utilizzazione dei braccianti in modo illecito, spesso reclutati anche attingendo dai C.A.S.I. locali.

Oltre 200 i lavoratori reclutati e portati nei campi in condizioni di sfruttamento, costretti a lavorare senza dispositivi di protezione individuale, con turni di lavoro usuranti e costretti anche ad accettare condizioni di lavoro degradanti e non in regola con quanto prevedono le norme in materia.

I RECLUTATORI DEI BRACCIANTI

Gli inquirenti sono arrivati oggi ad ipotizzare, dunque, l’esistenza di due associazioni criminali, ora smantellate, che operavano tra la Calabria e la Basilicata.

Alla prima apparterrebbero, a vario titolo, 47 delle persone indagate ed impegnate in una fiorente attività d’intermediazione illecita e di sfruttamento del lavoro.

16 di queste sono ritenute essere i caporali ed a capo del gruppo, dirigendo e controllando l’attività. Sarebbero stati loro a stabilire come reclutare la manodopera, a fissare le condizioni dell’impiego sui campi dei singoli braccianti e ad avere i rapporti con gli imprenditori-utilizzatori degli stessi lavoratori.

Avrebbero poi organizzato i furgoni utilizzati per il trasporto nelle diverse aziende, tenuto la contabilità delle giornate di lavoro svolte dai singoli braccianti, retribuendoli a giornata svolta ma ovviamente con importi affatto adeguati alle prestazioni svolte.

Altre otto persone, invece, vengono definite come i sub-caporali col ruolo di collaboratori diretti dei vertici del gruppo: in pratica una longa manus di quest’ultimi nella gestione della manodopera.

Poi ci sarebbero gli utilizzatori dei braccianti, oggi ne sono indagati ben 22: la tesi è che tramite aziende agricole che gestivano (13 quelle identificate) e sulla scorta di rapporti consolidati con i capi dell’organizzazione, li avrebbero impiegati nei campi sottoponendoli a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.

Il tutto, poi, usando un collaudato sistema di assunzioni fittizie che, tra l’altro, consentiva imponenti risparmi fiscali e previdenziali.

Tra i coinvolti nel primo gruppo, infine, spicca la figura di un dipendente dell’amministrazione comunale di Rossano (nel cosentino).

Gli investigatori ritengono che abusando del suo ruolo avrebbe favorito i vertici dell’organizzazione rilasciando dei documenti di identità e certificati di residenza a favore dei braccianti reclutati, così da regolarizzarne la posizione sul territorio e consentirne l’assunzione da parte delle aziende.

DAI MATRIMONI DI COMODO AL DIVORZIO

Quanto alla seconda organizzazione di cui accennavamo, di quest’ultima avrebbero fatto parte altre 13 persone ed impegnate, oltre che nello sfruttamento della manodopera, anche nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Le indagini della Guardia di Finanza di Montegiordano, in tal senso, farebbero emergere una struttura organizzata che, dietro pagamento di cospicue somme di denaro, avrebbe organizzato dei matrimoni “di comodo così da garantire la permanenza in Italia di una pletora di soggetti irregolari e di favorire, tramite permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare, l’ingresso di soggetti che dimoravano all’Estero.

Gli inquirenti spiegano che dopo essersi procurati la documentazione necessaria, gli indagati avrebbero organizzato le nozze nel Comune di competenza e, nel giorno stabilito, assicurato la presenza anche dei testimoni.

I “finti” coniugi, però, trascorsi i termini di legge, si sarebbero subito attivati per le pratiche prima di separazione e poi di divorzio.

Nell’inchiesta, ancora, sono coinvolti ben 200 braccianti agricoli, per lo più extracomunitari, che in stato di bisogno sono stati impiegati ed in condizioni di sfruttamento nelle 14 aziende agricole.

Gli investigatori hanno anche ricostruito le retribuzioni percepite dai braccianti, ovviamente pagati in nero, e inidonee a garantire una vita dignitosa.

Sono stati così quantificati gli imponenti guadagni illeciti accumulati dagli indagati, scoprendo poi come in capo a quest’ultimi risultassero disponibili diversi automezzi utilizzati per il trasporto dei braccianti.

Nel corso delle indagini è spuntato anche un ampio fenomeno relativo all’acquisto illegale di gasolio per l’agricoltura, cioè di combustibile agevolato poiché con un’accisa ridotta, e utilizzato per alimentare i mezzi di trasporto.

Il gasolio veniva acquistato dagli indagati direttamente o per il tramite di terzi e tenuto nei luoghi di dimora, in modo da poterlo utilizzare all’occorrenza.

Il blitz di stanotte ha impegnato oltre 300 finanzieri del Comando Provinciale di Cosenza, con l’aiuto di militari dei Reparti di Catanzaro e Crotone. La misura cautelare è stata emessa dal Gip del Tribunale di Castrovillari, Luca Colitta, su richiesta del Sostituto Flavio Serracchiani.