I Mancuso una multinazionale del narcotraffico tra donne in affari e cartelli sudamericani e maghrebini

Vibo Valentia Cronaca

Una vera e propria ossessione quella che avrebbe afflitto i presunti componenti di spicco di una delle più potenti cosche di ‘ndrangheta calabresi, quella dei Mancuso.

Una famiglia che, partita dal piccolo centro di Limbadi e da Nicotera, nel vibonese, avrebbe man mano esteso forti “interessi delinquenziali” anche nell’hinterland milanese.

L’incubo di cui accennavamo - che gli inquirenti definiscono addirittura come una maniacalità” - era quello dei principali indagati di essere costantemente assillati dal pensiero di venire monitorati dalle forze dell’ordine.

Un incubo, d’altronde, che stamani è divenuto realtà quando circa 300 uomini della Guardia di Ginanza hanno fatto scattare un blitz, non a caso denominato operazione “Ossessione”, arrivando al fermo - tra Calabria, Lombardia e Puglia - di ben 25 persone accusate a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti aggravata dalla modalità mafiosa e dalla detenzione di armi (LEGGI).

I FERMATI

Giuseppe Accursio, nato a Licata il 28.05.1953; Damiano Aquilano, nato a Tropea (VV) il 07.08.1984; Daniele Bosco, nato in Jugoslavia (EE) il 01.12.1977; Vito Jordan Bosco, nato in Libia il 07.05.1975; Giuseppe CAMPISI, nato a Vibo Valentia il 20.01.1960; Gianfranco Carugo, nato a Cerro Maggiore (MI) il 29.05.1949; Carlo Cuccia, nato a Tradate (VA) il 12.07.1980; Gina Alessandra Forgione, nata in Venezuela (EE); Clara Ines Garcia Rebolledo, nata in Venezuela (EE) il 27.10.1951; Elisabeta Kotja, nata in Albania (EE) il 19.09.1979; Maria Antonia Limardo, nata a Briatico (VV) il 28.01.1965; Francesco Mancuso, nato a Vibo Valentia il 07.01.1989; Giorgio Mariani, nato a Genga (AN) il 31.03.1958;

L.M., nato a Milano il 12.08.1965; Ivo Menotta, nato a Tradate (VA) il 12.02.1980; Julio Andres Murillo Figueroa, nato in Colombia il 29.03.1975; Gaetano Muscia, nato a Tropea (VV) il 20.04.1964; Antonio Narciso, nato a Vibo Valentia il 19.08.1961; Gennaro Papaianni, nato a Vibo Valentia il 14.02.1976; Salvatore Papandrea, nato a Taurianova (RC) il 16.08.1946; Fabrizio Pilati, nato ad Arona (NO) il 14.01.1969; Abderrahim Safine, nato in Marocco (EE) il 17.01.1982; Francesco Scaglione, nato a Palermo il 23.07.1960; Giovanni Stilo, nato a Nicotera (VV) il 04.01.1949; Michele Viscotti, nato a San Severo (FG) il 23.04.1946.

UN’ORGANIZZAZIONE “ESTREMAMENTE COMPLESSA”

Le indagini avrebbero dimostrato come i vertici del clan fossero in grado di disporre di canali diretti di approvvigionamento di cocaina dalla Colombia, dal Venezuela e dalla Repubblica Domenicana, oltre che dall’Olanda.

Gli investigatori delle fiamme gialle - coordinati dal Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri e dal Sostituto Annamaria Frustaci - sarebbero così riusciti a smantellare quella che è stata definita come “un’organizzazione estremamente complessa” tra le cui fila compaiono soggetti ritenuti esponenti di spicco dei Mancuso.

Nella rete degli inquirenti sono caduti infatti i fratelli Salvatore Antonino, Giuseppe e Fabio Costantino, considerati come “pienamente inseriti” nella cosca; così come un pluripregiudicato, Giuseppe Campisi, a sua volta ritenuto personaggio di “elevatissimo spessore criminale”, rappresentante della famiglia di Limbadi in Lombardia, condannato per associazione mafiosa e ritornato sulla scena dopo aver finito di espiare una lunga condanna a 30 anni di reclusione per un omicidio.

Giuseppe e Fabio Costantino, così come un altro indagato, Gaetano Muscia, risultano, tra l’altro coinvolti nella nota Operazione “Black Money” che ha duramente colpito i Mancuso (LEGGI).

L’IMPORTAZIONE DI COCA, HASHISH E I CARTELLI MAGHREBINI

Gli inquirenti sostengono che “seguendo un’ottica prettamente imprenditoriale”, l’organizzazione, in attesa dell’arrivo delle partite di cocaina dal Sudamerica, e con lo scopo di massimizzare il profitto, avrebbe intessuto rapporti d’affari con un personaggio marocchino residente a Milano, in diretto contatto con i principali cartelli maghrebini, per l’importazione di massicce quantità di hashish.

“La spiccata transnazionalità dell’organizzazione, che evidenzia nuovamente l’indissolubilità del trait d’union tra la criminalità organizzata calabrese e i ‘cartelli’ mondiali della droga ed una capillare diffusione sul territorio nazionale”, spiegano infatti gli inquirenti, avrebbero fanno sì che la cosca operasse come una vera e propria multinazionale del narcotraffico, curando l’acquisto “all’ingrosso” della droga ed a prezzi assolutamente concorrenziali, direttamente dai produttori, per poi smistarla in Calabria e Lombardia tramite una fitta rete di accoliti.

In questo contesto, le indagini registrerebbero come i vibonesi fossero in affari anche con esponenti legati al clan dei Mazzaferro di Gioiosa Ionica (nel reggino), da anni trapiantati nel milanese e nel comasco, ed in grado di smistare importanti quantità di narcotico in Lombardia.

Proprio a Tonino Mazzaferro i finanzieri sequestrarono nel marzo del 2018 un chilogrammo di cocaina pura al 98%.

IL RUOLO DELLE DONNE: DA TESTE DI PONTE A CO-FINANZIATRICI

Nell’indagine compare poi il ruolo fondamentale che sarebbe stato affidato alle donne del clan: da “teste di ponte” per le comunicazioni tra gli appartenenti, sarebbero ad esempio divenute anche co-finanziatrici.

In questo senso viene portato il caso della cittadina albanese Elisabeta Kotja, che avrebbe avuto il compito di intermediaria di alto rango” con gli esponenti dei Cartelli sudamericani.

Spiccano, poi, anche due venezuelane, Clara Ines Garcia Rebolledo e Gina Forgione, che sarebbero state estremamente note nel panorama del narcotraffico internazionale, “in grado - sostengono ancora gli investigatori - di mettere in contatto i calabresi con i narcos sudamericani”.

Tra questi Julio Andres Murillo Figueroa, noto narcotrafficante colombiano ospitato dai calabresi a Milano per pianificare l’arrivo della cocaina dai paesi dell’America Latina.

Ritenuto come un “socio” della Forgione, il colombiano ha in passato collaborato con i “guerriglieri colombiani”, e con il famigerato Pablo Emilio Escobar Gaviria, sanguinario capo storico del “cartello di Medellín” tra gli anni ’80/’90.

Solo una certosina attività di indagine avrebbe dunque consentito di svelare “compiutamente l’assetto organizzativo del sodalizio.

La tesi è che sfruttando le abilità di Michele Viscotti, esperto broker di origine pugliese, più volte andato in Sudamerica per contrattare prezzo e quantità del narcotico da inviare verso l’Europa, avrebbe curato i rapporti con i produttori.

DAI CARTELLI SUDAMERICANI FINO ALLE PIAZZE OLANDESI

Il gruppo, poi, non avrebbe contato solo sulle entrature nel florido mercato sud americano, ma sarebbe stato capace di tessere continui collegamenti con le principali piazze di approvvigionamento olandesi.

La vasta esperienza del foggiano”, spiegano ancora gli investigatori, gli avrebbe infatti consentito “di sfruttare conoscenze anche nei Paesi Bassi” dove avrebbe godutodi saldi rapporti con fornitori di droga di primissimo piano.

Mentre Viscotti, dall’estero, avrebbe contattato su più fronti, in Italia, invece, i Costantino si sarebbero preoccupati di quello che nel gergo dei narcos viene chiamato lo “scarico”, ovvero la possibilità di far uscire la droga da porti e aeroporti d’arrivo grazie ad agganci” utili allo scopo.

Per questo compito delicato il clan avrebbe fatto conto su un personaggio originario del reggino, Francesco Ceravolo, che sarebbe stato in grado “di far uscire il narcotico dall’aeroporto di Malpensa, evitando i controlli di rito.”

Da segnalare, poi, che grazie ad una costante attività d’indagine, nonostante le estreme accortezze attuate dai presunti trafficanti, nel marzo del 2018, i finanzieri erano riusciti a penetrare in un deposito dove era stata stoccata la droga a Milano, sequestrando oltre 430 kg di hashish giunti in Italia dal Marocco, via Spagna, oltre che una pistola rubata ed in uso a Salvatore Antonino Costantino.

TRE TONNELLATE DI HASHISH PRONTE A INDONDARE LA CALABRIA

Dalle attività tecniche eseguite dai finanzieri emergerebbe “nitidamente” che gran parte della droga sequestrata fosse destinata a soddisfare le richieste dei finanziatori di stanza in Calabria, tra cui compare il pregiudicato vibonese Antonio Narciso.

L’ingente quantitativo di droga sequestrato, in realtà, rappresenterebbe solo una quota parte di quanto commissionato dai calabresi al potente cartello in Marocco che era in grado di assicurare costanti ed enormi forniture di narcotico.

Secondo gli investigatori, infatti, i fratelli Costantino stavano trattando con l’organizzazione marocchina l’acquisto di una quantità di ben tre tonnellate di hashish che, stando ai calcoli degli stessi affiliati, avrebbe portato nelle tasche dell’associazione un guadagno che si aggirava tra i 4 ed i 5 milioni di euro, da reinvestire nell’ancor più redditizio traffico di cocaina.

I presunti appartenenti alla cosca, definiti come “pienamente ingeriti nel traffico internazionale” di stupefacenti, avrebbero inoltre dimostrato di voler difendere i propri interessi, dove necessario, anche con le armi.

DA ATTORE IN “GOMORRA” A PROCACCIATORE D’ARMI

A questo scopo un ruolo di fondamentale importanza sarebbe stato quello ricoperto da un soggetto di Varese, Carlo Cuccia, con un passato da comparsa nella nota serie televisiva “Gomorra”.

Mentre nella fiction all’indagato era stato attribuito il ruolo di “specchiettista”, nell’organizzazione vibonese sarebbe stato incaricato di reperire le armi, insieme ad un suo compaesano, Ivo Menotta, anch’egli colpito oggi dal fermo.

L’operazione di stamani è il frutto di un intenso lavoro investigativo, durato oltre due anni, che ha visto i finanzieri della Sezione Goa del Nucleo PEF dei Gico - che è specializzata nelle indagini in materia di contrasto al traffico internazionale, e con la collaborazione del Servizio Centrale d’Investigazione sulla Criminalità Organizzata - immergersi nei luoghi e nelle abitudini dei presunti associati, tanto da ritenere di averne carpito a pieno l’organigramma ed il modo d’agire.

L’inchiesta, oltre ad infliggere all’organizzazione delle rilevanti perdite economiche, sia sotto il profilo dei capitali investiti che dei mancati guadagni, avrebbe così consentito di identificare tutti i soggetti considerati come coinvolti, e ognuno dei quali con un ruolo ben preciso.

L’EVOLUZIONE DELLA ’NDRANGHETA: DA RURALE A HOLDING DEL CRIMINE

Lo spaccato che emergerebbe - sempre stando a quanto riferito dagli inquirenti - sarebbe l’estrema ramificazione delle moderne ‘ndrine che avrebbe consentito alla ‘ndrangheta di disporre di numerosi e floridi canali di approvvigionamento, accentuandone notevolmente la pericolosità e l’invasività.

La vocazione transnazionale - sostengono infatti gli investigatori - ha rinsaldato affaristici rapporti tra la malavita calabrese e quelle sudamericane, olandesi, spagnole e nordafricane, consentendo un abnorme ampliamento delle zone d’influenza, in molti casi, con l’esportazione del modello organizzativo tipico dei territori d’origine, nelle zone nazionali maggiormente sviluppate, determinando il predominio sulle similari associazioni delinquenziali nazionali e/o estere”.

Insomma una mutazione della ‘ndrangheta che da delinquenza crudele e rurale”, un tempo dedita essenzialmente alle estorsioni e ai rapimenti, si sarebbe evoluta e riciclata in una vera e propria holding del crimine, in grado di accumulare e gestire immensi patrimoni illeciti e di inquinare così ogni settore del sociale.