Imprenditori grazie alla ‘ndrangheta? Maxi sequestro da 50 milioni di euro
Per gli inquirenti apparterrebbero o comunque sarebbero contigui alle cosche della ‘ndrangheta reggina. Con questi presupposti investigativi stamani la Dia e la Guardia di Finanza hanno sequestrato un patrimonio del valore di ben 50 milioni di euro a tre imprenditori: Antonino Scimone (45 anni), Antonino Mordà (51) e Pietro Canale (49).
La loro “figura” era emersa nell’operazione “Martingala” (QUI) che, nell’ottobre del 2018, portò al fermo di 27 persone (QUI), accusate a vario titolo di associazione mafiosa, riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego di denaro, di beni, di utilità di provenienza illecita, ma anche di usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, trasferimento fraudolento di valori, frode fiscale e, dulcis in fundo, di associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni e reati fallimentari.
Allora venne effettuato anche un imponente sequestro: 51 società, 19 immobili e disponibilità finanziarie per un ammontare complessivo di circa cento milioni di euro.
IL “VERO REGISTA”
Le indagini avrebbero permesso di accertare l’esistenza di un articolato gurppo criminale che avrebbe avuto la sua base a Bianco ma con proiezioni operative non solo in tutta la provincia reggina, quanto anche in altre regioni italiane e persino all’estero.
Ai vertici si ritiene vi fossero le famiglie Barbaro di Platì, detti “I Nigri”, Nirta “Scalzone” di San Luca. Secondo gli inquirenti, poi, sarebbe stato l’artefice principale del meccanismo delle false fatturazioni e definito come il “vero regista” delle movimentazioni finanziarie dissimulate dietro apparenti attività commerciali.
Lo stesso è stato rinviato a giudizio per svariate ipotesi di reato, tra cui il concorso esterno in associazione mafiosa, la dirigenza di un’associazione finalizzata al riciclaggio ed al reimpiego e all’intestazione fittizia di beni, all’emissione ed utilizzo di fatture false, che sarebbero state funzionali ad agevolare l’attività di infiltrazione occulta della ‘ndrangheta negli appalti pubblici della ‘ndrangheta, verso la quale sarebbero state drenate imponenti risorse.
LE SOCIETÀ CARTIERE
L’ipotesi è dunque che l’organizzazione potesse contare su un gruppo di società di comodo, le cosiddette “cartiere”, coinvolte sistematicamente in operazioni commerciali ritenute inesistenti, caratterizzate dalla regolarità formale - attestata da documenti fiscali e pagamenti - rivelatesi tuttavia anch’essa fittizie e che avrebbe consentito al gruppo di mascherare innumerevoli trasferimenti di denaro da e verso l’estero, funzionali alla realizzazione di doveri reati, in primis quello del riciclaggio e del reimpiego dei relativi proventi.
Un meccanismo, sostengono ancora gli inquirenti, che mediante delle false transazioni commerciali, avrebbe costituito “il volano per l’instaurazione di articolati flussi finanziari tra le aziende degli indagati e le società di numerosi ‘clienti’ che di volta in volta si rivolgevano agli stessi per il soddisfacimento di varie illecite finalità, tra cui la frode fiscale”.
LE DINAMICHE CRIMINALI
Le investigazioni hanno interessato, tra l’altro, delle presunte dinamiche criminali avvenute nella città di Reggio Calabria, svelando l’esistenza di una folta schiera di imprenditori che avrebbero fruito dei servizi offerti dall’associazione che si ritiene promossa e capeggiata da Scione.
Tra questi emerse la posizione di Canale, indagato per le ipotesi di intestazione fittizia di beni, emissione ed utilizzo di fatture false e reimpiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche e finanziarie; ma anche quella dell’imprenditore Mordà, rinviato a giudizio per le ipotesi di associazione di stampo mafioso (per cui è ancora oggi cautelato), trasferimento fraudolento di valori, estorsione, bancarotta, usura e reimpiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche e finanziarie, fattispecie in diversi casi aggravate dall’aver agevolato gli interessi della ‘ndrangheta.
“ESPRESSIONE DELLA COSCHE”
In base a queste risultanze, la Direzione Nazionale Antimafia e Dda reggina, sempre più interessate agli aspetti economico-imprenditoriali legati alla criminalità organizzata, hanno delegato al Gico e allo Scico, oltre che alla Dia, un’apposita indagine a economico-patrimoniale finalizzata all’applicazione, nei confronti dei tre imprenditori, delle misure di prevenzione personali e patrimoniali.
Gli investigatori, dopo aver delineato il loro presunto “profilo di pericolosità sociale”, anche sulla scorta di precedenti indagini, la si sono impegnati nella ricostruzione delle acquisizioni patrimoniali – sia dirette che indirette - effettuate nell’ultimo trentennio, accertando, attraverso un complesso, articolato e minuzioso accertamento e riscontro documentale, i patrimoni dei quali gli stessi risultavano disporre ed il cui valore sarebbe apparso “decisamente sproporzionato” rispetto alla capacità reddituale dichiarata ai fini delle imposte sui redditi.
Gli inquirenti ritengono anche di aver ricostruito le fonti illecite dalle quali gli stessi avrebbero tratto le risorse per la loro acquisizione e, soprattutto, l’asserita natura mafiosa delle attività d’impresa svolte - nel tempo - come imprenditori considerati “espressione delle cosche di riferimento”.
I BENI CAUTELATI
Alla luce di questi risultati, il Tribunale di Reggio Calabria ha disposto il sequestro dell’intero patrimonio riconducibile sia a Scimone, Mordà e Canale che alle rispettive famiglie.
Si tratta in particolare di 18 imprese e società commerciali sia in Italia che all’estero; 18 immobili; 7 automezzi, una imbarcazione da diporto; 10 orologi di pregio tra Rolex, Paul Picot, Baume & Mercier; disponibilità finanziarie e rapporti bancari e assicurativi, per un valore stimato come dicevamo in circa 50 milioni.
Tra le numerose società, è stata sottoposta a vincolo la Canale Srl, comprensiva di 15 unità locali nella provincia reggina e in quelle di Milano, Brescia, Mantova, Varese, Pavia, La Spezia, Vicenza e Lecce, e che opera nel settore della metanizzazione; sequestro anche per Pivem srl, che opera invece nel comparto della grande distribuzione con la gestione di un supermercato nel rione Pellaro del capoluogo dello Stretto.
L'OPERAZIONE è stata eseguita dalla Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria, dai militari dello Scico di Roma e del Comando Provinciale della Guardia di Finanza dello Stretto, supportati di colleghi delle provincie di Milano, Brescia, Mantova, Varese, Pavia, La Spezia, Vicenza, Lecce e Sassari, con il coordinamento della Procura Nazionale Antimafia, diretta dal Procuratore Nazionale Federico Cafiero De Raho e dalla Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Procuratore Capo Giovanni Bombardieri. I provvedimenti sono stati emessi dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale dello Stretto, presieduta da Ornella Pastore, su richiesta congiunta del Procuratore Nazionale Antimafia e del Procuratore Capo di Reggio.
Una procedura applicata nel Distretto reggino per la prima volta dopo la riforma del 2015 del Codice Antimafia, che ha attribuito anche al Pna la titolarità della proposta di misure di prevenzione di natura patrimoniale.