Nella sua clinica curava i latitanti. Sequestrati beni a medico reggino
È di 19 milioni di euro il patrimonio sequestrato questa mattina, a Francesco Cellini, da parte della Comando Provinciale della Guardia di Finanza – assistito dal personale dello Scico, il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata – insieme ai Carabinieri del Ros e con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Reggio Calabria.
Il provvedimento si basa sulle risultanze delle indagini condotte nell’ambito dell’operazione “Sansone”, conclusa nel 2016 con l’esecuzione di provvedimenti restrittivi personali, cautelari e reali, nei confronti di 53 presunti affiliati alle cosche “Condello” del capoluogo e “Zito- Bertuca”, “Imerti - Buda” di Villa San Giovanni.
In questo contesto, al chirurgo viene contestato il concorso esterno in associazione per delinquere di tipo mafioso, poiché come medico responsabile e legale rappresentante della cooperativa Anphora, che gestisce la clinica Nova Salus, nella frazione di Cannitello di Villa San Giovanni, avrebbe intrattenuto dei rapporti con il capo cosca Pasquale Bertuca.
Secondo gli investigatori il medico si sarebbe reso disponibile a far ricoverare persone legate alla ‘ndrangheta nella propria struttura sanitaria e inoltre consentito alle stesse persone di accedere a “trattamenti penitenziari meno afflittivi della detenzione carceraria”. Inoltre avrebbe prestato assistenza sanitaria ai latitanti Pasquale Tegano e Giovanni Tegano.
Dall’indagine, dunque, e sempre in base alla ricostruzione degli inquirenti, sarebbe esistito “un solido, duraturo e stabile rapporto di contiguità funzionale” di Cellini con la cosca “Bertuca”, in particolare proprio con boss Pasquale.
Le intercettazioni ambientali dimostrerebbero come il professionista, dal 2007 in poi, avesse avuto dei “frequenti e costanti rapporti” con il capo e come rappresentante legale della Coop, si sarebbe adoperato più volte per favorire il ricovero presso la Clinica “Nova Salus” di Villa di esponenti di varie consorterie vicine a Bertuca, su sollecitazione diretta e indiretta di quest'ultimo.
LA MAMMA DEL BOSS E IL RICOVERO DEI “CAPI”
Nella clinica, infatti, è stata curata la madre di Bertuca e alcuni esponenti di spicco della 'ndrangheta in regime di detenzione domiciliare, tra i quali Giacomo Latella, Mario Palaia, Pasquale Libri, Pasquale Pititto, Paolo Meduri, Domenico Grasso, Gennaro Ditto, Pasquale De Maio, Pasquale Bilardi, Francesco Pangallo E Giuseppe Mazzagatti.
Dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia uscirebbero i presunti collegamenti tra Cellini e la ‘ndrangheta risalenti a periodi antecedenti il 2007: il medico avrebbe infatti fornito cure mediche ai fratelli Tegano durante la loro latitanza, iniziata nei primi anni novanta.
La figura di Cellini era già emersa in precedenza anche nell’operazione “Meta”, per i suoi rapporti con il boss calabro-milanese Giulio Giuseppe Lampada e con il politico Alberto Sarra.
Nel 2007, Lampada, Sarra e Cellini avrebbero parlato della possibilità di costruire una clinica nella frazione di Gallico, periferia nord di Reggio Calabria, all'interno di una proprietà dello stesso Lampada, che sarebbe stata gestita proprio da Cellini, il quale, immediatamente, avrebbe scartato l’ipotesi, per la non idoneità della struttura muraria preesistente.
In questo contesto, gli inquirenti riportano un passaggio del provvedimento eseguito:
“Ebbene, la valutazione complessiva delle emergenze processuali sin qui descritte consegna certamente la fotografia di un professionista e di un imprenditore che da ben più di un ventennio ed in modo assolutamente continuativo, pur non essendo intraneo ad alcuna specifica cosca, si è messo a disposizione di questa o quella compagine ndranghetistica, peraltro venendo a contatto con boss di primario calibro, elargendo favori ed accettandone la protezione in un rapporto certamente sinallagmatico. Va, in merito, evidenziato che lo stesso GIP di Reggio Calabria, che pur ha ritenuto non integrato il quadro di gravità indiziaria a carico del proposto, nell'ordinanza n. 107/16 del 18 novembre 2016 ha ritenuto quanto segue: In merito, con la dovuta brevità imposta dal caso di specie, accertati i "servizi resi" da Cellini nella risoluzione di "problemi" insorti con Latella Giacomo, nella disponibilità offerta per il ricovero di Palaia Mario (sempre su disposizione e mandato dei Bertuca), la postergazione del ricovero di altro Palaia (..tra qualche mese...anche perché questo era già ai domiciliari...) nonché di altro soggetto "degli Ursini" per cui vi era stato già l'interessamento del capo cosca Pasquale”.
“D'altra parte – proseguono i magistrati - riprendendo quanto appena sopra osservato, non pare esservi dubbio sull'assoluta consapevolezza dell'indagato di rapportarsi e "favorire" la cosca Bertuca (e gli altri interessati che a questa si rifanno per gli stessi fini) sia alla luce dell'affermazione indicata per cui sono primariamente interessati a recarsi presso la clinica gestita dall'indagato solo i soggetti detenuti in carcere (e non certamente chi è già ai domiciliari), senza contare che Cellini si rapporta non solo con i fratelli Bertuca ma anche con altri "sodali del gruppo" (Liotta p.e.) a cui chiede all'occorrenza "favori" quale univoco segno della consapevolezza dell'indagato di agire con compartecipi del gruppo Bertuca/Zito”.
“La cosa ‘ancora più grave - che avrebbe legittimato detto l’attivazione urgenza della procedura di prevenzione - sono poi i "favori" (di natura non meglio specificata) che Cellini richiede ai Bertuca (e ai sodali della cosca) laddove Liotta "riprende" il predetto medico "ricordandogli" che non si possono assumere due atteggiamenti diversi quando "si chiede" e quando di contro "si dà" (oggi si ricorda e domani si dimentica?). Ed ancora, negli stessi termini sinallagmatici, si devono sottolineare gli "omaggi" che in occasione delle festività Cellini è solito ricevere dal vertice "in persona" della cosca”.
“Tutto ciò – sostengono ancora i magistrati - nell'ambito di una più ampia "contiguità e vicinanza" alla 'ndrangheta in quanto tale per quanto si è accertato a seguito dell'incontro con i Lampada ed alla presenza di Sarra ovvero dalle dichiarazione dell'attendibile e già riscontrato aliunde Moio che inserisce Cellini "tra i medici abituali frequentatori" della cosca Tegano che non ha mancato di appoggiare la sorella dell'indagato alle trascorse competizioni elettorali”.
Elementi, dunque, che per gli inquirenti darebbero l'idea “della condotta nel complesso assunta da Cellini che se non apporta - a livello di gravità indiziaria - un contributo in grado di essere sussunto nel concorso esterno associativo è certamente idoneo a generare un urgente procedimento di prevenzione personale e patrimoniale".
Il PATRIMONIO DI CELLINI
In relazione all’attività, la Dda ha delegato al Gico un’apposita indagine, a carattere economico, volta a individuare i beni mobili ed immobili riconducibili a Francesco Cellini.
Nel corso degli accertamenti sarebbe emerso - tra l’altro - come, a partire dall’anno 2000, una consistente parte dei redditi annualmente dichiarati dal medico sia stata erogata dal Servizio Sanitario Nazionale. Queste erogazioni, in ragione del ruolo attivo rivestito dall’indagati, come amministratore della “Nova Salus”, risulterebbero “in evidente contrasto” con quanto sancito dall’ “Accordo Collettivo Nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale” che prevede l’incompatibilità con lo svolgimento delle attività previste, da parte del medico che “eserciti attività che configurino conflitto di interessi con il rapporto di lavoro con il Servizio Sanitario Nazionale o sia titolare o compartecipe di quote di imprese che esercitino attività che configurino conflitto di interessi col rapporto di lavoro con il Servizio Sanitario Nazionale”.
In questo contesto i redditi percepiti dall’’uomo, alla luce di questa prescrizione, sarebbero stati percepiti indebitamente.
Inoltre, gli accertamenti bancari e i riscontri contabili farebbero rilevare che l’uomo, nel corso degli anni, avrebbe prelevato ingenti somme dai conti correnti dell’Anphora per poi utilizzarli per scopi personali e investimenti immobiliari e finanziari.
L’attività investigativa si è concentrata sulla ricostruzione della capacità reddituale e del complesso dei beni di cui Cellini e il suo nucleo familiare sono risultati poter disporre, direttamente o indirettamente: la tesi è che il medico “non avrebbe potuto disporre di redditi leciti tali da permettersi i cospicui investimenti societari, per questo motivo questi investimenti sarebbero da considerarsi sproporzionati rispetto alle risorse lecite del nucleo familiare”.
I BENI SEQUESTRATI
Alla luce di queste risultanze, su richiesta della stessa Direzione Distrettuale Antimafia, la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria ha disposto, il provvedimento di oggi, il sequestro di prevenzione del patrimonio riconducibile a Cellini e alla sua famiglia, stimato in circa 19 milioni di euro e costituito da imprese e relativi compendi aziendali: quote sociali, patrimonio aziendale, rapporti finanziari della “Nova Salus Srl in liquidazione” con sede legale a Villa San Giovanni, Frazione Cannitello; quote sociali, patrimonio aziendale, rapporti finanziari della “Nuova Anphora Srl”, con sede sempre a Villa San Giovanni, Frazione Cannitello; quote sociali e patrimonio aziendale, rapporti finanziari della “Anphora Cooperativa Sociale a rl”, con sede legale a Reggio Calabria , compresa la Clinica “Nova Salus” di Villa San Giovanni;.
E inoltre, due fabbricati a Villa San Giovanni; un terreno a Reggio Calabria; conti correnti, libretti di deposito al portatore o nominativi, contratti di acquisto di titoli di Stato, azioni, obbligazioni, certificati di deposito, assicurazioni, intestati presso istituti di credito pubblici o privati, casse rurali, direzioni provinciali P.T., società assicurative, finanziarie o fiduciarie, società di intermediazione mobiliare, comunque riconducibili al proposto e ai componenti il proprio nucleo familiare, aventi saldo attivo superiore a mille euro.