Il controllo del quartiere e quei legami tra cosche e funzionari pubblici. 19 indagati

Reggio Calabria Cronaca

Il controllo pervasivo della ‘ndrangheta, in particolare la cosca dei Condello, su un intero territorio - ovvero il quartiere nord di Reggio Calabria - condizionando l’economia locale, le attività economiche e produttive presenti nella zona, garantendosi uno scambio di reciproci vantaggi con avviati imprenditori o, ancora, utilizzando dei qualificati “prestanomi e assicurandosi la compiacenza di funzionari pubblici.

Ci sta tutto questo nell’operazioneRupes” della Dda dello Stretto e che oggi è sfociata con la notifica d un avviso di conclusione delle indagini preliminari (a firma del Sostituto Sara Amerio) nei confronti di 19 persone che sono indagate, a vario titolo e tra l’altro per concorso esterno in associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata alla turbativa d’asta e intestazione fittizia (aggravati dal metodo mafioso), per corruzione, reati ambientali e abuso d’ufficio.

Ad eseguire il provvedimento sono stati gli uomini della Guardia di Finanza del capoluogo al termine delle indagini condotte dal Gico nei confronti di imprenditori ritenuti collusi con esponenti delle cosche cittadine e pubblici ufficiali corrotti che, sempre secondo gli inquirenti, tra il 2009 e il 2013 si sarebbero associati tra di loro determinando così gli esiti di diverse gare per dei lavori pubblici a favore di imprese riconducibili a soggetti considerati contigui alle famiglie dei Condello, Libri, Tegano e Paviglianiti di San Lorenzo e Iamonte di Melito Porto Salvo.

I NOMI DEGLI INDAGATI

Gli indagati sono, in particolare: Carmelo Giuseppe Cartisano, di 48 anni; Girolamo Ottavio Cartisano di 63 anni; Walter Davide Cartisano di 32 anni; Francesca Cutrupi, di 34 anni; Antonio D’Agostino, di 58 anni; Vito Lo Cicero, di 74 anni; William Sergio Liborio Lo Cicero, di 71 anni; Domenico Alessandro Macrì, di 55 anni; Giovanni Mangiola, di 50 anni; Domenico Marcianò, di 37 anni; Domenico Musolino, di 44 anni; Antonio Napolitano, di 59 anni; Riccardo Napolitano, di 58 anni; Giovanni Pontari, di 61 anni; Antonio Russo, di 37 anni; Maria Scaramuzzino, di 40 anni; Fortunato Stellittano, di 50 anni; Giovanni Tripodi, di 38 anni; e Andrea Carmelo Vazzana, di 51 anni.

L’ACCORDO DI “BIUNIVOCO INTERESSE”

Nelle indagini sono dunque coinvolti gli imprenditori Vito Lo Cicero, amministratore dell’impresa Impianti e Costruzioni”, a cui si contesta il concorso esterno; e Carmelo Giuseppe Cartisano, ritenuto come il referente della cosca Chirico, federata ai Condello, e che controllerebbe il territorio di Gallico Marina, attualmente detenuto e imputato per associazione mafiosa nel procedimento “Gotha(QUI).

L’ipotesi degli inquirenti è che Vito Lo Cicero abbia stretto un accordo di “biunivoco interesse” con Cartisano che, grazie alla forza del vincolo associativo ‘ndranghetistico con la cosca Chirico, avrebbe assicurato la risoluzione delle problematiche di natura intimidatoria o estorsiva come - tra gli altri - il danneggiamento di un escavatore e la “protezione” mafiosa del cantiere di Bova Marina, collocato in un diverso contesto territoriale di ‘ndrangheta.

In cambio, Lo Cicero avrebbe riservato le forniture di materie prime, l’estrazione e i trasporti di materiali, oltre all’assunzione delle maestranze, ad imprese individuate direttamente da Carmelo Giuseppe Cartisano, “in funzione della contiguità - per talune - a cosche ‘ndranghetistiche” sostengono gli investigatori riferendosi in particolare alla ditta individuale “Morena Pietro”, alla “M.C. Sas di Domenico Marcianò”, alla “Decori e Colori di Chirico Vincenza Lucia Cinzia”; e da Carmelo Natale Cartisano (cugino di Carmelo Giuseppe) quanto all’azienda “Edil Calabra di Scaramuzzino Maria” per la cava di estrazione, di fatto ritenuta riconducibile al coniuge Fortunato Stellittano e al socio Giovanni Mangiola, che sono indagati per intestazione fittizia.

I FUNZIONARI A “DISPOSIZIONE”

Nell’avviso di conclusione delle indagini, però, vengono contestate altre ipotesi di reato. Tra queste alcune turbative d’asta aggravate dall’agevolazione della ‘ndrangheta, che sarebbero state attuate sia da Vito Lo Cicero che da Francesca Cutrupi, amministratori delle rispettive imprese “Impianti e Costruzioni” e “FFC Costruzioni”.

Secondo gli investigatori queste società, una volta aggiudicatesi le commesse pubbliche, le avrebbero subappaltare per l’esecuzione dei lavori ad altre imprese ritenute contigue alle cosche dei Condello, Libri e Tegano e dei Paviglianiti e Iamonte. Imprese, però, che non avrebbero avuto i requisiti per poter contrattare con la Pubblica Amministrazione, tra cui la “Trasporti e Movimento Terra di Russo Antonio”, la “Edil Movit di Vazzana Andrea Carmelo”, la “Fra.Ve.Sa.” (di Giovanni Tripodi), la “Ditta individuale Musolino Domenico” e la “M.C. Sas di Marcianò Domenico & C.”.

Un altro dei reati contestati è quello della corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio di diversi funzionari in posizioni pubbliche strategiche per l’attività svolta da Lo Cicero e Cartisano.

Tra i pubblici ufficiali coinvolti e ritenuti a “disposizione dello stesso Lo Cicero, c’è l’architetto Domenico Alessandro Macrì, dell’Ufficio Urbanistica, si ritiene in cambio di utilità personali diverse dal denaro, ad esempio e cioè l’esecuzione di lavori o di forniture di materiali edili per abitazioni private.

Poi, il fratello di Lo Cicero, William Sergio Liborio e Riccardo e Antonio Napolitano, tutti alle dipendenze del Provveditorato alle Opere Pubbliche della Sicilia e della Calabria; e Giovanni Pontari, capo struttura del Dipartimento Agricoltura, Foreste e Forestazione della Regione Calabria;

L’INTESTAZIONE FITTIZIA DEL BAR

Gli inquirenti, ancora, contestano l’intestazione fittizia di un noto bar-pizzeria, il “Naos” di Gallico. La tesi è che Carmelo Giuseppe Cartisano, proprietario di fatto, e Girolamo Ottavio Cartisano, quale gestore del locale, avrebbero attribuito la titolarità del locale a Walter Davide Cartisano così da eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniali.

Infine, si ipotizza l’illecita concorrenza con minaccia o violenza che sarebbe stata messa in atto da Carmelo Giuseppe Cartisano. Gli investigatori sostengono che quest’ultimo sia intervenuto nell’interesse di Antonio D’Agostino per dissuadere un imprenditore dal far proseguire i lavori di ristrutturazione di un locale commerciale ad un’altra ditta ingaggiata, in sostituzione dell'impresa dello stesso D’Agostino, a seguito di inadempienze nei lavori.