Favorirono la latitanza di Antonino Zampaglione: arrestati moglie e figli

Reggio Calabria Cronaca
Antonino Zampaglione

Sono accusati di essere stati i fiancheggiatori di Antonino Zampaglione (69 anni) durante la sua latitanza, poi finita nel febbraio del 2015, quando venne catturato dai carabinieri.

Stamani all’alba sono così scattati gli arresti domiciliari per la moglie dell’ex ricercato, Annunziata Pio (58 anni) e per i suoi due figli, Carmelo (33 anni) e Saverio (36), oltre che per altre tre persone: Salvatore Martino (29 anni), Emanuele Foti (33) e Fabio Salvatore Ferrigno (40).

Zampaglione era ritenuto contiguo alla ‘ndrina Iamonte di Melito di Porto Salvo e per gli inquirenti sarebbe stato l'anima economica del clan per gli interessi che avrebbe avuto in Piemonte.

Coinvolto nell'operazione Minotauro, scattata a Torino nel giugno del 2011, doveva espiare quasi 25 anni di reclusione per associazione per delinquere di stampo mafioso e per l’omicidio di Antonino Pangallo (avvenuto nel febbraio del 1990).

L’arresto dei sei presunti fiancheggiatori, arriva dopo le indagini, coordinate dalla Dda, condotte dalla squadra mobile del capoluogo e dagli agenti del Commissariato di Condofuri dal dicembre 2013 fino al febbraio del 2015.

Si sarebbe così accertato che i più stretti congiunti e collaboratori di Zampaglione si recassero periodicamente a fargli visita nei luoghi in cui, di volta in volta, si nascondeva.

Per arrivarci, però, avrebbero utilizzato alcuni escamotage, ovviamente per non farsi individuare dagli investigatori. Solitamente effettuavano lungo il percorso diversi cambi di auto: in un primo tratto utilizzando mezzi della famiglia e poi altri forniti da soggetti che appartenevano alla cerchia di amici, parenti e conoscenti.

Per evitare di essere pedinati, avrebbero mantenuto una velocità di marcia elevata, con brusche decelerazioni, così da controllare se fossero seguiti.

I PEDINAMENTI DELLA MOGLIE PER ARRIVARE AL COVO

Gli agenti hanno eseguito diversi servizi di osservazione sul territorio e hanno utilizzato anche le intercettazioni ambientali e satellitari sulle autovetture della famiglia, oltre alla videosorveglianza disposta dalla Dda. Così si sarebbe scoperto come in diverse circostanze, perlopiù di sera o di notte, i congiunti del latinante si recassero verso la città di Reggio Calabria, facendo poi perdere sistematicamente le proprie tracce.

Nel corso delle indagini era emerso che la moglie del ricercato, specialmente durante le festività, aiutata dai figli Saverio e Carmelo e da Martino (collaboratore fidato e dipendente dell’officina meccanica di Saverio), sarebbe andata a trovare il marito, anche per diversi giorni, nei vari luoghi in cui si era rifugiato temporaneamente, per portargli generi alimentari, vestiario e medicine.

L’OMICIDIO PANGALLO: UNA VENDETTA PER L’ASSASSINIO DEL SUOCERO

Il latitante, come già dicevamo, è stato da sempre considerato un elemento organico alla cosca Iamonte di Melito Porto Salvo. Già sottoposto alla Sorveglianza Speciale nel 1996, secondo quanto riferito da alcuni collaboratori di giustizia, grazie alla sua attività di autotrasportatore, nel corso degli anni, aveva potuto muoversi indisturbato dal suo paese verso vari punti della nazione.

Dal mese di marzo del 2012 era sparito, sottraendosi ad un ordine d’arresto emesso, a seguito delle determinazioni della Cassazione, dalla Corte di Appello di Reggio Calabria, dovendo espiare una pena detentiva di 24 anni, 9 mesi e 15 giorni di carcere per associazione di tipo mafioso e omicidio doloso.

Quanto a quest’ultimo delitto, che riguarda l’assassinio di Antonio Pangallo, avvenuto nel febbraio del 1990 a Fossato di Montebello Ionico, secondo l’ipotesi accusatoria sarebbe stato commissionato dai Pio (affiliati agli Iamonte) e dallo stesso Zampaglione, che in questo modo avrebbero vendicato la morte del padre degli stessi Pio e suocero dell’allora latitante, avvenuta qualche tempo prima per mano di Pangallo.