‘Ndrangheta. Operazione “De Bello Gallico”, fermato “l’ambasciatore” del clan
È accusato di associazione mafiosa e altri reati contro il patrimonio. Pietro Pellicanò, 50enne di Reggio Calabria, è stato fermato dagli investigatori della Squadra Mobile della Questura del capoluogo, a conclusione di un segmento delle indagini relative all’operazione “De Bello Gallico” (LEGGI).
Il blitz risale al luglio del 2018 quando si sarebbe fatta luce sull’omicidio di Fortunata Fortugno e sul tentato omicidio di Demetrio Logiudice, avvenuti il 16 marzo dello stesso anno a Gallico (LEGGI).
Con l’operazione vennero arrestati Mario e Paolo Chindemi, Santo Pellegrino e Ettore Bilardi, indagati, a vario titolo, di associazione mafiosa, omicidio, tentato omicidio, porto e detenzione di armi e danneggiamento (LEGGI).
Le indagini non si sono fermate qui ma sono poi proseguite. Gli inquirenti, quindi, ritengono di aver ricostruito la composizione del gruppo mafioso impegnato in una sorta di scontro con altre frange della ‘ndrangheta nell’ambito di fibrillazioni connesse al controllo del territorio.
Grazie alle dichiarazioni rese da Mario Chindemi, gli investigatori avrebbero “puntellato” il ruolo di Pietro Pellicanò all’interno del gruppo facente capo alla famiglia Chindemi, e la sua partecipazione a due scorribande - che risalgono all’1 e 2 giugno 2018 - nel corso delle quali si sarebbe impossessato, con Mario e Paolo Chindemi e Santo Pellegrino, di due motociclette.
La tesi è che Pellicanò abbia fatto parte del sodalizio, tanto da diventare l’esecutore delle direttive degli altri sodali, occupandosi in particolare di commettere reati contro il patrimonio, tra cui proprio il furto di motocicli (per i quali vi è una separata contestazione di reato) utilizzabili per degli agguati.
Inoltre avrebbe veicolato le cosiddette “imbasciate” e messaggi con altri esponenti del sodalizio e delle articolazioni federate, così da poter gestire le dinamiche criminali comuni.
Ed ancora, avrebbe fornito aiuto a Mario Chindemi a definire i conflitti interni alla cosca e sanzionare gli affiliati in caso di violazione delle norme che governano il sodalizio, ad esempio programmando l’uccisione di Santo Pellegrino, ritenuto reo di non aver rispettato la gerarchia del gruppo.
La “banda” avrebbe operato nel quartiere di Gallico di Reggio Calabria e nelle zone limitrofe, in “connessione operativa” con le potenti cosche di ‘ndrangheta degli “Araniti” di Sambatello e “Condello” di Archi.
Il provvedimento è arrivato a seguito della comparazione delle impronte trovate sul Touareg durante il delitto, con l’impronta della mano sinistra di Chindemi. Da qui gli inquirenti hanno capito che l’uomo sarebbe stato presente ed avrebbe partecipato assieme al nipote Paolo Chindemi all’agguato nel Torrente di Gallico.
Al termine delle formalità di rito, Pellicanò è stato condotto nel carcere del capoluogo. Le indagini sono state coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura locale, diretta da Giovanni Bombardieri. Il decreto di fermo è stato invece emesso dai Sostituti Walter Ignazitto e Diego Capece Minutolo.