Tsunami nel vibonese, “frantumate” le cosche egemoni: in manette boss, politici e imprenditori
L’operazione “Scott-Rinascita”, con cui stamani sono scattate le manette per 334 persone - 260 ristrette in carcere, 70 ai domiciliari e quattro sottoposte al divieto di dimora (QUI) - avrebbe consentito di ricostruire con “completezza” gli assetti di tutte le cosche ‘ndrangheta dell’area vibonese, fornendo agli inquirenti anche un’altra importante conferma: ovvero quella dell’unitarietà della ‘ndrangheta al cui interno le strutture territoriali - ovvero le cosiddette locali e le ‘ndrine - godono di un’ampia autonomia operativa, seppur seguendo regole comuni e riconoscimento l’autorità del cosiddetto “Crimine di Polsi”.
Le indagini hanno difatti documentato l’esistenza oltre che delle locali e delle ‘ndrine, anche di “società” in grado di controllare il territorio di riferimento e di gestirvi capillarmente ogni attività, lecita o illecita.
Scoperto anche quello quello che gli inquirenti chiamano lo “sviluppo di dialettiche” che riguardano le regole associative, nello specifico, sulla legittimità della concessione delle doti (per così dire: i “gradi” interni alla ‘ndrangheta) agli affiliati detenuti e con tanto di annessi “adempimenti formali” per conferirle.
Quanto proprio a quest’ultime, e non solo, si è fatta luce, ancora, sull’utilizzo di ritualità tradizionali tanto per l’affiliazione che per il loro conferimento come doti di cosiddetta “società maggiore”, elemento che sarebbe stato attestato dal sequestro di alcuni pizzini riportanti le copiate.
Gli investigatori hanno delineato, ancora, l’operatività di una struttura provinciale - denominata “crimine della provincia” di Vibo Valentia - a cui spettavano compiti di coordinamento delle articolazioni territoriali e di collegamento con la provincia di Reggio Calabria e il crimine di Polsi, che è il vertice assoluto della ‘ndrangheta unitaria.
La tesi è che a capo della struttura si sarebbero alternati, negli anni, esponenti della cosca Mancuso, come Giuseppe Mancuso (cl.1949), Pantaleone (cl.1961) e, da ultimo, Luigi (cl. 1954), che proprio in questo ruolo di vertice avrebbe governato gli assetti mafiosi della provincia, riuscendo anche a ricomporre le fibrillazioni che si erano registrate negli anni tra le varie consorterie.
L’ESISTENZA DELLA LOCALE DI LIMBADI
Oltre ad acclarare l’esistenza del crimine nella provincia vibonese, le investigazioni hanno permesso anche di censire l’esistenza della locale di Limbadi, egemonizzata dai Mancuso, ed a cui capo vi sarebbe stato proprio Luigi Mancuso che, anche durante la sua detenzione, avrebbe impartito disposizioni o addirittura sanzioni agli altri sodali, avrebbe poi curato i rapporti con le altre articolazioni provinciali, “sistemato” contrasti interni ed esterni e a volte anche personalmente gestito la conduzione delle varie attività criminali.
Suoi principali collaboratori si ritiene siano stati Pasquale Gallone, Giovanni Giamborino, Gaetano Molino e Gian Franco Ferrante.
LA LOCALE DI VIBO VALENTIA CITTÀ
Identificata anche la locale di Vibo Valentia città, che avrebbe riunito tre ‘ndrine. Parliamo di quella dei “Lo Bianco-Barba”, che tra i suoi elementi “apicali” vedrebbe Paolino Lo Bianco, Filippo Catania, Antonio Lo Bianco, Vincenzo Barba e Raffaele Franzè, ritenuti inseriti nella società maggiore di Vibo, e gli ultimi due che avrebbero anche avuto il ruolo di contabili della ‘ndrina.
L’altra è quella dei “Camillò-Pardea Ranisi”, che opera nei quartieri del capoluogo di Cancello Rosso e di San Leoluca, che sarebbe stata capeggiata, fino al maggio del 2016, da Andrea Mantella, poi divenuto un collaboratore di giustizia. Infine i “Pugliese Cassarola”, al cui vertice si ritiene fosse Rosario Pugliese, detto Saro.
LE ALTRE LOCALI DELLA PROVINCIA
Gli investigatori, ancora, sostengono di poter provare l’esistenza di altre locali nell’hinterland. Tra queste, quella Filandari e Ionadi, capeggiata da Leone e Giuseppe Soriano, dell’omonima cosca; quella di Mileto, sotto l’egida della cosca “Pititto-Prostamo-Iannello-Mesiano”. Un suo componente, Giuseppe Mangone, avrebbe curato il collegamento con la locale di Limbadi e si sarebbe occupato della compravendita e gestione di terreni.
Ed ancora: la locale di Piscopio, che si ritiene diretta da Salvatore Giuseppe Galati e che annovererebbe tra gli affiliati anche un esponente politico, l’ex consigliere regionale Pietro Giamborino, che secondo gli inquirenti avrebbe anche mantenuto i rapporti con membri di altre articolazioni della ‘ndrangheta (i “Fiarè”, i “Razionale” ed i “Gasparro”) e curato le relazioni con settori della pubblica amministrazione e delle professioni per la risoluzione dei problemi dell’organizzazione.
Un’altra locale è quella di San Gregorio d’Ippona, guidata dalle cosche “Fiarè-Razionale-Gasparro” ed al cui vertice vi sarebbero stati Saverio Razionale e Gregorio Gasparro. Il primo - che avrebbe avuto anche compiti di gestione economico-finanziaria della struttura - viene considerato un componente del crimine dell’intera area vibonese, in stretto rapporto con esponenti di primo piano di altre articolazioni ‘ndranghetiste, compresi Luigi Mancuso e Giuseppe Antonio Accorinti, oltre che con colletti bianchi, tra cui vi sarebbe il noto penalista Giancarlo Pittelli, ex-parlamentare e secondo gli investigatori appartenente anche alla Massoneria.
Un’altra delle locali della provincia è quella di Stefanaconi, che sarebbe stata capeggiata da Salvatore Patania, ritenuto appartenente all’omonima cosca, ed in “rapporti stabili” con i “Lo Bianco-Barba” di Vibo Valentia.
C’è poi la locale di Sant’Onofrio, che sarebbe stata diretta dal presunto capo società Pasquale Bonavota, con l’aiuto di Domenico e Nicola Bonavota e di Domenico Cugliari.
Le indagini hanno anche documentato un summit, avvenuto nel maggio 2017, che aveva lo scopo di ricomporre dei precedenti dissidi tra i “Bonavota” ed i “Mancuso”, con il conseguente “riavvicinamento” alla società di Sant’Onofrio al crimine vibonese. Durante la “riunione” gli affiliati avrebbero discusso anche sulle doti e sulle cariche e sulle procedure di formalizzazione di una locale.
Nella sfera d’influenza santonofriese gli inquirenti riconducono anche la ‘ndrina di Pizzo e quella di Filogaso e Maierato, diretta da Salvatore Francesco Mazzotta che tra l’altro avrebbe gestito, anche direttamente, le attività imprenditoriali d’interesse e intestate a prestanome, e avrebbe mantenuto i rapporti con l’amministrazione comunale di Pizzo, convogliando i pacchetti di voti sui candidati vicini alla ‘ndrina.
Un’altra delle locali quella di Zungri, sotto l’influenza delle cosche “Accorinti-Barbieri-Bonavena” e diretta da Giuseppe Antonio Accorinti, considerato esponente apicale anche a livello provinciale. Subordinate all’articolazione zungrese sarebbero risultate le ‘ndrine di Briatico Cessaniti e Vibo Marina.
Infine, la ‘ndrina di Tropea, attiva anche a Ricadi, dove si sarebbe accertato il ruolo di co-dirigenza esercitato da Antonio e Francesco La Rosa, e che sarebbe stata in costante collegamento con i “Mancuso” di Limbadi.
I MANCUSO “POLO DI RIFERIMENTO”
In merito alla cosca “Mancuso”, oltre a riconoscergli un ruolo di polo di riferimento dell’ampia rete delle strutture ‘ndranghetiste vibonesi, gli inquirenti ritengono emerga chiaramente anche la sua rilevanza a livello extra provinciale, che sarebbe stata dimostrata sia dagli attuali e strutturati rapporti, finalizzati al “mutuo soccorso” ed allo scambio di favori criminali, instaurati, tra gli altri, con i “De Stefano” di Reggio Calabria e i “Piromalli” di Gioia Tauro, e sia dai rapporti intrattenuti con esponenti di Cosa Nostra databili all’epoca pre-stragista.
IL SOFISTICATO MECCANISMO D’INFILTRAZIONE
Quanto ai diversi reati individuati nel corso dell’indagine di oggi, si sarebbe dimostrata una ormai consolidata capacità di infiltrazione nell’imprenditoria, attuata con meccanismi sempre più sofisticati e grazie al contributo di professionisti considerati collusi.
Dimostrazione di questa tesi arriverebbe dalle numerose intestazioni fittizie documentate e da svariate operazioni di riciclaggio svolte nella provincia tra acquisto di strutture turistico-alberghiere, bar, ristoranti, imprese nel settore alimentare e della distribuzione, e investimenti nel settore immobiliare svolti da prestanome, oltre che con la partecipazione ad aste pubbliche per l’acquisto di terreni, immobili, autovetture di pregio, tramite terzi soggetti.
Attività svolte anche a Roma con la creazione di una rete di negozi calzaturieri e l’apertura di una fabbrica, attraverso un circuito societario facente capo a società di diritto britannico ma controllate da articolazioni dell’associazione.
Altre attività a San Giovanni Rotondo dove è stata acquistata una struttura turistico-alberghiera in società con imprenditori lombardi che erano in difficoltà economiche. Ma anche all’estero, nel Regno Unito, tramite la creazione di reti societarie necessarie a simulare operazioni commerciali per ripulire il denaro illecito e successivamente investito in imprese italiane.
LA PRESSIONE ESTORSIVA E L’USURA
La ‘ndrangheta vibonese, poi, sarebbe riuscita ad accaparrarsi terreni rurali nella provincia ed ottenuti con modalità estorsive; pressione estorsiva che sarebbe stata svolta anche nei confronti dei commercianti e imprenditori costretti, in cambio della "protezione", a garantire la consueta “messa a posto”, ovvero e di massima corrispondere il 3% del valore dei lavori svolti o assumere personale segnalato dalle cosche o, ancora, imponendogli le forniture.
Altri ambiti di interesse quelli dell’usura, svolta in modo massivo nei confronti di commercianti ed imprenditori in difficoltà; ma anche del traffico di stupefacenti; dei danneggiamenti tramite incendi o colpi d’arma da fuoco; finanche il controllo mafioso dei servizi funerari.
IL CLAN E 20 ANNI DI OMICIDI
Accertata poi la consumazione, in oltre 20 anni, cioè dal 1996 al 2017, di quattro omicidi e tre tentati omicidi: quello di Antonio Lo Giudice e Roberto Soriano, uccisi a Filandari il 6 agosto del ‘96 e si ritiene ad opera di Saverio Razionale e Giuseppe Antonio Accorinti ed in concorso con altre persone non identificate.
Il duplice omicidio sarebbe stato infatti deciso proprio da Razionale in risposta ad un tentativo di ammazzarlo e subito da Soriano, e che era derivato da dei dissidi insorti tra lo stesso Razionale e Giuseppe Mancuso, detto Mbrogghia.
Un altro assassinio è quello di Nicola Lo Bianco, ucciso a Vibo Valentia nel maggio del 1997, da Gianfranco Ferrante, in concorso con altri altri e sempre per dissidi in questo relativi al narcotraffico.
Poi l’omicidio di Alfredo Cracolici, esponente apicale dell’omonima ‘ndrina, detto Lele Palermo, avvenuto a Vallelunga l’8 febbraio del 2002, ad opera di Antonio Ierulo e Domenico Bonavota, nell’ottica di una strategia espansionistica della cosca “Bonavota”.
Quanto ai tentati omicidi, invece, gli investigatori si riferiscono a quelli di Antonio Franzè e Carmelo Pugliese, avvenuti a Vibo rispettivamente il 27 ed il 28 settembre del 2017, e si ritiene ad opera Domenico Macrì, detto Mommo.
Entrambi gli episodi sono stati ricondotti ad uno scontro interno alla locale di Vibo Valentia città e tra esponenti delle ‘ndrine dei Ranisi e dei Cassarola, alimentato dal tentativo di Macrì (appartenente ai Ranisi), di assurgere ad un ruolo verticistico.
Infine il tentato omicidio di Alessandro Sicari, avvenuto a Vibo Valentia il 21 gennaio 2018 (QUI) che si ritiene ad opera di Domenico Macrì e Ferraro Marco che avrebbero valuto punire la vittima, anch’essa legata allo stesso contesto criminale, per la sottrazione di una pistola.
LA POSIZIONE DI GIANCARLO PITTELLI
Infine, a dimostrazione dell’elevato livello di pericolosità dell’associazione, oltre al sequestro - in più occasioni - di numerose armi comuni e da guerra (complessivamente sono state scovate 11 tra pistole e revolver, 12 tra fucili, carabine e mitragliatori, e un abbondante munizionamento di vario calibro), emergerebbe una costante ricerca di contatti con esponenti politici, massoni, influenti professionisti, rappresentanti delle istituzioni e dell’imprenditoria, finalizzati al perseguimento dei propri scopi criminali.
Per gli inquirenti risulterebbe particolarmente significativa, al riguardo, la posizione proprio di Giancarlo Pittelli (che oggi è fionito in carcere), avvocato catanzarese, già Parlamentare della Repubblica, iscritto al G.O.I., il Grande Oriente d’Italia.
Pittelli è considerato un partecipante all’associazione mafiosa e secondo gli inquirenti mettendo “sistematicamente a disposizione dei criminali il proprio rilevante patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con esponenti di primo piano a livello politico-istituzionale, del mondo imprenditoriale e delle professioni, anche per acquisire informazioni coperte dal segreto d’ufficio e per garantirne lo sviluppo nel settore imprenditoriale”. Le indagini documenterebbero infatti i rapporti che avrebbe avuto con Luigi Mancuso.
LA POSIZIONE DI PIETRO GIAMBORRINO
L’altro politico coinvolto è Pietro Giamborino (anche lui in carcere): già consigliere della Regione Calabria, è ritenuto formalmente affiliato alla locale di Piscopio, e avrebbe “intessuto legami con alcuni dei più importanti appartenenti alla ‘ndrangheta vibonese per garantirsi voti ed appoggi necessari alla sua ascesa politica”, divenendo - di fatto – “uno stabile collegamento dell’associazione con la politica calabrese, funzionale alla concessione illecita di appalti pubblici e di posti di lavoro per affiliati o soggetti comunque contigui alla consorteria”.
In quest’ambito, si sarebbe ricostruita anche la vicenda che ha portato alla contestazione del reato di traffico d’influenze a carico dello stesso ex consigliere regionale ma anche di Nicola Adamo (anche lui ex consigliere della Regione), Giuseppe Capizzi (amministratore unico del “Consorzio progettisti e costruttori”) e di Filippo Valia.
LE ALTRE POSIZIONI
In carcere è poi finito un altro nome per così dire “eccellente”: Francesco Stilo, avvocato lametino che si ritiene abbia fornito all’organizzazione criminale uno stabile contributo reperendo notizie coperte dal segreto istruttorio e garantendo il flusso di notizie proveniente da esponenti di vertice detenuti.
Dietro le sbarre anche il Gianluca Callipo, all’epoca dei fatti Sindaco di Pizzo Calabro, che proprio in relazione al suo ruolo politico ed amministrativo, avrebbe tenuto delle condotte amministrative illecite e favorevoli al sodalizio, garantendo ad alcuni indagati dei benefici nella gestione di attività imprenditoriali.
Ai domiciliari, invece, Filippo Nesci, Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Vibo Valentia e Comandante della Polizia Municipale del capoluogo, ritenuto responsabile di un episodi di corruzione in favore di esponenti dell’associazione.
Infine, in carcere Enrico Caria, all’epoca Comandante della Polizia Locale di Pizzo: secondo gli inquirenti, in concorso tra gli altri con Callipo, avrebbe agito nell’interesse dei “Mazzotta”, egemoni sul territorio, adottando delle condotte “perlopiù omissive”.
GLI ARRESTATI
Ambrogio Accorinti, Angelo Accorinti, Giuseppe Antonio Accorinti, Pietro Accorinti, Domenico Rosario Aiello, Serafino Alessandria, Francesco Amabile, Francesco Angelieri, Mario Artusa, Maurizio Umberto Artusa, Michele Manuele Baldo, Bruno Barba, Francesco Barba, Nicola Barba, Raffaele Antonio Giuseppe Barba, Vincenzo Barba, Antonino Barbieri, Francesco Barbieri (cl. 1965), Francesco Barbieri (classe 1988), Giuseppe Barbieri (classe 1992), Giuseppe Barbieri (classe 1973);
Michelangelo Barbieri, Onofrio Barbieri, Antonio Barone, Antonio Basile, Antonio Paolo Michele Basile, Michele Battaglia, Luca Belsito (classe 1949), Luca Belsito (classe 1990), Rocco Belsito, Lucio Belvedere, Attilio Bianco, Francesco Bognanni, Domenico Bonavota, Michele Bonavota, Nicola Bonavota, Pasquale Bonavota, Salvatore Bonavota, Gianluca Callipo, Domenico Camillò (classe 1941), Domenico Camillò (detto Mangano) classe 1994, Giuseppe Camillò, Michele Camillò, Francesco Cannatà;
Gaetano Antonio Cannatà, Cristian Domenico Capomolla, Filippina Carà, Paolo Carchedi, Enrico Caria, Francesco Carnovale, Filippo Catania, Gianluigi Cavallaro, Fortunato Ceraso, Carmelo Chiarella, Domenico Cichello, Giacomo Cichello, Rocco Cichello, Luca Ciconte, Francesca Collotta, Salvatore Contartese, Domenico Cracolici, Francesco Cracolici, Chiarina Cristelli, Antonio Crudo, Domenico Crudo, Domenico Cugliari (Micu u Mela), Domenico Cugliari classe 1982, Giuseppe Cugliari, Raffaele Cugliari;
Antonio Emiliano Curello, Nazzareno Antonio Curello, Saverio Curello, Carmelo Salvatore D’Andrea, Giovanni Claudio D’Andrea, Giuseppe D’Andrea, Pasquale Antonio D’Andrea, Paola De Caria, Paolo De Domenico, Onofrio Durzo, Mario De Rito, Orazio De Stefano, Massimiliano De Vita, Cinzia De Vito, Antonino Delfino, Rocco Delfino, Filippo Di Miceli, Michele Dominello;
Domenico Febbraro, Luigi Federici, Giuseppe Feroleto, Gianfranco Ferrante, Marco Ferraro, Michele Fiorillo, Maurizio Fiumara, Francesco Fortuna classe 1996, Francesco Salvatore Fortuna, Giuseppe Fortuna classe 1977, Giuseppe Fortuna classe 1963, Giovanni Franzè, Nazzareno Franzè, Domenico Franzone (Chianozzo), Antonio Fuoco, Salvatore Furlano, Filippo Fuscà, Nicola Fuscà Michele Galati, Cristiano Gallone, Francesco Gallone, Pasquale Gallone, Sandro Ganino, Pantaleo Maurizio Garisto, Luigi Garofalo;
Francesco Gasparro, Gregorio Gasparro, Emilio Gentile, Sergio Gentile, Giovanni Giamborino, Pietro Giamborino, Gabriele Giardino, Girolamo Giardino, Michele Giardino, Gregorio Giofrè, Leonardo Greco, Filippo Grillo, Alessandro Iannarelli, Antonio Iannello, Francesco Iannello, Antonio Ierullo, Davide Inzillo, Roberto Ionadi, Luciano Iraira, Francesco Isolabella, Francesco Labella, Emanuele Lamalfa, Antonio Larosa, Francesco Larosa, Saverio Lacquaniti, Andrea Lagrotteria, Daniele Nazzareno Lagrotteria, Giovanni Lenza, Antonino Lo Bianco (u caprina), Antonio Lo Bianco classe 1948, Carmelo Lo Bianco (U niru);
Domenico Lo Bianco (U zazzu), Giuseppe Lo Bianco classe 1972, Leoluca Lo Bianco, Michele Lo Bianco classe 1999, Michele Lo Bianco classe 1975, Michele Lo Bianco classe 1967, Michele Lo Bianco (U ciucciu) classe 1948, Nicola Lo Bianco, Orazio Lo Bianco, Paolino Lo Bianco, Salvatore Lo Bianco ( U gniccu), Elisabetta Loiacono, Vincenzo Lo Gatto, Mario Loriggio, Antonio Lopez Iroyo, Giuseppe Lopreiato, Rosetta Lopreiato, Gaetano Lo Schiavo, Antonio Macrì classe 57, Domenico Macrì classe 84, Luciano Macrì;
Michele Pio Maximiliano, Michele Manco, Giuseppe Mancuso, Luigi Mancuso, Giuseppe Mangone, Vincenzo Mantella, Nicolino Pantaleone Mazzeo, Salvatore Francesco Mazzotta, Giuseppe Mercatante, Giuseppe Moisè, Gaetano Molino, Salvatore Morelli, Salvatore Morgese, Antonio Moscato, Domenico Bruno Moscato, Nicola Murmura, Giorgio Naselli, Valerio Navarra, Gregorio Niglia, Domenico Paglianiti (zingaro), Emiliano Palamara, Giuseppe Palmisano, Loris Palmisano, Costantino Panetta;
Agostino Papaianni, Domenico Pardea, Francesco Antonio Pardea, Rosario Pardea, Francesco Parrotta, Alessio Patania, Antonio Patania, Francesco Michelino Patania (Cicciobello), Salvatore Patania, Francesco Paternò, Paolo Petrolo, Giancarlo Pittelli, Lorenzo Polimeno, Domenico Salvatore Polito, Fortunato Pontoriero, Domenico Preiti, Alex Prestanicola, Andrea Prestanicola, Antonio Prestia, Domenico Prestia, Antonio Profeta, Michele Pugliese Carchedi, Francesco Pugliese (Willi), Michael Joseph Pugliese;
Rosario Pugliese, Nazzareno Antonino Pugliese, Daniele Pulitano, Vincenzo Puntoriero, Saverio Razionale, Agostino Redi, Vincenzo Alberto Maria Renda, Giovanni Rizzo classe 1972, Giovanni Rizzo classe 1982, Giuseppe Rizzo, Salvatore Rizzo, Francesco Romano, Giuseppe Romano, Paolo Romano, Rosario Antonio Romano, Antonio Ruggiero, Salvatore Sacchinelli, Michelino Scordamaglia, Giuseppe Scriva, Antonio Scrugli, Alessandro Sicari, Giovanni Sicari, Graziella Silipigni, Domenico Simonetti, Caterina Soriano;
Giuseppe Soriano, Leone Soriano, Vincenzo Spasari, Marco Startari, Francesco Stilo, Giuseppe Suriano, Francesco Tarzia, Vincenzo Tassone, Pasquale Tavella, Rocco Tavella, Domenico Tomaino, Giuseppe Alessandro Tomaino, Antonio Giuseppe Tomeo, Danilo Josè Tripodi, Salvatore Tulosai, Antonio Vacatello, Salvatore Valenzise, Paolo Vanacore, Francesco Vardè, Giovanni Vecchio, Antonio Ventura, Luigi Leonardo Vitrò, Francesco Vonazzo, Luigi Francesco Zuliani.