Per la Dda è un imprenditore del narcotraffico: scattano i sigilli per il “boss” della coca
Attività commerciali, immobili, auto e disponibilità finanziarie per un valore di circa 1,7 milioni di euro: sono i beni che su ordine del Tribunale di Roma, e su proposta della Direzione Distrettuale Antimafia locale, i finanzieri capitolini stanno sequestrando in queste ore a Cosimo Damiano Tassone, 51enne calabrese, ritenuto dagli inquirenti un narcotrafficante che sarebbe attivo nella capitale ed capo di una importante rete internazionale di trafficanti di droga.
La sua figura era emersa nelle indagini eseguite nell’ambito dell’operazione “Crazy Hill” (QUI) che, nel 2015, aveva portato a sgominare un potente gruppo criminale - con base proprio a Roma e dai contatti operativi in Germania, Olanda, Spagna e Inghilterra - in grado di organizzare spedizioni via container o via aerea di grossi quantitativi di cocaina provenienti dal Sud America, in particolare dalla Colombia, Argentina e Brasile.
Per dare un’idea della caratura dell’associazione, gli inquirenti evidenziano come nel corso delle indagini, eseguite tra il 2014 e 2015, venne sequestrata in totale oltre una tonnellata di cocaina.
Di questa, 32 kg furono intercettati all’aeroporto di Malpensa; 42 in quello di Fiumicino; 16 nel porto di Anversa (in Belgio); 170 in quello di Rotterdam (in Olanda); 317 kg nei porti di Emden e Amburgo (in Germania); altri 450 nello scalo di Gioia Tauro. Le investigazioni, poi, accertarono un tentativo far arrivare in Italia, nel porto di Livorno, altri 135 chili di cocaina.
Nel corso delle indagini si ritiene di aver provato come l’organizzazione avesse a disposizione ingenti risorse finanziarie, funzionali al perfezionamento delle importazioni, ovvero per il pagamento delle spedizioni via container, dei carichi di copertura, dei viaggi aerei e dei soggiorni all’estero degli intermediari, oltre al ripianamento delle perdite subite per le operazioni non concluse.
In un caso Tassone è stato filmato, all’interno del giardino di una delle ville oggi sequestrate, mentre sotterrava una valigia contenente del denaro considerato il provento del narcotraffico e nel mentre commentava al telefono: “sti soldi ... li sotterro”.
In un altro di caso si è scoperto che l’organizzazione, per il pagamento di una delle partite di droga sequestrata, abbia movimentato dall’Italia al Brasile, via Svizzera, e tramite una complessa operazione di riciclaggio, oltre 1,4 milioni di euro.
In quell’occasione, tra l’altro, la mancata consegna di una quota della somma dovuta causò una violenta reazione del boss che, durante un inequivocabile colloquio telefonico, avrebbe dato mandato agli associati di maggiore fiducia di intimidire pesantemente gli operatori finanziari coinvolti nell’attività:
“digli che se non mi portano altri 622.100 dollari, il primo che gli strappo la testa …noi non siamo imprenditori e se pensa di farla franca ha sbagliato persone”, avrebbe affermato.
Nella stessa circostanza - sempre a conferma della caratura criminale del gruppo - sarebbe stato trattenuto in Brasile, e fino alla conclusione dell’intero passaggio della provvista di denaro, il figlio del garante dell’operazione.
Proprio partendo da queste evidenze, considerate le notevoli somme a disposizione dell’organizzazione e anche che il presunto capo, da anni, non risultasse svolgere alcuna attività lavorativa, la Dda ha delegato alle Fiamme Gialle di eseguire delle indagini patrimoniali per individuarne il patrimonio reale.
Le investigazioni, estese anche alla famiglia e ai suoi presunti “prestanome”, hanno portato a ritenere vi sia “una significativa sproporzione” tra i redditi dichiarati ed il profilo economico dei soggetti.
Gli investigatori, ad esempio, spiegano come dal 2010 e fino alla data dell’arresto del narcotrafficante, avvenuto nel 2015, siano stati individuati sui conti delle persone controllate dei versamenti in contanti per oltre 144 mila euro, mentre dopo la sua cattura i versamenti si sarebbero azzerati.
Nello stesso periodo, inoltre, il nucleo familiare avrebbe acquisito metà del capitale di una società del commercio all’ingrosso di materiali di recupero, ma anche quattro terreni in provincia di Grosseto, altrettante unità immobiliari a Roma (nella zona Prenestina) successivamente ristrutturate con un mutuo di 100 mila euro e le cui rate siano state pagate esclusivamente con versamenti in contanti. Inoltre, sarebbe stato ristrutturato un caseggiato rurale nel comune di Montecompatri trasformandolo, di fatto, in un villino di pregio.
Pertanto, il Tribunale di Roma ha disposto il sequestro finalizzato alla confisca dei beni acquisiti in un arco di tempo nel quale Tassone e gli altri soggetti sottoposti ad accertamento non avrebbero disposto di mezzi finanziari sufficienti al loro pagamento.
Il provvedimento è stato notificato al 51enne nel carcere di Asti, dove è attualmente recluso dopo una condanna a 14 anni.