Luce sull’omicidio di Gallico: l’obiettivo era Lo Giudice. Quattro fermi, ricostruito l’agguato
Era la sera del 16 marzo scorso quando degli sconosciuti si avvicinarono ad un’auto e vi esplosero contro, improvvisamente, dei colpi d’arma: ferma lungo il torrente di Gallico, all’interno vi era una coppia appartata, entrambi sposati, dunque due amanti clandestini.
Sul fatto di sangue iniziarono subito le indagini gli uomini della Squadra Mobile reggina: soprattutto per il nome “pesante” di Lo Giudice, che è ritenuto un elemento di spicco della cosca dei Tegano, clan che opera nella zona nord della città di Reggio Calabria, già coinvolto nell’operazione “Eremo" (LEGGI) e sorvegliato speciale.
QUATTRO FERMI DI INDIZIATO DI DELITTO
A distanza di quasi quattro mesi gli investigatori, ritengono, oggi, di esser giunti alla quadratura del cerchio, e di aver fatto luce su quell’omicidio. La tesi è che l’obiettivo dei killer, dunque, fosse proprio Lo Giudice.
All’alba di stamani, così, è scattato un blitz, denominato operazione "De Bello Gallico", durante il quale gli uomini della polizia, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo, hanno dato corso all’esecuzione di quattro fermi di indiziato di delitto nei confronti di altrettanti soggetti, ritenuti responsabili a vario titolo dei reati di omicidio e tentato omicidio pluriaggravati, associazione mafiosa, detenzione e porto in luogo pubblico di armi da fuoco clandestine, danneggiamento aggravato con l’esplosione di colpi d’arma, furto e detenzione illegale di segni distintivi e oggetti in uso ai Corpi di Polizia. Il tutto aggravato dalla metodologia mafiosa.
Effettuate anche numerose perquisizioni domiciliari e locali.
RICOSTRUITE LE FASI DELL’AGGUATO
L’indagine avrebbe dunque consentito di individuare l’esecutore materiale dell’omicidio della Fortugno e del ferimento di Lo Giudice.
Per ricostruire la dinamica dell’agguato c’è voluto però un faticoso lavoro di estrapolazione, di studio e analisi delle immagini di una settantina di impianti di videosorveglianza pubblica e privata, prima che gli investigatori della sezione omicidi della Mobile dello Stretto arrivassero ad individuare la macchina che il presunto assassino utilizzò per raggiungere il luogo in cui si erano appartati i due amanti.
Qui vi fece un primo sopralluogo e poi mise in atto l’azione in cui fu uccisa freddamente la donna e ferito gravemente il 53enne.
Dunque, sotto la lente degli agenti sono passate centinaia di ore di filmati che avrebbero permesso di ricostruire le fasi dell’appuntamento delle vittime, del sopralluogo, dell’agguato e della fuga del killer, oltre che la disperata corsa di Lo Giudice verso l’ospedale, a bordo della sua auto, per tentare di far soccorrere la donna, colpita a morte.
IL PRESUNTO KILLER, IL PADRE ASSASSINATO TRE MESI PRIMA
Attraverso il confronto dei moltissimi filmati si è così individuata un’Audi A3 Sportback che sarebbe stata utilizzata dal sicario quella sera del 16 marzo. Tutti gli accertamenti effettuati al riguardo, dimostrerebbero che la vettura sarebbe stata usata esclusivamente da Paolo Chindemi, 28enne di Gallico.
Le intercettazioni ambientali disposte dalla Dda hanno poi consentito di raccogliere altri importanti elementi che, in combinazione con i dati acquisiti dalla videosorveglianza, sempre con riferimento al mezzo utilizzato dall’assassino, avrebbero composto un quadro indiziario ritenuti “grave, preciso e concordante” proprio a carico di Chindemi che è dunque ritenuto l’esecutore materiale dell’efferato delitto.
IL GRUPPO MAFIOSO EMERGENTE
Nell’ambito dell’inchiesta gli investigatori della Mobile hanno ricostruito anche l’assetto organizzativo ed operativo di un gruppo mafioso emergente, aderente alla ‘ndrangheta, e che sarebbe stato composto proprio da Paolo Chindemi, dallo zio Mario Chindemi (50 anni), da Santo Pellegrino (32) e Ettore Corrado Bilardi, detto “Pietro” (66).
Sono loro i fermati nella notte per l’ipotesi di reato di associazione mafiosa.
Grazie alle intercettazioni ambientali si sarebbe dimostrato che lo scopo fondamentale del sodalizio sarebbe stato quello di affermare a Gallico la propria leadership criminale conquistando spazi sempre più ampi, non esitando ad utilizzare le armi nelle loro azioni che erano indirizzate ad assumere il controllo delle attività estorsive ai danni di imprenditori e commercianti del posto, o anche per eliminare esponenti delle fazioni contrapposte.
Ad alcuni componenti viene anche contestato un atto intimidatorio eseguito a Gallico lo scorso 22 maggio, quando furono esplosi alcuni colpi di fucile contro le serrande di due garage di un condominio di cinque piani.
NELLA BASE LOGISTICA ARMI E GIUBBOTTI DELLA POLIZIA
Tenendo sotto stretto controllo i soggetti indagati la Mobile ha scoperto, alcuni giorni fa, e durante un servizio di perlustrazione notturna, la base logistica del sodalizio che era in alcuni luoghi periferici di Gallico superiore.
All’interno vi erano armi e diversi oggetti interessanti. In particolare, una pistola semiautomatica calibro 7.65 mm, una “J.P. Sauer&SohnSuhl”, modello “1913”, con tanto di matricola e completa di caricatore con 10 cartucce della “G.F.L.”.
E poi un revolver con tamburo a 6 camere di cartuccia, un calibro 38 SP senza marca e matricola, completo di 6 cartucce "G.F.L."; inoltre, quattro casacche (dei cosiddetti fratini o pettorine) in tessuto blu, che su entrambi i lati riportavano la scritta della Dia, la Direzione Investigativa Antimafia; oltre ad un giubbotto antiproiettile senza contrassegno identificativo; tre passamontagna a “mefisto” e una batteria 12V 7Ah della "Yamada" alla quale era applicato, con del nastro adesivo isolante, un ricevitore della “Atecnica”, modello D Multi 2 CH.
Nel corso di precedenti perquisizioni, gli agenti avevano anche individuato e sequestrato alcuni motoveicoli che gli indagati - costituendo un gruppo di fuoco - avrebbero rubato probabilmente per compiere delle azioni delittuose.
IL GENERO DEL BOSS STORICO E IL PERICOLO DI FUGA
Come dicevamo tra i fermati nella notte figura anche Ettore Corrado Bilardi, soggetto che gli inquirenti definiscono come un “pericoloso pregiudicato” che ha scontato lunghi anni di detenzione per omicidio, e genero del boss storico della ‘ndrangheta reggina, don Mico (Domenico) Tripodo, assassinato nel 1977 all’interno del carcere di Poggioreale, a Napoli, su mandato della cosca De Stefano.
Bilardi, poi, è cognato di Venanzio Tripodo, genero di Sebastiano Romeo, patriarca della storica famiglia mafiosa di San Luca, detta “I Stacchi”.
Gli investigatori sostengono che grazie all’opera di mediazione dello stesso, i membri del gruppo di Gallico avrebbero stretto relazioni con esponenti di affermate e potenti cosche dei mandamenti tirrenico e ionico della provincia reggina.
Sussistendo la gravità indiziaria in ordine ai reati contestati, oltre che il “concreto pericolo” che potessero darsi alla fuga, Direzione Distrettuale Antimafia ha disposto il fermo degli indagati in via d’urgenza.