Asili nido, in Calabria i più economici ma mancano i posti
È di 170 euro la spesa media che una famiglia calabrese deve sostenere per mandare il proprio figlio all’asilo nido. Una spesa che è più alta della media nazionale del 6,4%. Emerge dallo studio redatto da Cittadinanza attiva in base ai dati dell’Osservatorio Prezzi e Tariffe, realizzato nell’ambito del progetto “Consapevolmente consumatore, ugualmente cittadino”, finanziato dal Ministero dello Sviluppo economico (DM 7 febbraio 2018).
E se nel bel paese la spesa media è di 303 euro, a fronte dei 472 euro pagati dalle famiglie trentine, e la città più costosa è Lecco, Catanzaro è invece il capoluogo di provincia meno caro d’Italia, con una retta mensile media di 100 euro.
Anche in questo settore l’Italia è divisa sulle tariffe, i posti disponibili, le agevolazioni per le famiglie. Succede che al Nord si registrano le rette più alte, ma anche maggiori misure di agevolazione per le famiglie; mentre il Sud conserva costi contenuti, seppur in aumento rispetto all’anno precedente, pecca sulla disponibilità di posti.
La retta più bassa si registra in Molise, 169€. Le regioni settentrionali si caratterizzano per una spesa media per le famiglie più elevata, ma in decremento rispetto all’anno precedente, stabile la spesa al Centro e in aumento invece nelle regioni meridionali (+5,1%).
A trovare posto in asilo è poco più di un bambino su cinque, anche se stando al report la copertura è variegata. Si parte dal 34,3% dell’Umbria al 6,7% della Campania e ben sei regioni sono sotto la media nazionale (21,7%). In Calabria la copertura si attesta all’8,8%. Questi i dati dell’Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva, realizzato nell’ambito del progetto “Consapevolmente consumatore, ugualmente cittadino”.
L’indagine ha interessato le rette applicate al servizio di asilo nido comunale in tutti i capoluoghi di provincia, con riferimento ad una famiglia tipo composta da tre persone ( due genitori e un minore di età 0-3 anni) e con un indicatore ISEE pari a 19.900€. le rette rilevate fanno riferimento all’ anno educativo in corso 2019/2020 e riguardano gli asili nido a tempo pieno, ove presenti, con frequenza per cinque giorni a settimana. Nel calcolo non sono state considerate né le eventuali agevolazioni attivate dai Comuni in virtù dei provvedimenti regionali, né quelle di derivazione nazionale.
Così 11.017 i nidi in Italia, di cui 6.767 privati e 4.250 pubblici; i posti disponibili sono 320.296, distribuiti fra 153.316 privati e 166.980 pubblici. Notevoli le differenze regionali: più forte la prevalenza di posti nei nidi pubblici in Basilicata, Emilia Romagna, Molise, Piemonte, Sicilia, Toscana, trentino Alto Adige; nei nidi privati invece in Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Puglia, Sardegna, Veneto; equilibrata nelle altre regioni.
La percentuale di copertura a livello nazionale è pari al 21,7% della potenziale utenza (bambini residenti sotto i 3 anni di età), ma con notevoli differenze tra le singole regioni: in negativo si distingue la Campania, con una copertura pari appena al 6,7%, in positivo l’Umbria con il 34,3%; sotto la media nazionale sei regioni: Campania (6,7%), Calabria (8,8%), Sicilia (9,3%), Puglia (13,6%), Basilicata (14,2%), Abruzzo (19,9%). Dunque tutte le regioni meridionali sono ben al di sotto della media di copertura, fa eccezione la Sardegna che raggiunge il 26,1%.
Tra il 2004 e il 2012 le risorse messe a disposizione dai Comuni per gli asili nido sono cresciute del 47%, passando da 1,1 a 1,6 miliardi di euro; tra 2012 e 2014 si è registrata una contrazione della spesa, nel triennio 2014-2016 una stabilizzazione, con una spesa complessiva per i servizi per l’infanzia nel 2016 di circa 1 miliardo e 475 milioni di euro.
La quota a carico degli utenti sul totale della spesa è passata dal 17% del 2004 al 20% del 2013, mentre dal 2015 si attesta al 19,4%. La quota percentuale a carico delle famiglie è più elevata della media in dieci regioni, in vetta il Veneto dove le famiglie contribuiscono del 26,2% rispetto alla spesa complessiva, all’estremo opposto la Sicilia le cui famiglie contribuiscono per una quota pari al 6,3%.
A livello comunale, il 48% prevede esenzioni dal pagamento della retta per le famiglie in stato di disagio economico e già seguite dai servizi sociali. A livello regionale, dieci regioni quasi esclusivamente del Centro Nord (Emilia Romagna, FVG, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Valle d'Aosta) hanno emanato disposizioni per contenere o abbattere i costi a carico delle famiglie.